Continua a crescere, incombe come un moderno “moloch”, ma in questa campagna elettorale nessuno ne parla ampiamente e veramente, affrontando il problema in modo netto e radicale. Di che cosa si tratta? Della spesa pubblica italiana, ufficialmente 800 miliardi di euro all’anno, la metà del Pil. Sempre ufficialmente. In realtà, la spesa pubblica che dovrebbe incidere per il 50%, facendo calcoli più attenti, tenendo presente il cosiddetto “sommerso” e la decrescita del Pil, arriva al 62%. Quella della spesa pubblica è la vera questione italiana, adesso e per il futuro del Paese. Ci si chiede: come fanno i politici italiani, quelli che dovrebbero assicurare la governabilità del Paese, in un momento di crisi e depressione economica, a trascurare questo problema cruciale? Forse non è un mistero, ma solo una amara constatazione: quella di un eterno “prendere tempo”, di sperare che scenda “la manna dal cielo” e che risolva quello che nessuno ha realmente intenzione di risolvere.



Il professor Ugo Arrigo insegna Finanza pubblica e Teoria delle scelte collettive alla Facoltà di Economia dell’Università Bicocca di Milano. È un grande analista economico e i suoi principali interessi riguardano l’economia delle public utilities e delle amministrazioni pubbliche, le scelte collettive, le politiche di sviluppo territoriale. La spesa pubblica quindi è il suo terreno di maggior competenza.



Non le sembra impressionante questo silenzio o questa vaghezza nell’affrontare questo tema?

È quasi imbarazzante constatarlo. Se si guarda bene, sulla spesa pubblica in questa campagna elettorale si è navigato con una vaghezza stupefacente e, in sostanza, nessuno ha detto niente. Non Silvio Berlusconi, che invia una lettera per dire che restituirà l’Imu. Ci si dovrebbe domandare come farà. Io posso fornire una risposta indicativa della politica berlusconiana: sostituirà questa tassa con un’altra tassa. Al posto dell’Imu, finiremo per pagare l’“Umi”, tanto per fare un gioco di parole. Anche Mario Monti non parla di spesa pubblica, anzi rivede alcune sue posizioni in materia di pressione fiscale. Dov’è finita la famosa e tanto strombazzata “spending review”? Dove sono finti Bondi e Giavazzi? Alla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Poi c’è la sinistra, quella di Pier Luigi Bersani, di Nichi Vendola che ha parlato pochissimo e in modo generico della spesa pubblica, rifacendosi all’equità in un modo che non è affatto convincente e tanto meno dettagliato.



La metà del Pil per la spesa pubblica rappresenta tantissimi soldi, soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo.

Un calcolo corretto porta la spesa pubblica a essere superiore alla metà del Pil. Ma occorre anche precisare che la nostra spesa pubblica non è differente per quantità da quella di tanti altri paesi europei, da quella dei Nord Europa. La vera, la principale distanza o differenza consiste nell’efficienza della spesa pubblica rispetto ai servizi che vengono dati ai cittadini. Il problema dell’Italia è la spesa nella sua qualità. Sui danni di questa spesa senza qualità, si potrebbe andare a riprendere quello che diceva un grande economista poco conosciuto, ma molto bravo come Arthur Okun”.

La spesa pubblica è la ragione della mancata crescita italiana?

Occorre immaginare dell’acqua che viene portata continuamente e poi messa in un catino. Da noi, in Italia, non resta niente, perché il catino non è nemmeno bucato, è ormai sfondato. È di fronte a questa realtà che occorre fare delle scelte. Il catino continua a perdere acqua e per cambiarlo ci vuole senza dubbio del tempo. Quindi, o accettiamo che si perda continuamente l’acqua, oppure ci dotiamo di un secchio più efficiente. Al momento, per trovare una soluzione, si potrebbe operare un consistente arretramento dello Stato, riducendo al contempo sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. Così come è adesso, il sistema non funziona e si profila un autentico scenario greco.

 

Come mai si è verificato tutto questo?

 

In questi venti anni si è continuato a distribuire, a gestire senza criterio la ricchezza che era stata accumulata. Poi è arrivata la crisi, che i “tecnici”, in un anno, hanno trasformato con i loro interventi in depressione permanente. Questa è la realtà che dobbiamo affrontare.

 

Ma il problema prima o poi dovrà pur essere affrontato?

 

Posso solo sperarlo. Sono un candidato di “Fare per Fermare il declino” e, dopo quello che è accaduto, vedo pure il rischio che nessuno di noi possa porre il problema. La “trappola” che è scattata a questa lista potrebbe favorire Monti piuttosto che Berlusconi. Ma alla fine credo che, anche questa vicenda, favorirà Beppe Grillo.

 

(Gianluigi Da Rold)