E’ il momento del programma del Popolo della Libertà, ovviamente solo per quanto riguarda i temi più strettamente legati all’economia. “Intervento di forte riduzione della spesa pubblica, per un risparmio di almeno 16 miliardi all’anno. Riduzione di una quota pari al 3% delle attuali. Tax expenditures. Ogni legge di spesa deve avere una scadenza (Sunset legislation). Questo programma è il nostro impegno nella legislatura 2013-2018 per promuovere lo sviluppo, la crescita e la modernizzazione del Paese. In 5 anni, rapporto debito-Pil sotto quota 100%”, nulla di nuovo rispetto al passato ma il merito di come intervenire per reperire le risorse necessarie, arriva dopo.
“Attacco complessivo al debito pubblico da 400 miliardi, basato su: vendita di immobili pubblici; messa sul mercato anche di partecipazioni azionarie pubbliche sia statali che locali; valorizzazione delle concessioni demaniali; convenzioni fiscali con la Svizzera per le attività finanziarie detenute in quel Paese. Tendenziale dimezzamento degli oneri del servizio del debito in 5 anni. Costituzione di un grande fondo obbligazionario a cui lo Stato conferisca parte del suo patrimonio pubblico. A tutela degli interessi nazionali, rigoroso criterio di reciprocità con gli altri Paesi, per evitare attacchi a danno delle aziende strategiche; privatizzare sì, svendere no”, d’accordo su tutta la linea, soprattutto la frase finale che pare assolutamente assente nel programma di Mario Monti. Inoltre, l’accordo con la Svizzera – da tutti sbeffeggiato per una questione di tempistica di rientro dei capitali – rimane comunque una caposaldo da perseguire, esattamente come fatto da governi non proprio stolti come quelli di Germania e Regno Unito. Certamente non garantirà copertura totale ma nemmeno chi promette di finanziare taglie investimenti con l’aleatorità della lotta all’evasione fiscale, pare particolarmente pragmatico.
“Dimezzamento dei costi della politica: abolire il finanziamento pubblico dei partiti (nessun fondo pubblico ai partiti); dimezzare tutti i costi della politica“, più facile a dirsi che a farsi, visto il flop totale della spending review ma è il classico punto su cui si deve dare fiducia e vedere in corso d’opera. Certo, se si continua a farsi dettare legge dalla Lega Nord su temi come l’abolizione delle Province, si parte male. “Più Europa dei Popoli, meno euro-burocrazia. Superamento di una politica europea di sola austerità; accelerazione delle quattro unioni: politica, economica, bancaria, fiscale; attribuzione alla Bce del ruolo di prestatore di ultima istanza, sul modello della Federal Reserve americana; euro-bond e project-bond per una rete europea di sicurezza e di sviluppo; esclusione delle spese di investimento dai limiti del patto di stabilità europeo; elezione popolare diretta del Presidente della Commissione europea e ampliamento della potestà legislativa del Parlamento europeo; costituzione di una agenzia di rating europea; centralità dell’Italia nella politica Europea, nella Alleanza atlantica, nel dialogo euro-mediterraneo, nel rapporto con l’Est”. Come ho detto anche riguardo il programma di “Scelta civica”, non credo affatto che l’Ue resisterà a lungo nella forma attuale, quindi ritengo alcune battaglie assolutamente di retroguardia rispetto ad altre priorità ma non si può non notare la differenza netta in tema di Europa tra Pdl e Monti, visto che revisione dello statuto della Bce, agenzia di rating europea, esclusione delle spese di investimento dai limiti del patto di stabilità europeo ed elezione popolare diretta del Presidente della Commissione europea, sono temi a mio modo di vedere non più rimandabili.
“Riforma fiscale a) Abbassare le tasse è fondamentale per lo sviluppo del paese: eliminazione dell’IMU sulla prima casa; no alla patrimoniale; no all’aumento Iva: tendenziale azzeramento (in 5 anni) dell’Irap, a partire dal lavoro, con priorità alle piccole imprese e agli artigiani; diminuzione della pressione fiscale di 1 punto all’anno (5 punti in 5 anni); detassazione degli utili reinvestiti in azienda Innalzamento limite uso del contante, con riferimento ai livelli medi europei; fiscalità di vantaggio come politica di sviluppo economico territoriale b) Fisco amico e non nemico del contribuente: assistenza preventiva degli uffici finanziari; “Contrasto di interesse” i contribuenti possono scaricare dall’imponibile fatture e ricevute; concordato fiscale preventivo; revisione e riduzione dei poteri di Equitalia; revisione radicale del redditometro; costituzionalizzazione dei diritti del contribuente; compensazione tra crediti verso la PA e debiti fiscali, per le famiglie e per le imprese; generale semplificazione degli adempimenti fiscali delle PMI, degli artigiani e dei lavoratori autonomi senza struttura o con struttura di piccole dimensioni; riforma fiscale”.
Oggettivamente, il programma più credibile per cercare di riattivare un’economia e una domanda interna che sono strangolati da vincoli, ritardi di pagamento, tasse e uno Stato di polizia fiscale che necessita, da subito, dell’inversione dell’onere della prova, visto che grazie a blocchi, pignoramenti e obbligo di pagamento preventivi ed ex ante il processo, sono centinaia e centinaia la pmi che hanno chiuso i battenti nel 2012, morte non per debiti ma per crediti inesigibili. Restano i nodi della copertura ma in questo caso, rispetto a Monti, c’è un programma di tagli alle spesa che si coniuga con quello di vendita dei beni dello Stato, non svendite, che se ben applicato garantirebbe la copertura necessaria. “Le banche hanno avuto tantissimo, ora diano: Irrevocabilità di mutui e finanziamenti già erogati; moratoria su rate di mutuo non pagate negli ultimi 18 mesi, con adeguamento del piano di ammortamento alle capacità economiche del debitore; favorire nuovo accesso al credito per famiglie, giovani e imprese; i finanziamenti della Banca Centrale Europea alle banche italiane devono essere destinati prioritariamente al credito per famiglie, giovani e imprese; separazione e/o specializzazione tra banche di credito e banche di investimento, anche attraverso opportuni incentivi e disincentivi fiscali; rivedere Basilea III: parametri troppo rigidi alimentano la stretta creditizia; favorire le nuove forme di finanziamento e sostegno alle imprese: private equity, venture capital; valorizzare i Confidi con relativa patrimonializzazione dei fondi di garanzia; eventuali salvataggi bancari devono essere solo a tutela dei risparmiatori e non degli azionisti di controllo; valorizzazione del sistema bancario a vocazione territoriale”, qui scusate ma sottoscrivo tutto. Stranamente, il capitolo non è nemmeno toccato nel programma di Mario Monti.
“Dalla parte delle imprese, dalla parte del lavoro, dalla parte delle professioni. Riconoscimento alle imprese, per le nuove assunzioni di giovani a tempo indeterminato, di una detrazione (sotto forma di credito d’imposta) dei contributi relativi al lavoratore assunto, per i primi 5 anni; centralità delle PMI nel modello di sviluppo italiano; sostituzione dell’attuale sistema dei sussidi alle imprese con contestuale ed equivalente riduzione delle tasse sul lavoro e sulla produzione; passaggio dalle autorizzazioni ex ante ai controlli ex post; pagamenti più rapidi della pubblica amministrazione, in applicazione della direttiva europea sui ritardi di pagamento; utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti, con particolare attenzione alle vocazioni territoriali degli azionisti, per finanziare l’innovazione e garantire i crediti alle esportazioni; sviluppo dei distretti e delle reti d’impresa; tutela e valorizzazione delle imprese commerciali di piccola dimensione, al fine della salvaguardia e della coesione sociale delle comunità locali”, anche in questo caso le voci sono totalmente condivisibili, ancorché la copertura di spesa a mio avviso comincia a salire in maniera consistente, ovvero si impone una tabella svizzera di provvedimenti di dismissione e contestuale taglio della spesa pubblica per non entrare in pieno nella logica del testacoda, ovvero cominciare molto e portare a termine poco o nulla, un vecchio vizio dei governi di centrodestra, occorre ammetterlo cifre alla mano.
“Apertura al mercato dei settori chiusi, in particolare dove persistono monopoli o oligopoli statali, a partire da scuola, università, poste, energia e servizi pubblici locali; sviluppo di meccanismi concorrenziali e di vigilanza per contrastare accordi di cartello nel settore assicurativo; favorire le imprese di giovani imprenditori: per 3 anni, vantaggi fiscali per le imprese di under 35; valorizzare le libere professioni, riconoscendone le funzioni sussidiarie di pubblico interesse; ritorno alla Legge Biagi per uno “Statuto dei Lavori”; risoluzione della questione esodati; sviluppo della contrattazione aziendale e territoriale (ex art. 138 D.L. 138/2011); detassazione del salario di produttività; sostegno all’occupazione giovanile attraverso la totale detassazione dell’apprendistato fino a 4 anni; buoni dote per la formazione”.
Qui vale lo stesso ragionamento fatto per il programma della lista Monti, ovvero il fatto che di privatizzazione e liberalizzazione in Italia si parla da vent’anni ma si sono tradotte o in svendite o in monopoli divenuti duopoli con protagonisti i soliti noti, basti vedere la questione Frecciarossa-Italo o la disputa – finalmente giunta a un finale degno di un Paese civile – degli slot Milano-Roma di Alitalia su Linate. Vedremo se i molti nomi nati, amici anche del PdL, non tireranno per l’ennesima volta il freno a mano, come fatto in passato. “Maggiore trasparenza per i sindacati su iscrizioni e bilanci; tetto alle pensioni d’oro; incoraggiamento a indirizzare quote di risparmio su pensioni integrative; sviluppo del telelavoro; partecipazione agli utili da parte dei lavoratori; revisione dei premi Inail, con particolare riferimento alle PMI e agli artigiani, in funzione del rischio reale, sulla base di un criterio bonus-malus”, totalmente d’accordo e finalmente misure che rendono davvero il Paese più equo e i conti sostenibili, oltre che porre fine a certi privilegi che lo strabismo italiano non ha mai voluto vedere.
“Turismo: il nostro petrolio. Abbassamento dell’IVA nel settore turistico, coerentemente con la normativa comunitaria; valorizzazione e stabilizzazione delle concessioni balneari al fine di garantire il rilancio degli investimenti; politica più incentivante dei visti turistici; sviluppo del turismo sociale, favorendo la destagionalizzazione; strategia strutturata Stato-regioni per la promozione turistica all’estero”, totalmente d’accordo, bisognerà però scontrarsi con interessi e blocchi di potere a livello di enti locali e con la Lega in coalizione, temo che questo tema resterà – come negli ultimi vent’anni – lettera morta. Un’ultima annotazione. Il Corriere della Sera ha affidato uno studio comparativo dei programmi di Pd, PdL e Lista Monti all’Oxford Economics. Obiettivo della ricerca, stabilire – anno per anno – quale programma di governo tra quelli proposti dalle formazioni politiche che si presentano alle elezioni sia il più efficace. Il “core business”, ovvio, è l’economia. E cosa spiega, la Oxford Economics? Semplice: il programma migliore è quello del Pdl. Lo studio è lungo e approfondito ma i risultati vengono sintetizzati nelle ultime due pagine di tabelle. Partiamo dal prodotto interno lordo. Con l’attuazione del programma del Pdl, nel 2013 calerebbe dello 0,8%, rispetto al tonfo dell’1,4% sia del Pd sia di Scelta Civica di Monti (questo per recintare il confronto soltanto tra le tre forze politiche più pesanti; non ci sono informazioni sul programma di Beppe Grillo).
In proiezione, nel 2018 il programma azzurro porterebbe a una crescita del Pil pari all’1,9%, quello del Pd limiterebbe la crescita all’1,4% e quello di Monti all’1,5 per cento. Sul fronte occupazionale, nel 2013 il Pdl terrebbe la disoccupazione al 12,4%, contro il 12,6% di Pd e Monti. La differenza più più tangibile si vede in prospettiva: nel 2018 il programma del Pdl, secondo Oxford Economics, porterebbe i senza lavoro al 9,2%, mentre con Monti sarebbero al 10,4% e con il Pd di Bersani i disoccupati schizzerebbero al 10,6 per cento. Ma il dato forse più interessante, probabilmente, è quello relativo al debito pubblico. In particolare, grazie alle vendite del patrimonio dello Stato (“di difficile realizzazione”, avverte Oxford Economics), grazie al Pdl il debito nel 2018 viene dato al 104,1%, contro il 117,4% del Pd e il 112,1% di Scelta Civica. Lo dice l’Oxford Economics, non il sottoscritto.