Nella notte tra domenica e lunedì, quando in Italia era l’1.00 e ci si apprestava alla seconda giornata di voto, lo sconfortante dato Pmi manufatturiero della Cina dell’indice Hsbc era l’unico indicatore di sentiment valido, nonostante risalisse a parecchie ore prima. Quindi, l’euro/dollaro avrebbe dovuto starsene lì placido come un lago alpino. E invece no, era attivo e saliva: gioia per la vittoria di Argo agli Oscar? Per il pareggio di Schelotto nel derby di Milano? Un aumento di 100 pips overnight non è cosa da poco, soprattutto alla vigilia di quello che tutti definivano un giorno risk-off, ovvero interlocutorio, come quello dell’esito del voto in Italia. Cosa prezzava, quindi, con anticipo il mercato?
Per alcuni, due cose: la bassa affluenza che a detta di molti avrebbe colpito il Popolo della Libertà, ma anche l’aumento nel primo giorno di urne aperte del voto di protesta, ovvero meno voti in termini relativi e assoluti sia per Monti che per Bersani. Insomma, il mercato tifava Grillo sopra il 20% e secondo partito? Oppure tifava l’ingovernabilità al Senato? Oppure ancora, tifava per un’alleanza forzata Monti-Bersani? Oppure un rapido ritorno alle urne? Una cosa era certa, quando ancora regnava il dubbio più totale, sia Goldman Sachs che JP Morgan stimavano in un range tra i 50 e i 100 punti base l’aumento dello spread sulla curva italiana in caso di coalizione tra il Professore e il leader Pd. Insomma, qualcuno è andato in modalità risk-on sul forex nottetempo, puntando alla cieca sull’Italia? Ma la Borsa di Milano, a un’ora dalla chiusure delle urne, veleggiava sopra i due punti percentuali di aumento, con il settore bancario in spolvero e alle 15, quando i giochi erano fatti, superava i tre punti percentuali di aumento. E lo spread? Stava lì tranquillo, a 278 punti base. E poi? Arrivano i primi exit poll, centrosinistra tra il 33% e il 37%, Pdl tra il 30% e il 32%, Grillo tra il 17% e il 20% e Monti tra l’8% e il 10%. Insomma, centrosinistra che vince, Berlusconi che tiene alla grande, Grillo che sfonda ma non disintegra e tonfo di Monti che rischia di non entrare alla Camera e raccogliere pochissimi seggi al Senato, inutili per un’eventuale coalizione con Bersani se Lombardia e Sicilia premiassero il Pdl a Palazzo Madama. E che fa il famoso mercato, quello terrorizzato da Berlusconi e innamorato di Monti e della stabilità? Sale a quasi il 4%! E lo spread? Giù a quota 260 punti base! E l’euro/dollaro? Giù, visto che le speranze di qualcuno per un voto market-mover sono state disattese dagli exit poll, ma soprattutto perché la débâcle di Monti indeboliva di riflesso la strategia tedesca di euro forte e negazione della guerra fra valute, visto che sia il Pd che il Pdl accetterebbero di buon grado – anzi, lo stimolerebbero – un intervento di Draghi per calmierare il cross, evitare di arrivare in area pericolo (1,40) e dare un po’ di fiato all’export.
Poi, però, attorno alle 16, quando le prime proiezioni davano il Pdl in vantaggio al Senato in Sicilia, Puglia, Piemonte, Veneto, Lombardia e Campania, ecco che la Borsa comincia a scendere, inesorabilmente, dai massimi di giornata, arrivando alle 16.40 a +0,15% e lo spread risale a 267 punti base. Attenzione, i mercati – un po’ rimbambiti – hanno capito dopo la seconda proiezione di Ipr Marketing che il Caimano è tornato, ha stravinto al Senato e quindi si vende a cannone, si fugge dal rischio Italia? Mah, diciamo che anche la notizia del Movimento 5 Stelle primo partito al Senato può aver giocato la sua parte (capirai, il movimento di un comico che vuole uscire dall’euro e non ripagare il debito e di un guru che sembra Branduardi dopo un balsamo sbagliato che guida Palazzo Madama…), ma a mio modo di vedere la verità è un’altra.
Il calo è stato troppo inesorabile, continuo e a scalare gradualmente dai massimi per poter accreditare la tesi dei mercati spaventati. Da cosa, poi? Non c’è stata una sola banca d’affari, una, che nei suoi report sugli scenari di voto per l’Italia non mettesse come prima e più probabile ipotesi quanto sta in effetti accadendo, ovvero ingovernabilità per le regioni chiave al Senato in mano a Berlusconi e il botto di Grillo. Scusate, se tutti i trader se lo aspettavano, perché da risk-on a risk-off in mezz’ora per la proiezione di Ipr Marketing che confermava i loro timori/certezze da settimane? Non fatevi prendere in giro per le seconda volta, cari lettori, come accaduto nel novembre 2011. Essendo l’Italia instabile, gli algoritmi che ormai governano il trading – di traders che immettono l’ordine manualmente e su basi di analisi serie ce sono ben pochi nel mercato high-frequency e high-speed attuale – sono settati su una specie di stop-loss al contrario, uno stop-gain, ovvero meccanismi che bloccano la posizione trattata quando raggiunge un certo rialzo sul Ftse Mib, innescando un processo di presa di beneficio intraday e facendo scendere il mercato mano a mano che si chiudono i contratti.
A questo, ovviamente, va unito il panico di chi sugli instant poll è andato long subito e quando vede un mercato passare dal +4% al +1,5% in mezz’ora si spaventa e vende. Infine, l’emulazione, ovvero la panic selling: se tutti vendono, ci sarà un motivo, quindi vendo anch’io. Con una dinamica del genere a mezz’ora dalla chiusura, se il motivo vero fossero stati i risultati di Berlusconi e Grillo, Piazza Affari sarebbe sprofondata in negativo, almeno di un punto percentuale: invece, essendo stato un impazzimento tecnico-emotivo, Milano ha chiuso la seduta al +0,73%, sicuramente molto giù dai massimi di giornata, ma anche su dai minimi e in positivo. Certo, Silvio Berlusconi non è amato e l’instabilità genera appetiti speculativi (e politici, con qualcuno molto interessato a spedire a prezzo di saldo le valutazioni di aziende italiane), quindi aspettiamoci altalene dello spread e borsistiche anche pesanti nei giorni a venire, ma attenti a come leggerle.
Lo dico anche perché, signori miei, la Borsa è l’ultimo degli indicatori validi per capire la realtà di un Paese. Perché? Ora provo a spiegarvelo. Io penso che per capire bene quanto stia accadendo, serva porre poca attenzione a quanto accade in Italia e molta alla dichiarazione rilasciata venerdì 22 febbraio dal capo della Fed di Dallas, Dick Fisher: «La Fed ha artificialmente sostenuto i mercati». Alleluja, finalmente lo hanno ammesso, quindi io e tutti quanti da mesi e mesi ribadiamo, sostanziandolo, questo concetto, usciremo dal ghetto dei cosiddetti complottisti. Il problema, in sé, non è solo quello di aver tradito il proprio mandato nei confronti dell’economia reale, ma soprattutto l’aver creato l’ennesima bolla, termine che si sostanzia quando il prezzo delle azioni è totalmente scollegato dai fondamentali. Cosa dobbiamo aspettarci? Una correzione, almeno del 10%. E vi assicuro che quell’almeno è più che giustificato. Guardate questi due grafici: mettono in comparazione i mercati del credito di Stati Uniti ed Europa, i quali come dimostrano gli andamenti hanno mandato segnali di avvertimento per tutto l’anno, con l’andamento dei mercati azionari.
Di solito, è prassi consolidata, il trend del credito anticipa, mentre quello azionario poi conferma. Non è scienza esatta, ma al netto di quanto dichiarato da Fischer (ovvero, sostegno artificiale dei mercati e dubbi sulla possibilità/sostenibilità del programma di allentamento quantitativo), non possiamo che ritenere maggiormente credibile rispetto alla realtà macro il dato del credito, rispetto a quello dei corsi di Borsa. Quindi, c’è il rischio serio di una correzione molto drastica.
Ma a confermare che non sono Berlusconi, Monti, Grillo o Bersani i driver del mercato ci pensa anche l’indice di avversione al rischio sul forex di Citigroup, talmente risalito da bruciare tutti i miglioramenti ottenuti in settembre e ottobre, nonostante il mare di liquidità presente nel sistema.
Essendo gli indicatori usati per questo indice basati sulla volatilità implicita sulle monete, molto sensibili all’appetito di rischio, non ci vuole un genio per capire gli investitori si stanno innervosendo. Per cosa? Tutto correlato, se finisce lo schema Ponzi di liquidità delle banche centrali, Fed in testa, parte la correzione dei corsi azionari, la sopravvalutazione dei titoli conoscerà uno schianto, il credito deteriorerà ulteriormente e arrivederci e grazie, scommesse di massa sulle valute. Stiamo tornando, insomma, quasi al punto di partenza della crisi. In compenso, in attesa della stangata globale, c’è già chi ha pagato un prezzo decisamente alto alla truffa della Fed: gli investitori retail, i poveri cristi per capirci.
Eh già, perché i principali beneficiari di questa situazione sono stati i manager delle grandi aziende, i quali hanno venduto le azioni in loro possesso con volumi ai massimi da due anni. Già, si chiamano insider sales, ovvero vendite di azioni di aziende da parte dei manager delle stesse, quotate allo S&P 500. I dirigenti di 153 compagnie quotate sull’indice di Wall Street, infatti, hanno scaricato talmente tanti titoli tra l’11 e il 15 febbraio che la ratio tra vendite e acquisti è stata di 17 a 1: Larry Page, ad di Google, ha disinvestito titoli per qualcosa come 65 milioni di dollari. Ma non è stato il solo: Rupert Murdoch ha venduto azioni di News Corporation per 40,1 milioni di dollari, Kenneth Chenault, ad di American Express, per 34,2 milioni, Nolan Archibald, numero uno di Black&Decker, per 29,7 milioni, mentre l’ad di Amphenol Corporation, Martin Hans Loeffler, per 27,5 milioni la scorsa settimana.
E dove finiscono quei soldi? Presto detto, da gennaio scorso sono stati depositati presso fondi equity qualcosa come 37 miliardi di dollari, dopo che 300 miliardi di dollari sono stati drenati da fondi azionari da quando la crisi ha toccato il suo punto più basso. Insomma, dirigenti di Google, BlackRock, Dollar General Corporation, Microsoft e Capital One Financial Group hanno scaricato miliardi di dollari, di fatto non muovendo il mercato al ribasso perché le oscillazioni le danno gli inflows, non le insider sales, soprattutto quando in regime di euforia da liquidità facile, tutti vogliono comprare, credendo di fare un affare e che il mercato sia sano. Detto fatto, l’S&P 500 ha guadagnato più del 6% dall’inizio dell’anno e due settimane fa ha segnato un +2,3% rispetto al suo precedente record dell’ottobre 2007, raddoppiando dal punto massimo di caduta del marzo 2009. Ma come mai martedì scorso l’S&P500 è sceso dell’1,2%? Semplice, le minute della Fed mettevano in dubbio la durata ulteriore dell’alluvione di liquidità, ovvero la fine dello schema Ponzi che, guarda caso, nelle ultime settimane ha visto dirigenti e manager di grandi multinazionali capitalizzare la pompatura artificiale dei titoli che avevano in portafoglio, vendendoli a peso d’oro a gonzi come noi che credono invece in un rally vero, basato sui fondamentali.
Non è vero: se tutti quei manager hanno venduto nello stesso momento è perché sanno che il giochino sta per rompersi, noi invece rischiamo di trovarci con il cerino in mano. Quante volte vi ho detto e ho scritto che questo era un falso rally per mantenere alta Wall Street? Bene, ora temo che il secondo tempo dell’horror targato Monti sia in arrivo, proprio a causa della correzione dei corsi e di uno strano timing di emissione del Tesoro, che guarda caso ha avuto la lungimiranza di mettere in asta Bot e Btp oggi e domani, a urne appena chiuse e con evidente – e ben preventivabile – rischio di instabilità politica. Se i rendimenti andranno alle stelle o, peggio, non si riuscirà a collocare tutto l’ammontare, il Professore potrà ritrovare la favella dopo la legnata elettorale. E, guarda caso, ieri sera il Dipartimento di Stato Usa si è sentito in dovere di far sapere come stia seguendo come molta attenzione il voto in Italia.
Vi diranno, nei giorni prossimi, che i mercati picchiano contro Berlusconi e l’ingovernabilità, contro Grillo e per riavere il Professore: balle. I mercati stanno esplodendo di falsa liquidità e ora paghiamo il prezzo della bolla: di chi governa in Italia, Paese dove gli esecutivi dal dopoguerra a oggi duravano in media due anni prima di tornare al voto anticipato, non frega proprio nulla ai mercati. Monti serviva come gestore austero della fase di gonfiatura artificiale degli indici e delle valute, serviva per indebolire l’Italia economicamente e per seguire pedissequamente la ricetta suicida della Merkel che ha spedito anche la Germania in recessione e garantito a Washington di mantenersi in vita con l’export sul dollaro basso. Agli Usa non serviva niente altro. Lo hanno avuto. E forse lo riavranno.
P.S.: Considerazione di un banchiere popolare, mio fidato e stimato conssigliere, a quanto ho scritto. “Se Monti avesse chiesto i fondi del programma OMT (Outright Monetary Transactions, il piano anti-spread della Bce, ndr), avremmo poi almeno partecipato e magari goduto…”. Nulla da aggiungere.