Tempesta finita, almeno così pare. Al netto di uno scenario politico immutato, anzi forse aggravato dal flirt tra Bersani e Grillo, ieri la Borsa ha aperto positiva e dopo l’asta di Btp ha accelerato ancora un pochino la sua risalita. Ed è rimasta positiva, pur con una flessione, anche dopo che il leader del Movimento 5 Stelle ha alimentato la prospettiva di ingovernabilità, escludendo il voto di fiducia al Pd o ad altri: «Bersani è uno stalker politico. Da giorni sta importunando il M5S con proposte indecenti invece di dimettersi, come al suo posto farebbe chiunque altro. È riuscito persino a perdere vincendo. Ha superato la buonanima di Waterloo Veltroni».
Pantomima per mascherare l’inciucio incipiente, come ha confermato Dario Fo e renderlo più digeribile ai suoi? Oppure il bluff è stata l’apertura di Bersani, il quale incassato lo scontato no grillino, ora potrà dire: «Ci ho provato, è andata male, torniamo alle urne»? Un viatico per tenersi un partito che ormai scalpita per disarcionarlo dalla guida o una minaccia di instabilità strumentale alla riattivazione del Quirinale e che ci porterà dritti dritti verso il governissimo Pd-Pdl-Monti con Giuliano Amato alla guida?
Il mercato tende a propendere per questa ipotesi e dopo il tonfo di martedì ieri è tornato timidamente a risalire. Certo, a risalire sono stati anche i rendimenti dei nostri titoli a 5 e 10 anni offerti in asta dal Tesoro, ma la soglia psicologica del 5% di rendimento sulla scadenza più lunga non è stata né raggiunta, né rotta, come qualcuno invece temeva. Il Tesoro ha collocato l’intero importo massimo in emissione, pari a 6,5 miliardi e il nuovo benchmark decennale, offerto per un importo compreso tra 3 e 4 miliardi, è stato collocato con un rendimento lordo del 4,83%, in aumento di 0,66 punti rispetto all’asta precedente. Balzo anche per il tasso del Btp a 5 anni: la nona tranche del titolo scadenza 01/11/2017, offerta per un ammontare compreso tra 1,75 e 2,5 miliardi, è stata collocata con un tasso lordo del 3,59%, in aumento di 0,65 punti rispetto all’asta del mese scorso. I rendimenti sono tornati così ai massimi dallo scorso ottobre, ma sotto la soglia d’allarme e supportati da un buon rapporto tra domanda e offerta, che si è attestato, rispettivamente, a 1,65 per il decennale e a 1,61 per il Btp a 5 anni. Insomma, i mercati fanno un po’ quello che gli pare e, per adesso, le campane a morto per l’Italia non stanno ancora suonando.
Attenzione, però, ai facili entusiasmi e, soprattutto, ai tempi morti strategici che gli investitori più aggressivi spesso si prendono per far abbassare la guardia, prima di colpire. E parecchi analisti sottolineano come lo iato rappresentato dalla debolezza italiana potrebbe far tornare i prezzi del finanziamento a livelli che meglio riflettono i fondamentali, ovvero la persistente recessione e le difficoltà sul debito sovrano nell’area Sud dell’eurozona e gettare ombre sulla stessa capacità di supporto dell’Omt predisposto dalla Bce. Ne è quasi certo Iain Stanley, portfolio manager per il reddito fisso a JP Morgan Asset Management, a detta del quale «abbiamo vissuto mesi di calma inusuale sul fronte della crisi dell’euro e penso che quello che stiamo vivendo ora sia più un check up di realismo che una nuova fase. Ci sarà quasi certamente un ritorno all’incertezza e alla volatilità per qualche settimana e non vedo ragioni per cui il rendimento del decennale italiano non debba raggiungere il 5%». Certo, il picco del 7% del 2011 rimane un lontanissimo ricordo, ma i rischi ci sono, nonostante lo stesso Stanley ammetta che «gli investitori staranno molto attenti a sfidare la Bce su questo».
Resta un punto, però. Il programma Omt sta già mostrando crepe, non tanto nell’operatività tecnica, quanto nella resistenza che moltissima opinione pubblica e governi europei mostrano nei confronti delle condizioni poste dalla Bce per accedervi, al netto del fatto che l’Eurotower si è già inventata due aste Ltro per offrire liquidità ma ha vincoli al riguardo, rispetto a Fed, Boe e Boj. Al netto delle variazioni di bilancio dovute ai primi rimborsi proprio delle aste di liquidità, ormai appare chiaro che un taglio dei tassi sia all’orizzonte entro poche settimane: o la Bce fa questo o allenta ancora i criteri sul collaterale, non c’è altro modo per far fronte a una possibile crisi di liquidità nel sistema bancario. Per Stanley, però, non è affatto detto che l’Italia crolli nel populismo più bieco, proprio perché tutti – a partire dal Quirinale – sono consci di queste ipotesi di rischio sul tavolo: «Un nuovo governo italiano, se mai si formerà, penso che potrebbe essere magari instabile, ma non necessariamente radicale o eterodosso: anche se la disciplina fiscale pare oggi fuori dall’agenda politica dei partiti chiamati a formare una maggioranza, penso che questa verrà preservata nei fatti».
Insomma, al netto degli strepiti grillini, tutti sanno che esiste un limite che non si può superare. E a dimostrarlo ci pensano le banche russe, le quali stanno vendendo bonds come se non ci fosse un domani sul mercato cinese, dove trovano costi di finanziamento minori, un modo per diversificare e soprattutto un mercato obbligazionario più stabile di quello europeo. Gli investitori cinesi, dal canto loro, comprano volentieri quelle obbligazioni perché emesse da banche di alto profilo e spesso con garanzia statale alle spalle, con rendimenti attrattivi e soprattutto esposte al mercato dello yuan.
Istituti russi come JSC Bank, Russian Agricoltural Bank e Russian Standard Bank hanno già venduto bonds per l’equivalente di 480 milioni di dollari dall’inizio dell’anno, contro i 309 dei medesimo periodo dei tre anni precedenti: persino Gazprombank OAO, ramo finanziario del gigante del gas, ha emesso un bond denominato in yuan. Standard Chartered si aspetta che il totale di emissioni si attestarà tra i 320 e i 350 miliardi di yuan (circa 52 miliardi di dollari) quest’anno, su dal record dello scorso anno di 267 miliardi di yuan.
Insomma, un insieme di tre attrattività: aspettativa per un apprezzamento monetario, ottimi rendimenti e la necessità per gli investitori cinesi di piazzare i loro yuan altrove ma al sicuro nell’attesa che la crisi dell’eurozona prenda una direzione. Poi, una quarta variabile: i ricchi investitori cinesi si sentono più tranquilli nell’offrire denaro alle banche russe piuttosto che a emittenti asiatici o europei, mentre l’emissione in yuan consente alle banche russe non solo di diversificare le loro fonti di finanziamento, ma anche di evitare una potenziale oversupply verso Europa e Usa. In uno scenario globale tale, con Ben Bernanke che martedì al Senato ha rassicurato tutti sul fatto che la Fed continuerà a fornire liquidità a go-go al sistema, c’è poco da star dietro alle fantasie di Grillo o all’arroganza da perdente di Bersani.
P.S. Un plauso, sentito, sincero e forte al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ieri ha annullato l’incontro con il candidato cancelliere della Spd, Peer Steinbrueck, dopo che quest’ultimo aveva definito il risultato delle elezioni italiane, «la vittoria di due clown, Grillo e Berlusconi». Ecco la dichiarazione del Colle: «Mi pare non ci fossero più le condizioni, viste le dichiarazioni del tutto fuori luogo o peggio che ha fatto». Grazie Presidente, cominciamo a ridarlo qualche sentito calcio nel sedere a questi arroganti primi della classe che tali non sono.