Vent’anni fa il Presidente-picconatore Francesco Cossiga – incamminato verso le dimissioni anticipate – fu il virtuale mossiere di Mani pulite. Oggi il Quirinale – reduce dalla vittoria annunciata sulla Procura di Palermo per le controverse indagini su Stato-mafia nei primi anni ’90 – rilancia moniti perentori a magistratura e stampa a non ledere “l’interesse nazionale” con le rispettive inchieste. Eppure appena nel 2005 l’arma delle intercettazioni sistematicamente trasmesse ai media si rivelò decisiva per sgominare quella che passò agli annali come la prima “Bancopoli” e per rimuovere un Governatore di Bankitalia “degenerato”.
Vent’anni fa la grande stampa tifò subito per i Pm milanesi quando questi morsero il freno per andare oltre il “mariuolo” Mario Chiesa e cacciare a tutto campo “cinghialoni” nelle praterie della politica e della grande impresa. Oggi il Procuratore capo di Milano, Bruti Liberati, si disfa senza esitazione di ogni dossier riguardante Mps e – appoggiato del vicepresidente del Csm, Vietti – richiama severamente all’ordine i colleghi di Trani: gli unici investigatori al mondo che abbiano osato mettere nel mirino Standard & Poor’s, ottenendo un successo nel giudizio di primo grado.
In parallelo, la grande stampa si affanna oggi a spiegare ai lettori (cittadini-elettori) che lo “scandalo Mps” non è alla fine molto più di un giro di rubamazzetto orchestrato da una banda di “mariuoli locali”. Quello che conterebbe nell’acquisizione di AntonVeneta – un affare internazionale da 10 miliardi di euro che ha minato la terza banca italiana – sarebbero le crestine da qualche milione fatte (forse) da alcuni dirigenti, che avrebbero ingannato per anni tutti: dal loro consiglio d’amministrazione fino a tutte le authority nazionali. E sotto gli occhi di advisor globali tuttora quotatissimi (Mediobanca, Rothschild, Merrill Lynch).
Fra la prima Tangentopoli e la seconda Bancopoli non torna del tutto neppure il controluce della candidatura di Antonio Ingroia su quella “d’antan” di Antonio Di Pietro. Quest’ultimo lascia la toga “sul più bello” di Tangentopoli all’improvviso, ma apparentemente di sua volontà e viene comunque velocemente premiato dal governo Prodi-1 con un pesante ministero dei Lavori Pubblici.
Anche Ingroia lascia “sul più bello” dell’inchiesta Stato-mafia, ma non di sua volontà. Si candida dall’esilio in Guatemala e pare incerto perfino il suo ingresso in Parlamento, nonostante l’appoggio, un po’ sfiatato, del vecchio Di Pietro.
(Chi scrive è il primo ad attendere le prossime puntate: curiosamente e senza pregiudizi)