Le tasse, in Italia, hanno superato abbondantemente i livelli di guardia e tolleranza massima. Ora lo dice pure la Corte dei conti, le cui analisi, denunce, e certificazioni, solitamente hanno il marchio dell’attendibilità. Il suo presidente, Luigi Giampaolino, ha parlato, infatti, di «una pressione fiscale già fuori linea», specificando come eventuali nuovi aumenti favoriranno ulteriormente «le condizioni per ulteriori effetti recessivi». Oltre al danno, anche la beffa: sì perché buona parte dei sacrifici dei cittadini vanno in fumo a causa del dilagare di pratiche illecite all’interno degli organismi dello Stato. E’ sempre la Corte dei Conti, infatti, a registrare come la corruzione in Italia abbia assunto «natura sistemica» che «oltre al prestigio, all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione pregiudica l’economia della nazione». Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Piero Ostellino, editorialista de Il Corriere della Sera.
E’ “ufficiale”: paghiamo troppe tasse.
E meno male che se n’è accorta anche la Corte dei conti; peccato che non se ne sia accorto l’economista al governo che, dopo aver ha preso in mano un Paese in declino, lo ha ammazzato di tasse.
Come pensa che sarà recepita l’indicazione della Corte?
In nessuno modo, a giudicare da quello che è accaduto in questo giorni, dopo la sortita di Berlusconi; a prescindere dal fatto che le sue proposte siano credibili o meno, infatti, è vergognoso che il mondo politico e i media si siano limitati a sbeffeggiarlo, ignorando il problema. Nessuno ha proposto una soluzione alternativa.
Quindi?
Significa che questi livelli di spesa pubblica e di imposizione fiscale sono considerati, dalla stragrande maggioranza del mondo politico, dei media e del Paese, dati immodificabili e incontrovertibili.
Com’è possibile?
Siamo un Paese dove un cretino gridava da un balcone di Piazza Venezia: “burro o cannoni?”, e la folla rispondeva, a gran voce: “cannoni!”. Siamo ormai privi non tanto di cultura politica liberale, quanto di buon senso comune: il pil, l’occupazione, i consumi sono crollati, non un solo indicatore funziona, e si continua ad affermare che questo governo ci ha salvato. Invece, la nazione è in ginocchio e non sappiamo quando si risolleverà.
Come potrebbe risollevarsi?
La spesa pubblica va radicalmente tagliata. La pressione fiscale, infatti, insegue una spesa senza controllo. Il sistema normativo-amministrativo, inoltre, va semplificato, in modo da liberare risorse e permettere a chi vuole aprire un’azienda di non dover aspettare 15 anni. In questo modo, le aziende sarebbero in grado di produrre nuovamente ricchezza, al punto tale da non essere sopraffatte dalle tasse che devono pagare. Si obietterà che ci vuole del tempo. Non è vero, è sufficiente un decreto legge, da mettere a punto in una settimana, e che conferisca a chi di dovere il potere di tagliare e semplificare entro un mese. Si tratta di una riforma strutturale che, oltretutto, sarebbe a costo zero. Sa perché non viene varata?
Ci dica.
Evidentemente, a governare, è ormai la burocrazia. Viviamo in un contesto di dispotismo burocratico-amministrativo di cui i governi, a loro volta, sono prigionieri, nonché figli del medesimo establishment che da anni mangia nello stesso piatto: nell’eccesso di spesa pubblica e di fiscalità ai danni del cittadino comune.
La Corte ha pure fatto presente che la corruzione ha assunto connotati sistemici, mentre l’indebitamento dei 5.000 organismi «costituiti e partecipati dagli enti locali» ammonta a ben 34 miliardi di euro.
La corruzione nasce dal fatto che c’è contiguità tra i soldi e le istituzioni. Separando i soldi della istituzioni, quanto meno, diminuirà. Finché teniamo risorse così ingenti a disposizione dei partiti e della politica, questi ne approfitteranno. A maggior ragione, quindi, occorre ridurre il peso di questo Stato elefantiaco e obsoleto: l’occasione fa l’uomo ladro e negli anfratti della spesa pubblica, nasce la corruzione. Peccato che non un solo partito tra quelli che competeranno per le elezioni ha avanzato una proposta strutturale e radicale, salvo dichiarazioni estemporanee da campagna elettorale.
(Paolo Nessi)