Cinque punti per dire e promettere l’opposto di quanto fatto finora dal governo dei tecnici. Che anche Monti abbia ceduto al richiamo del “meno tasse per tutti”, di per sé, non può essere considerato un male. Resta da capire se l’ambizioso programma di Scelta civica sia realizzabile. Si parla della drastica riduzione dell’Irap, dell’Imu e dell’Irpef. Non è previsto alcun condono e nessun aumento dell’Iva, ma un piano di dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico pari a 130 miliardi in tre anni. E ancora: liberalizzazioni, potenziamento della lotta all’evasione, modifica delle norme che regolano il mercato del lavoro, taglio della spesa pubblica, semplificazione burocratica e rinegoziazione del fiscal compact. Abbiamo chiesto a Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, cosa ne pensa.



In generale, che idea si è fatto?

Tanto per cominciare, va registrata un’importante novità: il programma riflette la presa di consapevolezza del fatto che l’Italia non se la passi molto bene, ma neanche l’Europa. Se finora il mantra è stato rappresentato dall’equilibrio di bilancio a tutti i costi, oggi si denota un ripensamento dell’orientamento sin qui assunto, volto a lasciar intendere che, effettivamente, i sacrifici sostenuti non sono stati vani. Resta da capire come tutto ciò sarà finanziato. E se sarà fattibile in tempi ragionevoli.



Partiamo dal finanziamento. Si parla, anzitutto, di ristrutturazione radicale della spesa pubblica.

Vede, già il precedente governo, nonché quello attuale, hanno promesso una significativa riduzione della spesa pubblica. Nel corso dell’esecutivo dei tecnici, poi, si è dato particolare risalto alla spending review, celebrandola come operazione innovativa ed epocale. Ma, per l’ennesima volta, si è trattato dei classici tagli lineari. L’elenco di proposte, quindi, dovrebbe articolarsi in maniera più chiara per precisare alcuni aspetti qualitativi e capire come si intenda dare concretezza alle misure promesse che, di per se stesse, sono positive. Non dimentichiamo che a un tale disegno, inoltre, dovrebbero sottendere profonde modifiche istituzionali.



Che tipo di modifiche?

Oggi, per esempio, un’Asl dispone a piacimento delle proprie risorse, all’interno di un quadro regolatorio che attribuisce alla Regioni gli oneri della spesa sanitaria. Significa che affinché la spesa sia ridotta efficacemente e in maniera razionale non si può prescindere da una revisione dell’architettura istituzionale e tributaria dello Stato, a partire, ad esempio, da alcune modifiche al federalismo. In tal senso, visto che si parla della riduzione dell’Irap, mi domando con cosa sarà finanziata la spesa sanitaria regionale.

L’ipotesi è di vendere 130 miliardi di patrimonio pubblico.

E’ una cifra piuttosto elevata. Sarebbe necessario capire, esattamente, cosa si intende per patrimonio immobiliare pubblico e quali strategie si presume di adottare per riuscire a venderlo.  

Ci diceva delle tempistiche…

Salvo alcuni provvedimenti, quali le dismissioni di patrimonio pubblico in cinque anni, non sono stati indicati in maniera precisa i tempi con cui si dovrà procedere. E, con una disoccupazione che viaggia al 12%, non possiamo permetterci di implementare misure che abbiano effetti sul breve-lungo termine.

 

Il programma prevede una serie di misure per rinnovare il mercato del lavoro, quali l’introduzione di un contratto a tempo determinato più flessibile con tutele che aumentino nel tempo.

Senza l’aumento della produttività e il rilancio dell’economia nel suo insieme, ogni misura finalizzata a modificare la disciplina sul lavoro è destinata a lasciare il tempo che trova.

 

Su questo fronte il programma di Monti suggerisce, oltre alle solite liberalizzazioni e al sostegno alle imprese che esportano, l’idea di sviluppare «reti di “business angels” che sostengano finanziariamente la nascita di start up innovative». A questo si aggiunge la volontà di ampliare il mandato «del Fondo Italiano di Investimento in modo che esso agisca da “pietra angolare” per la nascita di nuovi equity funds e credit funds». Cosa ne pensa?

Un tripudio di immagini anglosassoni… Mi sembrano misure un po’ generiche. Giuste, magari. Ma in tempi normali. Non di certo prioritarie in questa fase, dove le imprese falliscono, in primo luogo, perché non riescono a esigere dallo Stato il pagamento di quei 70 miliardi di euro che le pubbliche amministrazioni devono loro.

 

(Paolo Nessi)