La forza dell’euro documenta il ritorno della fiducia nel Vecchio Continente. Lo ha affermato il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, annunciando che il tasso d’interesse rimane invariato allo 0,75%. “La politica monetaria resterà accomodante”, ha aggiunto Draghi, anche grazie al fatto che l’inflazione è scesa dal 2,2% di dicembre al 2% attuale e continuerà a calare. Ilsussidiario.net ha intervistato Mario Deaglio, docente di Economia internazionale all’Università di Torino.
Per Draghi l’euro è forte perché ritorna la fiducia. Ma l’euro forte è davvero un segnale positivo?
Con l’euro forte noi possiamo comprare all’estero a prezzi minori qualunque cosa, incluso il petrolio e le società straniere. Se abbiamo una strategia a livello globale è un dato che ci facilita. Il problema è che queste strategie a livello Ue sono piuttosto carenti e le grandi multinazionali europee non fanno molti investimenti fuori dal Vecchio Continente. L’euro forte d’altra parte fa da scudo ai possibili rischi d’inflazione. Dal punto di vista dell’economia reale, invece, l’euro forte frena le esportazioni. Quindi per un’Europa sulla difensiva e senza una strategia a lungo termine l’euro forte è un impaccio. Se invece avesse un ardito disegno di conquistare il mondo dell’economia, l’euro forte ci agevolerebbe.
Per Draghi “la politica monetaria resterà accomodante”. Questa dichiarazione non è in contraddizione con il fatto che da tempo il governatore della Bce si rifiuta di abbassare il tasso d’interesse dallo 0,75% allo 0,5%?
Il livello del tasso non è l’unico elemento da guardare per capire se una politica sia o meno accomodante. La Fed ha fatto accomodamento stampando moneta nei modi più diversi e ingegnosi. La Bce non può fare altrettanto, ma nel modo in cui si rapporta alle banche, cioè rispetto alla decisione su quanti soldi mettere loro a disposizione sulla linea di credito e quante tasse fare pagare loro, può essere più o meno accomodante. In particolare nei mesi scorsi la Bce ha tolto la remunerazione dai conti attivi per le banche.
Quali sono gli obiettivi di questa mossa?
Quando un anno fa la Bce fece questa iniezione da mille miliardi, per prestarli alle banche europee, riconobbe loro l’1% del tasso di interesse qualora avessero lasciato i soldi presso la stessa banca centrale. Oggi ha tolto questo tasso e quindi quei soldi non fruttano più interessi alle banche, le quali sono invogliate a fare credito a imprese e famiglie. In questo modo la politica della Bce tende per vie non convenzionali a contrastare la crisi, cioè la contrazione della domanda, e quindi a spingere le banche ad attuare una politica piuttosto che un’altra.
Le banche europee finora hanno restituito solo 140,6 miliardi di euro sui 489,2 prestati nella prima operazione Ltro. E’ il segno del fatto che sono in difficoltà?
Il prestito era per tre anni e finora è passato solo un anno. Le banche hanno quindi impiegato quelle somme per una durata triennale. La vera questione è che molto probabilmente le banche europee avevano dei buchi, e questi soldi sono stati incanalati in modo prioritario per chiudere dei passivi simili a quelli che vediamo sorgere in Monte dei Paschi. La mia impressione è che di Monte dei Paschi in Europa ce ne sia più di uno. Per chi osserva in controluce la politica attuata dalla Bce un anno fa, emerge che una delle sue motivazioni era quella di evitare una crisi bancaria. Non tanto in Italia, dove oltre al Monte dei Paschi non ci sono altri casi così gravi o anche meno gravi, ma piuttosto in Germania, nei Paesi Bassi e in Francia.
Da quali segnali si può intuire questa situazione delle banche europee?
Il bilancio della Deutsche Bank che emerge da una recente analisi di Die Zeit mostra una contrazione di utili dell’85%, che equivale praticamente a un loro azzeramento. Deutsche Bank è esposta in varie situazioni e se fa emergere tutte queste esposizioni si evidenzia una struttura debole.
Per quanto riguarda il bilancio Ue si sta creando una contrapposizione tra due blocchi europei: da un lato quello Monti-Hollande-Rajoy e dall’altro quello Merkel-Cameron?
Mettere insieme la Merkel e Cameron è molto fantasioso. Il premier britannico sta affrontando un’economia in crisi, è fuori dall’euro e ha interessi legati alla sopravvivenza della sterlina. La Merkel al contrario è appena toccata dalla crisi, è all’interno dell’Eurozona e le sue problematiche riguardano la politica dell’area euro. Vedo invece come più realistica una linea di convergenza tra la Germania e alcuni suoi vicini settentrionali, come Paesi Bassi e Finlandia.
(Pietro Vernizzi)