Il declassamento dell’Italia (affidabilità del debito) da parte dell’agenzia di valutazioni Fitch è un brutto segnale che dovrebbe modificare i criteri con cui la politica stabilisce le priorità. Sarebbe sciocco reagire al peggioramento dei voti accusando di poca credibilità le agenzie. Queste, in realtà, cercano di ricostruire la loro immagine, compromessa nel passato in materia di prodotti finanziari, offrendo analisi oggettive e anticipative piuttosto ben fatte al riguardo delle nazioni e dei debiti sovrani.
Infatti, Draghi, quando informato anticipatamente del declassamento, ha ritenuto necessario impiegare la sua autorevolezza di presidente della Bce per affermare che si deve mantenere la fiducia sull’Italia. Ma l’argomentazione adottata sembra quasi un disperato arrampicarsi sugli specchi: “Perché ha il pilota automatico”.
Il punto: non è prevedibile che nei prossimi mesi si formi un governo stabile e, soprattutto, che possa essere eseguita una politica economica capace di attutire la tendenza recessiva e poi invertirla. Da un lato, il punto di Draghi, la politica di bilancio tenderà a restare in equilibrio perché governata da vincoli esterni. Dall’altro, il punto di Fitch, la recessione non contenuta da una politica economica adeguata tenderà a peggiorare, riducendo in prospettiva Pil e gettito fiscale, così riducendo la probabilità che l’Italia riesca a sostenere il proprio debito, per altro dato in aumento verso il 130% del Pil stesso.
Infatti, negli scenari economici si sta passando da una stima della recessione italiana nel 2013 attorno al -1% a una peggiore verso il -2%. Per semplificare, senza tagli alla spesa e alle tasse sarà impossibile rialzare gli andamenti dell’economia italiana. Ciò implica un aumento della probabilità che entro due o tre anni l’Italia debba dichiarare l’insolvenza e mettersi in una posizione di uscita dall’euro. Questo, in sostanza, è il segnale dato da Fitch.
Quali conseguenze? Al momento il mercato non è incline a destabilizzare per timore di un’implosione globale, la Germania in campagna per le elezioni di settembre non vuole eventi che evidenzino la fragilità dell’euro per causa italiana.
In sintesi, siamo in una fase di calma prima della tempesta. La politica italiana sta interpretando questo clima come possibilità di mettere in priorità i propri criteri “politichesi”, posponendo gli interventi d’emergenza per l’economia. È un grave errore che ci espone a un rischio crescente di catastrofe.