«Tutto quello che avreste voluto sapere su ciò che è successo negli ultimi trent’anni e non avete mai osato chiedere. Ma se anche aveste chiesto, non avreste avuto risposte». Inizia con questa battuta l’intervista a Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere, quando gli chiediamo di parlare di prezzi e consumi e non del caso Ior, di cui da giorni, dopo mesi di riserbo, iniziano a circolare notizie nuove, anche in virtù del fatto che la Chiesa del Mondo (e non solo la Curia Romana) è riunita per eleggere il nuovo Papa dopo le dimissioni di Benedetto XVI. E sul quantomeno anomalo allontanamento del noto banchiere internazionale, sono molti i cardinali provenienti da tutto il mondo che vogliono sapere qualcosa. È stato proprio Joseph Ratzinger a volerlo non solo alla guida dello Ior, ma anche al suo fianco per la stesura della grande enciclica Caritas in Veritate (2009). E, naturalmente, con le dimissioni di Benedetto XVI, è sorto qualche dubbio in più circa la sua uscita dalla “Banca Vaticana”. Ma, appunto, in questa occasione gli abbiamo chiesto di commentare i recenti dati Istat e Confcommercio sull’arresto dei prezzi e il crollo dei consumi scesi ai livelli del 2004, e il meno recente dato (rapporto Istat 2012) sulla riduzione del potere d’acquisto a 27 anni fa. Anche perché di tutto il resto non ha mai parlato, nessuno è mai riuscito a strappargli nulla se non “Prego per il Santo Padre e per il bene della Chiesa”.
Professore, cosa è realmente successo in questi ultimi 27 anni in Italia?
Da un punto di vista concettuale, la risposta sta in due fatti. Il primo consiste nella mancanza di un “pensiero forte” nel cosiddetto mondo occidentale (Usa ed Europa), mancanza che ha permesso il trionfo del nichilismo e di teorie pseudoscientifiche, quali il malthusianesimo. Si legga in proposito la meravigliosa introduzione di Benedetto XVI in Caritas in Veritate, una vera e propria mini-enciclica sul nichilismo.
E il secondo?
Pochi anni prima dell’affermazione del nichilismo, la parte americana dell’Occidente aveva deciso di porre fine alla Guerra fredda, avendo dimostrato la maggior forza del capitalismo verso il dirigismo e iniziò a godersi i benefici del mercato (grazie alla supremazia tecnologica di chi aveva investito nella difesa, scudi stellari, ecc.). A questo punto il pensiero nichilista, che rappresenta l’uomo sostanzialmente quale animale intelligente da soddisfare praticamente solo materialmente, si combina con la volontà di far esplodere il mercato. Insieme assumono il neomalthusianesimo quale cultura dominante. E l’Occidente smette, egoisticamente, di fare figli, pensando di far stare tutti meglio consumando il più possibile e permettendo di ammortizzare così gli investimenti fatti.
Con quale risultato?
Mentre nel resto del mondo, che non leggeva i saggi neomalthusiani sui limiti dello sviluppo e boom demografico, si continuò a fare figli, come sappiamo il risultato negativo dell’interruzione delle nascite in Occidente fu presto evidenziato, ma non dal punto di vista morale dai filosofi, bensì dal punto di vista economico, dai banchieri. Ci si rese conto che se la popolazione non cresceva, neppure il Pil cresceva, e sarebbe cresciuto, in modo sostenibile; si sarebbe invece interrotto il modello di produzione, risparmio e investimento che è la base del ciclo economico di crescita, venendo così a mancare in prospettiva le risorse finanziarie per mantenere la base monetaria indispensabile al sistema bancario per fare credito. Così, dopo alcune riflessioni su ipotesi non sostenibili (quali maggior produttività, esportazioni, ecc.), si avviò la politica di crescita del Pil attraverso la crescita dei consumi individuali fondata sul principio che il Pil cresce se cresce la domanda, e questa può crescere se cresce la popolazione, ma può anche crescere se crescono i consumi pro capite.
Nasceva così, come lo stesso Pasolini aveva denunciato, la civiltà basata sul “produrre e consumare”…
Proprio così. Ci si è inventati il “consumismo” o la civiltà dei consumi, come fu definita. Peraltro condivisa culturalmente ed “eticamente”, visto che l’uomo era considerato un animale intelligente da soddisfare materialmente. Così si iniziò a creare una generazione di animali intelligenti, obesi (con la pancia piena), guardaroba e garage pieno, intelletto sempre più vuoto e spirito assente…
Ma dal punto di vista economico come poteva funzionare?
Non poteva funzionare, perché per far consumare di più bisogna guadagnare di più, contraddizione evidente con la premessa. Così, per crescere la propensione al consumo, si iniziò sacrificando l’attitudine al risparmio, poi stimolando l’attitudine contraria all’indebitamento. Ma perché tutti possano consumare si devono anche ridurre i prezzi dei beni, per farlo si delocalizzarono in paesi a basso costo molte produzioni. Di fatto si concorse a deindustrializzare progressivamente l’Occidente e a industrializzare l’Asia. In pochi decenni l’Occidente divenne composto da paesi di consumatori non più produttori e l’Asia da paesi di produttori, non ancora consumatori.
Ma un tale ordine economico poteva reggere a lungo?
No, per più ragioni. Primo perché, pur di consumare, i sistemi economici (famiglie, imprese, banche) si indebitarono sempre più. In secondo luogo, perché, invecchiando le popolazioni occidentali, il costo fisso di mantenimento dei sempre più crescenti vecchi cresceva esponenzialmente. Per compensarlo si crebbero le tasse (che sul Pil raddoppiarono in trent’anni) che ovviamente diminuivano il potere d’acquisto e le risorse per fare investimenti. Il ciclo perverso era avviato e non si fermava più. A tal proposito, ci si domanda spesso perché la “finanza” abbia soppiantato l’ “industria”.
Perché?
Ma è evidente: se un’economia si fonda sul debito per consumare beni (importati e non più prodotti), sarà la finanza a occuparsi della gestione sempre più sofisticata del debito (privato, pubblico, ecc.) sempre più costoso e rischioso. I derivati vengono inventati per questo.
Ma quanto può ancora durare tale sistema?
L’abbiamo visto, quando si indebita troppo un sistema (privati, imprese, banche, governi) e i debiti non si possono più pagare, succede che le famiglie non rimborsano i debiti, le imprese non pagano i debiti, le banche saltano, lo Stato che non vuol far saltare le banche le nazionalizza, nazionalizzando di fatto il debito privato e trasformandolo in debito pubblico. Allora ci si rende conto che la crescita era falsata dal debito, era fittizia. Il valore di borsa delle imprese quotate che era giustificato dalla crescita e dagli utili (passati e fittizi) si ridimensiona. Il valore passato degli immobili giustificato da potere di acquisto fittizio e da credito bancario disponibile (mutui) si ridimensiona. Crollando i valori, la domanda e il credito bancario, le imprese soffrono e licenziano o riducono i salari, e così via.
E i governi che fanno?
I governi hanno due problemi, il primo sta nel debito pubblico che è stato creato per sostenere il welfare e per nazionalizzare il debito privato. Il secondo sta nell’esigenza di reagire ricreando un sistema economico in grado di riprendersi dopo anni di deindustrializzazione, debito, rischio non sempre gestito e disoccupazione. Per farlo devono fare riforme. I governi politici temono l’elettorato e le fanno fare dai governi tecnici. I governi tecnici possono riuscirci in funzione soggettiva dello stato dell’economia ed equilibri socio-politici di ogni Paese. Dove è più complesso agire, i tecnici scoprono che ridurre le spese significa ridurre posti di lavoro o creare ingiustizie sociali (agendo su sanità, pensioni, ecc.). Allora sono tentati dalla crescita delle tasse, sui ceti produttivi più abbienti e onesti perché necessariamente trasparenti. Se lo fanno, e le tasse son già troppe, deteriorano ancor più l’equilibrio economico.
Quali possono essere quindi le alternative?
Visto che chi mi intervista è ilsussidiario, darò due risposte, due soluzioni, certo di esser capito, nella seconda senza esser considerato un matto. La prima soluzione sta nel ristabilire gli equilibri naturali dell’economia secondo le sue leggi.
Come può succedere?
I paesi emergenti che han beneficiato della delocalizzazione, con la crisi dell’Occidente, vedono crollare le esportazioni, sono costretti e vendere le produzioni sul proprio mercato domestico, per farlo devono aumentare i (bassi) salari per creare adeguato potere di acquisto, così facendo aumentano i costi e diminuiscono la competitività nei prezzi. Ciò può facilitare la ripresa di competitività dei paesi occidentali che sanno usare meglio la tecnologia e ritrovare così un nuovo equilibrio per re-industrializzare e consumare quanto possibile domesticamente creando occupazione e nuovo ciclo di sviluppo. In più, grazie a ciò al mondo si è creato un nuovo equilibrio tra ricchi e poveri.
E la seconda soluzione?
La seconda soluzione è miracolistica e piacerà a padre Livio Fanzaga (direttore Radio Maria, ndr). Proverò a descriverla per fasi susseguenti. La crisi economica in Occidente provoca maggior sobrietà negli stili di vita. La paura per la perdita del lavoro e per la povertà porta le persone a cercare il senso della vita. Miracolosamente sono in ciò aiutate da preti che son tornati a insegnar dottrina e studiare le Encicliche dei Papi, il Magistero della Chiesa, e trovano nuovo vigore per insegnarlo, i seminari si riempiono e si torna a studiare il Tomismo. Si recupera il senso della vita e si comprende la natura e la dignità dell’uomo che per stare in equilibrio si deve sì soddisfare materialmente, ma anche intellettualmente e spiritualmente. Si torna a investire in Università e conoscenza anziché in supermercati. Si sviluppa più collaborazione all’interno delle nazioni e fra le nazioni.
E tutto questo cosa ci dice?
Si capisce che se i mezzi si gestiscono senza fini sono destinati a non funzionare. La crisi, in pratica, è servita a salvare l’uomo. La prima soluzione, che presuppone una durata lunga, è determinata dalle leggi di mercato. La seconda, che è più duratura nel tempo, vede l’intervento provvidenziale che salva il mondo agendo sugli uomini anziché sugli strumenti. Benedetto XVI aveva visto giusto e bene. E la Madonna di Medjugorje aveva ragione…
(Giuseppe Sabella)