Incidente di percorso o prime avvisaglie di tremori? Ieri il Tesoro ha collocato Btp a 3 e 15 anni per 5,32 miliardi di euro (rispettivamente 3,32 miliardi e 2 miliardi), contro un target massimo di 5,5 miliardi, ma ha dovuto offrire tassi più alti. Il rendimento medio del Btp 2028 è infatti salito al 4,9% dal 4,805% di febbraio e la domanda è stata pari a 1,278 volte l’offerta. Inferiore agli obiettivi l’emissione al 2015, il cui rendimento si è portato al 2,48%, il massimo dallo scorso dicembre e leggermente sotto il rendimento espresso dal secondario, dal 2,3% di un mese fa a fronte di una domanda pari a 1,284 volte l’offerta.



“Il risultato delle aste di Btp è debole, con dei bid-to-cover relativamente bassi sia sul 3 che sul 15 anni”, ha commentato Lyn Graham Taylor, fixed-income strategist di Rabobank, spiegando che “gli investitori potrebbero essere stati spaventati dall’attuale incertezza politica in Italia”. Per Alessandro Giansanti, fixed-income strategist di Ing, l’Italia riesce ad attrarre investitori ma deve pagare pegno: “L’incertezza politica sta creando timori per gli investitori, ma non siamo ancora in una situazione di panico”. Sottoscrivo. Anche perché l’Italia è solo una componente, seppur importante, di un meccanismo più grande, complesso e interconnesso che si chiama Europa. E per quanto fino a oggi il rally delle Borse e gli spread relativamente calmi avessero inviato segnali tranquillizzanti e portato molti a pensare che il peggio fosse passato, così non è.



Per capirlo meglio, occorre guardare agli Usa e alla loro politica monetaria, argomento che sarà il cardine dell’articolo odierno e di quello di domani, quando cercheremo di capire meglio il meccanismo su cui si basa il programma Target2 e, di fatto, la gestione dei capitali nell’Ue. Ma oggi partiamo dalla Fed.

Qualcosa scricchiola nell’infinito diluvio di dollari made in Bernanke che sta mandando i mercati sulla luna? A certificare di sì parrebbe il monito giunto non da un covo di seguaci della scuola austriaca o di weimariani rigidi, ma dall’Institute of International Finance (IIF), eminente simposio che raggruppo 450 banche (gli stessi che hanno trattato lo swap sul debito greco) e secondo cui l’ammontare di liquidità che sta inondando i mercati sta diventando pericoloso, visto che continuando così ogni futuro tentativo di riportare sotto controllo le masse potrebbe da solo ridestabilizzare il sistema. Stando al comunicato ufficiale, “queste condizioni – allentamento quantitativo e tassi ultra-bassi – non possono durare per sempre, il rischio però è che i mercati finanziari ne siano già diventati dipendenti. Più si utilizza la liquidità delle banche centrali per tenere le cose insieme, più eccessi e distorsioni si accumulano nel sistema finanziario. Basta che una parte di quegli eccessi vadano fuori controllo e un evento di rischio sistemico sarà alle porte”.



Il vice-direttore dell’IIF, Hung Tran, ha dichiarato che “le banche centrali dovrebbero essere consapevoli delle conseguenze non desiderate delle loro azioni e, soprattutto, decidere con anticipo come aggiustare la loro politica monetaria sul lungo periodo. Questo, quantomeno, eviterebbe rischi di forti scossoni sui mercati”. Insomma, se a dirti che stai un po’ scherzando col fuoco sono banche come Goldman Sachs, Deutsche Bank, Bnp Paribas, HSBC, Agricultural Bank of China, Bank of Tokyo e altre “too big to fail” a profusione, forse c’è un po’ da riflettere, oltre che da monitorare i rischi inflattivi, come ha detto Ben Bernanke.

Il problema è che la montagna di liquidità che la Fed ha messo in circolo non è servita ad altro che a tamponare una serie di default bancari e a far aumentare le scommesse speculative delle banche, a tutto discapito di economia reale e della cosiddetta “main street”. A certificarlo, sempre l’IIF, che nel comunicato ufficiale, la settimana scorsa sentenziava: “Il nuovo record storico toccato dal Dow Jones è certamente più dovuto al rilassamento delle condizioni monetarie internazionali che a qualsivoglia tipo di ripresa nell’economia reale”.

Ciò che l’IIF non dice, non perché siano più stupidi di me, anzi, ma perché non possono, visto che ne sono i beneficiari, è altro: se la Fed smette troppo presto con la liquidità, viene giù tutto. Eurozona e le sue banche, in testa. Eh già, sapete perché Draghi non cede ad alcuna sirena di allentamento monetario? Per vincoli di statuto? Per paura della Germania? No, perché la liquidità necessaria alle banche europee per stare in piedi la sta fornendo la Fed! Nella settimana terminata il 27 febbraio scorso, la Fed ha infatti iniettato il record di 99 miliardi di dollari di riserve in eccesso presso banche straniere, quasi tutte europee. Basta guardare i numeri del comunicato H.8: “Il totale è passato da 836 miliardi al quasi record di 936 miliardi, con una “riallocazione” in forma di contante presso le banche straniere di 99,3 miliardi in una settimana”. Basta guardare questi due grafici, capaci di spiegare la dura realtà meglio di mille parole.

 

 

 

 

Inoltre, dei quasi due triliardi (1,884) di contante parcheggiato dalla Fed presso banche Usa e straniere, solo 949 miliardi sono depositati in istituti statunitensi. L’altra metà, 936 miliardi, sta tutta in banche straniere operanti negli Usa, la gran parte europee (l’area verde del secondo grafico).

Di più, dei 250 miliardi di dollari totali di nuove riserve create sotto il regime ormai permanente di “allentamento quantitativo”, la gran parte è terminata a banche straniere. Quindi, una spiegazione per le aste piene e gli spread placidi come laghi alpini potrebbe essere che le banche italiane e spagnole, attraverso le filiali Usa, utilizzino i soldi della Fed per comprare Btp e Bonos (non esiste vincolo all’utilizzo di quel denaro), dando di fatto l’impressione che il rischio sovrano dei due paesi – e dell’intera eurozona – sia contenuto e l’allarme rientrato: non a caso, a gennaio le detenzioni di debito italiano da parte di banche del Bel Paese hanno toccato il record di 200 miliardi di euro. Inoltre, l’effetto è duplice per i nostri istituti e per quelli degli altri paesi europei: da un lato tranquillizzare sul fronte spread, dall’altro monetizzare il carry-trade tra tasso d’interesse a cui si prende il prestito il denaro e interesse dell’obbligazione sovrana che si acquista. Insomma, le aste Ltro e la politica della Fed hanno uno scopo comune: tenere in piedi l’eurobaraccone bancario.

Avete infatti mai sentito la Germania lamentarsi ufficialmente della Fed, che da cinque anni allaga i mercati con soldi a pioggia e a tassi a zero, una Weimar all’ennesima potenza e a livello globale? Mai, perché di fatto sta monetizzando il debito al posto della Bce, utilizzando le banche italiane e spagnole come conduttore. Inoltre, colmo dei colmi, a fine anno le banche straniere che per allora staranno detenendo riserve in eccesso statunitensi per qualcosa come 1,5 triliardi di dollari, saranno anche pagate con decine miliardi di dollari di interessi per il “parcheggio”, in base all’Interest on Excess Reserves.

Per ora, tutto tace: il Dow Jones è ai massimi, grazie a quel denaro, l’eurozona sembra diventata Fantasilandia nonostante i dati macro da incubo e il sistema bancario si trascina, calciando ancora un po’ in avanti la lettina della resa dei conti. Ma per quanto la Fed potrà salvare le banche europee per salvare il principale mercato di interscambio commerciale che hanno gli Usa, forti di un export garantito proprio da euro forte e dollaro debole da svalutazione? Se Draghi, come pare, tenterà una svalutazione competitiva dell’euro sui mercati in risposta alla guerra delle valute dichiarata dalle banche centrali che possono stampare moneta, come reagirà Ben Bernanke?

Il Fomc della Fed, già oggi, è spaccato e il fronte dei cosiddetti falchi anti-Qe si allarga di giorno in giorno: potrà Bernanke reggere a questa pressione politica, facendosi scudo sempre e solo del Dow Jones ai massimi? Io credo e temo di no, anche perché trattandosi di un rally artificiale, basterà davvero poco a innescare una correzione dei corsi, anche brusca e soprattutto perché i cittadini hanno già compiuto il processo di deleveraging dei consumi, fatto che farebbe propendere per una normalizzazione della politica dei tassi.

Ma a far capire davvero a che punto di follia siamo, ci pensa anche la Bank of Japan, la quale non solo punta sull’inflazione per deprezzare lo yen sui mercati, ma è pronta, a tal fine, ad acquistare non solo bonds sovrani e corporate, Etf e Reit ma anche derivati! Il governatore della Banca centrale nipponica, Haruhiko Kuroda, ha infatti aperto a questa ipotesi parlando con Bloomberg: “Considereremo con cautela una proposta simile”. Voi capite che una cosa del genere non solo va contro l’obbligo di trasparenza che le banche centrali hanno per quanto riguarda i rischi derivanti da prodotti strutturati, ma potrebbe anche portare a uno shock sistemico in quel supermarket di follia finanziaria da triliardi di dollari che è il derivatives market, visto che quando compra una banca centrale l’effetto è quello di un elefante in una cristalleria.

Siamo in equilibrio a dir poco precario, interconnessi e dipendenti gli uni dagli altri: magari ci salverà Beppe Grillo, per il quale “di fatto siamo già fuori dall’euro. Gli Stati del Nord Europa ci tengono soltanto fino a quando avranno recuperato gli investimenti delle loro banche in titoli di Stato italiano. Allora, ci faranno cadere come una patata bollente”.

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