“L’Italia è già di fatto fuori dall’euro, è già a terra e gli Stati del Nord Europa ci tengono soltanto fino a quando avranno recuperato gli investimenti delle loro banche in titoli di Stato italiano. Allora ci faranno cadere come una patata bollente”. E’ la nuova provocazione di Beppe Grillo nel corso di un’intervista al quotidiano economico tedesco Handelsblatt. Per il leader del Movimento 5 Stelle, bisogna promuovere un referendum online sull’uscita dell’Italia dalla moneta unica e sul Trattato di Lisbona. Ilsussidiario.net ha intervistato sul tema il giornalista economico Oscar Giannino.
L’Italia è davvero già fuori dall’euro come dice Grillo?
Non è così, l’Italia non è affatto fuori dall’euro. Delle due l’una: o quello di Grillo è un auspicio, e io non lo posso condividere, o è una costatazione di fatto ed è infondata. Grillo ripete sempre che ci faranno restare nell’euro solo finché gli intermediari franco-tedeschi non avranno finito di “disintermediare” l’Italia, cioè di liberarsi dei titoli di Stato. Il leader del M5S è contraddetto da un dato di fatto: dopo gli interventi di Draghi a gennaio e a luglio dell’anno scorso, i capitali sia intraeuropei che extraeuropei erano tornati ad avvicinarsi ai Btp. E’ solo in seguito alle elezioni che assistiamo, come nell’asta di ieri, a un peggioramento del rischio sovrano italiano. Non è però in corso ininterrottamente un processo di disintermediazione: anzi, proprio grazie alla Bce e alle stesse tasse di Monti lo spread negli ultimi mesi era sceso.
Sempre Grillo ha ipotizzato un referendum online sull’uscita dalla moneta unica. Che cosa ne pensa di questa proposta?
Sono in generale favorevole a estendere gli strumenti di democrazia diretta, compresi i referendum propositivi, e a togliere il quorum del 50% dei votanti previsto dalla Costituzione. Tuttavia il referendum online è semplicemente un modo per esprimere una volontà ripetuta più volte da Grillo, secondo cui senza l’euro l’Italia starebbe meglio. Su questo non posso essere d’accordo.
Perché?
Perché l’Italia è entrata nell’euro pur avendo dato prove di irresponsabile indisciplina di bilancio pubblico e di competitività nell’economia privata. Non ci hanno messo un basto, la sella che si usa per gli animali da soma, che secondo la tesi di Grillo avrebbe compresso le nostre potenzialità.
Eppure l’austerity europea sta strangolando la nostra economia…
Ritengo che le regole europee vadano cambiate, e del resto molto dipenderà da quanto accadrà in Germania dopo le elezioni di settembre. Che l’euro sia qui per restare sempre non è possibile crederlo, perché se non unifichiamo i mercati dei beni e dei servizi, un unico tasso d’interesse continuerà ad avere come conseguenza il fatto di invitare all’azzardo morale i paesi più deboli in termini di competitività e finanza pubblica. Trovo irresponsabile però pensare che la via d’uscita sia un referendum online, trasmettendo all’opinione pubblica il facile invito a dire “liberandoci dell’euro staremo tutti meglio”.
Quali sarebbero gli effetti di questa decisione?
Un’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro, alla riapertura dei mercati comporterebbe una svalutazione della nostra moneta nazionale, per il sommarsi del rischio sovrano e dei punti di minore competitività. Ciò si ripercuoterebbe in modo reale e immediato sul valore di tutti i risparmi e i patrimoni dei cittadini e sugli attivi delle imprese. Le conseguenze sarebbero devastanti, come ci insegna l’esempio dell’Argentina.
Martedì il Parlamento europeo ha approvato il pacchetto di due regolamenti (Two-pack) sulla governance della zona euro. Lei che cosa ne pensa?
Siamo ancora lontani, anzi agli antipodi rispetto a quanto occorrerebbe fare. Usciamo da tre anni terribili di lentezza e inadeguatezza della politica europea, a cominciare da quella dei paesi leader, che è stata salvata solo comprando tempo grazie alle decisioni di Mario Draghi in Bce. La disponibilità a un cambiamento vero si potrà vedere solo una volta che conosceremo quali saranno le scelte dell’elettorato tedesco nel voto di settembre. Il bilancio europeo è in discesa e implica un’idea di minore politica comune e di minori risorse finanziarie a livello europeo. Eppure di fronte a una contrazione così evidente dell’economia europea, il diverso andamento del bilancio dei pagamenti nella parte corrente va affrontato con più politiche comuni e non con meno come vorrebbe Grillo.
(Pietro Vernizzi)