Ci servono solamente 112,4 miliardi di euro e siamo a posto. E’ la cifra che occorre alle banche europee per rientrare nei criteri stabiliti da Basilea 3, il nuovo accordo sui requisiti minimi bancari in vigore dal 2019. Una cifra enorme, ma in netto miglioramento di 89 miliardi rispetto al 2011, quando sarebbero stati necessari 199 miliardi di euro per ricapitalizzare fino ai livelli richiesti. Si tratta dei risultati emersi dal terzo “Esercizio di monitoraggio” realizzato dall’Eba sulla base dei dati a disposizione al 30 giugno 2012, relativamente alle principali 44 banche europee. Abbiamo chiesto a Giuseppe Pennisi, economista e Consigliere del Cnel, come valutare questi dati.
Come interpretare il risultato dell’analisi dell’Eba?
Semplice: le banche devono ricapitalizzare, e bisogna capire se i meccanismi europei di stabilità finanziaria potranno essere utilizzati per questo scopo. Il problema è che se saranno impiegati in questi termini, non potranno più essere d’aiuto per i salvataggi degli stati. Le risorse sono quelle che sono e non potranno bastare per tutti.
Non ci sono altri modi per ricapitalizzare?
L’altra maniera in cui una banca può aumentare il capitale consiste nel vendere azioni. Tuttavia, il mercato, attualmente, è tutt’altro che favorevole. Oltretutto, le banche, negli ultimi tempi, non si sono di certo costruite una buona reputazione rispetto ai vantaggi che erogano ai propri azionisti. Molti cittadini che hanno investito in banche privatizzate, per esempio, ci hanno rimesso. Un fenomeno che non è tipico dell’Italia, ma che appartiene all’Europa intera. Dubito, quindi, che gli istituti di credito saranno in grado di vendere azioni al dettaglio ai correntisti, così come facevano un tempo. In ogni caso, c’è un’altra strada ancora.
Quale?
Se le vendite di azioni non si riescono a effettuare al dettaglio, occorre trovare grandi investitori disposti ad acquistarle. I soggetti maggiormente preposti per effettuare simili operazioni sono i fondi sovrani. Ne esistono moltissimi. Anche in Europa. Persino l’Italia ha il suo.
Ovvero?
Beh, la Cassa depositi e prestiti è il nostro fondo sovrano. Il problema è che non può essere utilizzato per ricapitalizzare le banche; la sua destinazione d’uso, infatti, consiste in operazioni strategiche.
In ogni caso, 112 miliardi sono una cifra così alta?
Di per sé, non altissima. Il problema è che in un contesto in cui non si riescono a tirare fuori 5,8 miliardi di euro in più per salvare Cipro e scongiurare un rischio sistemico, non sono neppure una cifra così poco ragguardevole.
C’è il rischio che ci rimettano cittadini e aziende?
Se le banche si devono ricapitalizzare, faranno molta più fatica a prestare soldi a famiglie e imprese. Un bel problema, se si considera che uno dei problemi principali del nostro Paese consiste nell’inesigibilità da parte delle imprese di circa 70 miliardi di euro di crediti vantati nei confronti dello Stato. Non dimentichiamo che quando le banche ottennero prestiti a tassi molto favorevoli dalla Bce, invece che utilizzare quei soldi per immetterli nell’economia reale, acquistarono titoli del Tesoro. Lo fecero perché esse stesse non sapevano e non sanno tuttora a quanto ammontano i titoli tossici che hanno in portafoglio.
Come se ne esce?
E’ presumibile e auspicabile che i criteri di Basilea 3 saranno interpreti secondo buon senso. O, se vogliamo, in maniera piuttosto blanda. D’altro canto, non mi risulta che le sanzioni previste per chi si discosta dai parametri fissati siano particolarmente vessatorie.
(Paolo Nessi)