L’Italia è un Paese che sa poco di se stesso, che non si conosce. Le ultime vicende politiche, in primis la scioccante sorpresa dei protagonisti davanti a un risultato elettorale fuori dalle previsioni, evidenziano un distacco cognitivo, oltre che fisico, tra la classe dirigente politica e il Paese reale. Un Paese di certo difficile da afferrare; estremamente frastagliato, ricco di fratture sociali, di differenze culturali e territoriali. L’uso smodato di sondaggi di scarsa validità scientifica, capaci solo di sbagliare grossolanamente i risultati dell’ultima tornata elettorale, è anzi l’esempio più lampante e attuale della deriva “misconoscente” dei nostri politici.



L’Italia è un Paese che, per dirla con Borges, avrebbe bisogno di collegi di cartografi capaci di disegnare mappe dell’impero che abbiano l’immensità dell’impero stesso e che coincidano perfettamente con esso. E di una classe dirigente capace di servirsi di questi strumenti per realizzare quelle riforme “strutturali”, che si chiamano così proprio perché per essere colte e attuate hanno bisogno di un’analisi profonda che veda oltre il momento contingente.



È di qualche giorno fa la notizia del primo rapporto Bes (Benessere equo e solidale), presentato nei giorni scorsi presso la Camera dei Deputati alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano. Il Bes è il nuovo indicatore del Benessere equo e sostenibile, messo a punto da Cnel e Istat, che mira ad “allargare” il concetto di benessere, finora ridotto alla sola dimensione di benessere economico (Pil). Per capirci già Bob Kennedy nel 1968 affermava che il Pil è un indicatore che “non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. E comunque sono già tanti anni che l’Ocse, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale hanno sancito la necessità del “superamento del Pil”.



Sono 134, invece, gli indicatori che rendono possibile la misurazione del Benessere equo e sostenibile, raggruppati a loro volta in dodici “domini”: ambiente, salute, sicurezza, istruzione e formazione, ricerca e innovazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, relazioni sociali, benessere soggettivo, benessere economico, paesaggio e patrimonio culturale, qualità dei servizi, politica e istituzioni. Al centro c’è l’esigenza di misurare realmente la qualità della vita nel suo complesso e un esempio concreto dell’utilità che il Bes può avere ci viene dal dominio delle relazioni sociali, in un momento in cui la coesione sociale è messa a dura prova dagli effetti della crisi.

Dai dati esce un’immagine di un Paese in sofferenza con poca fiducia generalizzata, ma anche con una forte rete di solidarietà che ha saputo resistere e incrementare la propria presenza nonostante la recessione economica e politica. Aumentano le attività di volontariato e gli aiuti gratuiti dati alle persone in difficoltà. Le reti “corte” (cioè vicine ai bisogni) e “strette”, come quelle familiari e amicali, o come quelle delle organizzazioni di volontariato non profit si consolidano andando in controtendenza rispetto al clima dominante. Si tratta per l’associazionismo e il volontariato di un giacimento sorprendente di energie per l’Italia che anche i dati preliminari dell’appena concluso censimento delle Istituzioni non profit dell’Istat danno in aumento (235.000 istituzioni non profit censite nel 2001 rispetto alle 474.000 della lista pre-censuaria dell’attuale censimento).

Il Bes potrà incrementare la consapevolezza delle mille diversità del nostro Paese riuscendo a documentare i molteplici fattori e gli effetti che questi hanno sul benessere dell’intera Italia.