«A Cipro l’Europa stabilisce un nuovo standard di stupidità»: Clive Crook su Bloomberg non poteva essere più esplicito. «Grandi guai per la piccola Cipro», ha scritto Martin Wolf sul Financial Times. Ma è solo così? O Cipro non è una cavia sulla quale sperimentare ben più pesanti regolamenti di conti, per esempio con la Spagna e, soprattutto, con l’Italia? La crisi è tutt’altro che risolta. Le banche restano chiuse fino a martedì. Bocciato il prelievo forzoso sui depositi, si cerca un piano B. Circola l’idea di trasformare i fondi pensione in obbligazioni governative che però non sarebbe gradita alla troika (Ue, Bce, Fmi). Il governo pensa anche di trasferire gli asset “marci” della Laiki bank e della Bank of Cyprus a un veicolo finanziario ad hoc, un fondo o una bad bank. Secondo il Wall Street Journal, una volta ripulite, potrebbero essere vendute alla russa VTB.
Certo, a prima vista la tempesta cipriota sembra proprio la fiera degli errori più grossolani. E questa volta non sfugge nemmeno Mario Draghi, perché è stata la Bce a rifiutare i titoli di debito ciprioti come collaterali per fornire liquidità, tirando il grilletto. Sia chiaro, dal punto di vista tecnico ha ragione. Le banche di Nicosia, ricettacolo di capitali per lo più sporchi o in fuga dalle tasse, sono come le pecore che hanno mangiato erba bagnata, con la pancia gonfia e il corpo troppo piccolo. I loro attivi sono pari a 6,7 volte il prodotto lordo (in Italia è 2,9; in Spagna 3,8 grosso modo in media con l’Europa). Hanno preso troppi rischi con troppo poco capitale. Quindi sono intrinsecamente fragili. Infine, esse sono un’attività economica privata. Perché mai non dovrebbero fallire? Tutti argomenti solidi. Che spiegano perché l’Unione europea ha chiesto che i ciprioti si assumessero le loro responsabilità. Non si può vivere di speculazione e poi chiedere di essere salvati: niente pasti gratis.
Detto ciò, resta la catena di stupidità i cui costi rischiano di ricadere su tutti noi. Stupido è stato non capire che anche il più piccolo e periferico Paese, con il suo prodotto lordo infinitesimale e i suoi debiti minimi rispetto al prodotto e alla ricchezza dell’intera Europa, può provocare una crisi di più grande portata. Il caso Lehman non ha insegnato nulla. Cipro non è sistemica, hanno pensato a Bruxelles. Ah sì? Se è vero che le banche europee (tutte) sono sottocapitalizzate, allora il rischio di un effetto domino che parta dalla periferia è serio. Anche qui, la storia non ha insegnato nulla.
C’è anche una stupidità geopolitica che si aggiunge a quella geoeconomica. Cipro è la lavatrice dei capitali russi. Ciò è deprecabile. Anche se bisogna dire che i soldi dei boiardi di Putin nella City di Londra sono di gran lunga superiori. Ma proprio per questo quella piccola isola nel Mediterraneo assume una rilevanza strategica. La Russia vuole uno sbocco al mare nel Mediterraneo, vicino alle coste mediorientali. Ha cercato di trarre vantaggio dal collasso della Grecia, per esempio offrendo di comprare i suoi porti, compreso il Pireo. Anche i cinesi, affamati di sbocchi non militari, ma mercantili, si sono fatti avanti. È il gioco delle grandi potenze. E Bruxelles non ne ha mai tenuto conto. Così come non ha valutato il ruolo che svolge l’Italia nel Mediterraneo o la Spagna di fronte all’Africa. I conti pubblici sono importanti, sia chiaro. Ma qui siamo ben oltre l’economicismo volgare, come lo chiamavano i classici.
Secondo un’altra scuola di pensiero, siccome il livello di scempiaggine sembra davvero eccessivo, ci dev’essere della logica in questa follia. E la logica sarebbe quella dell’esempio. Qui scatta la sindrome del delitto e del castigo che prevale nell’Europa settentrionale: i ciprioti hanno ballato sulla tolda del loro Titanic, adesso paghino il fio. E ciò lancia un messaggio davvero allarmante. Se Madrid o Roma si troveranno sul punto di chiedere aiuto, ebbene sappiano che spagnoli e italiani dovranno versare lacrime amare. È questo il prezzo del meccanismo salva-stati, riveduto e corretto dalla Bundesbank.
Anche prendendolo per buono, il valore pedagogico del pasticcio cipriota (che noi italiani dovremmo capire al volo e respingere con una vera e propria azione preventiva), non chiude la fiera della stupidità. Non si possono salvare le banche con i soldi dei contribuenti (tanto meno degli altri paesi), ma nemmeno con quelli dei depositanti. L’assicurazione sui depositi sotto i centomila euro è un patto al quale credere o una finzione? È evidente che verrebbe a cadere ogni fiducia, giustificando chi corre a prelevare i propri quattrini e metterli sotto il materasso.
L’Unione europea, insomma, dimostra ancora una volta di non avere un meccanismo sistemico per affrontare la crisi che è crisi bancaria, non solo e non tanto dei debiti sovrani. Oggi Cipro. Ma ieri l’Irlanda, il Portogallo, per non parlare della Grecia e della Spagna. E domani? Già incombe il pericolo della Slovenia il cui sistema creditizio è con l’acqua alla gola. Il metodo migliore è quello adottato in Svezia negli anni ‘90: chiudere le banche che non reggono, cacciare i manager e gli azionisti, far intervenire lo Stato come risanatore e poi mettere le nuove imprese sul mercato. Ma nell’Ue si è scelto di muoversi alla spicciolata in modo che ciascuno possa proteggere gli interessi forti del proprio Paese, parte dello scambio politico che tiene insieme il sistema.
La Germania nel 2008 ha rifiutato una soluzione comune all’americana (creando uno strumento tipo Tarp) proposta dalla Francia (allora ministro dell’Economia era madame Lagarde). Si è fatta il proprio fondo con il quale ha salvato la numero due, la Commerzbank, senza risanarla (tanto che oggi ha ancora problemi di capitale). Intanto, ha tenuto artificiosamente a galla le banche dei Land e le casse di risparmio che ancor oggi hanno una base patrimoniale del tutto insufficiente. Mentre la più potente banca, la Deutsche, continua a inanellare perdite, insuccessi, pasticci finanziari, scandali. Anche per questo Berlino ha messo i bastoni tra le ruote della riforma europea sulla vigilanza bancaria. Adesso, vuole mostrare i muscoli ai più deboli, chiedendo punizioni esemplari.
Lo spirito protestante si rivela una copertura di interessi tutt’altro che spirituali e anche poco luterani, se vogliamo prendere alla lettera frate Martino il quale avrebbe citato volentieri le parole di Luca: medice, cura te ipsum.