In questa situazione di incertezza politica, dovuta all’esito delle elezioni, tra le sfide più impegnative che il prossimo Governo sarà chiamato ad affrontare per veicolare il Paese fuori dalla crisi vi è l’incremento del gettito fiscale. Due saranno le strade percorribili. La prima, “quantitativa”, consistente in ulteriori aumenti della pressione fiscale; la seconda, “qualitativa”, volta a valorizzare l’emersione della base imponibile e a contrastare l’evasione mediante la tracciabilità dei pagamenti, ottimizzando così la raccolta fiscale senza aggravare le aliquote. La seconda via, senz’altro preferibile, può essere efficacemente intrapresa incentivando la diffusione degli strumenti di pagamento elettronici.
Al momento, come emerge dalle statistiche pubblicate dalla Banca centrale europea, per numero di operazioni con carte di pagamento l’Italia è in posizione decisamente arretrata, con poco più di 1,7 miliardi di transazioni annuali nel 2011, a fronte rispettivamente dei circa 10 e 8 miliardi in Regno Unito e Francia (su un totale di circa 38,5 miliardi di transazioni in ambito europeo). Un risultato deludente per la quarta forza economica europea, e in netto contrasto con la positiva percezione dei consumatori italiani nei confronti degli strumenti di pagamento elettronici.
Testimone ne è una recente indagine Ispo, secondo cui il 37% degli italiani è a conoscenza degli elevati costi di gestione del contante (circa 10 miliardi di euro l’anno) e addirittura il 76% considera l’uso della moneta virtuale un utile strumento di contrasto alla criminalità organizzata. La scarsa diffusione dei pagamenti elettronici va dunque ricondotta a un atteggiamento di sostanziale disinteresse, se non di ostilità, nei confronti del tema da parte dei precedenti Governi, cui ha fatto seguito la mancata attuazione delle molte misure a disposizione per incentivare la diffusione degli strumenti di pagamento elettronico.
Una prima incisiva misura è la progressiva e costante riduzione della soglia di utilizzo del contante, anticamera della sua graduale sostituzione con la moneta elettronica. In questo senso si registra il positivo intervento del Governo Monti che con il Decreto Liberalizzazioni ha ridotto a 1.000 euro la soglia massima di utilizzo del contante.
Un ulteriore ambito di azione è quello della promozione dei pagamenti elettronici nei rapporti tra cittadino e Pubblica amministrazione, con il conseguente snellimento procedurale e burocratico. In questa direzione si è mosso in maniera convincente il Governo Monti, promuovendo con il Decreto Sanità il sistema di tracciabilità dei pagamenti per le prestazioni sanitarie, e potenziando con il Decreto Sviluppo Bis l’infrastruttura di accettazione dei pagamenti elettronici da parte delle pubbliche amministrazioni.
Tra le auspicabili azioni del futuro Legislatore, di grande efficacia sarebbe l’incentivazione degli esercenti, attraverso detrazioni fiscali, all’installazione di Pos, con preferenza per quelli di nuova generazione in modo da modernizzare l’infrastruttura e consentire pagamenti avanzati in modalità contactless e tramite dispositivi mobili (smartphone e tablet). Ulteriori interventi potrebbero ben consistere in vere e proprie misure premiali nei confronti dei consumatori virtuosi che utilizzino carte di pagamento.
Un esempio proviene dalle misure adottate con notevole successo in Corea del Sud, dove il Governo locale ha promosso un pacchetto di incentivi consistenti in rimborsi forfettari dell’Iva per gli acquisti con carta e in una lotteria dedicata ai titolari di carte di credito basata su sorteggio delle ricevute delle transazioni effettuate con carta. Tali misure hanno determinato un’esponenziale crescita dei pagamenti con carta producendo un incremento del gettito fiscale superiore ai 20 miliardi di euro in quattro anni, con la conseguenza che attualmente i pagamenti con carta hanno superato quelli in contante.
Viceversa, controproducente è stata l’azione del Governo italiano volta a regolare le commissioni corrisposte dagli esercenti alle imprese che offrono servizi di pagamento anziché sull’incentivazione del consumatore e degli investimenti nell’infrastruttura. Già il Governo Berlusconi era intervenuto in merito, azzerando le commissioni nel settore della distribuzione dei carburanti e disincentivando così le imprese a offrire i propri servizi di pagamento in questo settore. È dimostrato invece che non vi è alcuna correlazione diretta tra il livello delle commissioni e il numero delle transazioni elettroniche (si pensi al caso degli Stati Uniti dove, pur in presenza di volumi di transazioni tra i più elevati nel mondo, il livello delle commissioni è anch’esso molto elevato). In Italia, il livello di tali commissioni è inferiore alla media europea e un’ulteriore riduzione rischierebbe di danneggiare seriamente i consumatori, così come accaduto di recente in Spagna.
In Spagna, infatti, dove le commissioni interbancarie sono state ridotte di quasi il 60% nell’arco di quattro anni, uno studio delle Università Autonoma di Madrid, Rey Juan Carlos e Uned ha rivelato che al significativo risparmio per gli esercenti (circa 2,75 miliardi di euro) non ha fatto riscontro una riduzione dei prezzi di vendita al dettaglio per i consumatori. Al contrario, questi ultimi hanno dovuto fronteggiare un incremento dei costi del 50% dovuto all’aumento delle commissioni annuali sulle carte pari a circa 2,35 miliardi di euro. Questo aumento si è reso necessario per compensare i minori introiti da parte delle imprese che forniscono servizi di pagamento derivanti dalla riduzione delle commissioni. Con la conseguenza controproducente che la riduzione delle commissioni ha in ultima istanza inibito la diffusione e l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici, anziché incentivarli.
L’auspicio è dunque che il prossimo Governo esplori con crescente interesse le opportunità offerte dai pagamenti elettronici, con la consapevolezza che intervenire autoritativamente sulle commissioni, anziché sull’incentivazione del consumatore e degli investimenti per modernizzare l’infrastruttura, non è la giusta rotta.