I disoccupati arrivano a 26,2 milioni e aumentano le famiglie in difficoltà. È quanto emerge dal rapporto trimestrale sull’occupazione e la situazione sociale, presentato dalla Commissione Ue. Alla fine del 2012, le famiglie italiane a basso reddito in difficoltà finanziarie sono aumentate del 15%, il maggiore incremento registrato nell’Unione europea. Aumenti superiori ai 5 punti percentuali si registrano in Irlanda, Cipro, Grecia e Spagna. Un quadro tutt’altro che rassicurante, anche se Domenico De Masi, professore di Sociologia delle professioni presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università “La Sapienza” di Roma non sembra esserne sorpreso.
Come interpreta questi dati?
Per capire cosa sta accadendo basta osservare l’andamento del Prodotto interno lordo. Dal 1952 a oggi abbiamo ridotto il nostro Pil. Non è una crisi recente, negli anni ’50 e ’60 il Prodotto interno lordo cresceva di circa il 5,8%, poi negli anni ’70 si è abbassato al 3,5% poi via via diminuendo fino allo scorso anno quando siamo addirittura andati sotto del 2%. C’è stato, quindi, un progressivo calo del suo incremento e ora stiamo addirittura andando indietro. Tutto l’Occidente segue questo trend: anche negli Stati Uniti la corsa è rallentata e si è vicini allo zero.
Perché sta avvenendo tutto questo?
Perché il mondo è globalizzato, è come un unico mercato e siccome c’erano paesi poveri che stavano molto indietro, come Brasile e Cina, man mano che loro aumentano il loro Pil, noi diminuivamo il nostro. Siamo, per così dire, un mondo a vasi comunicanti. In questo momento l’Italia ha 34mila dollari pro capite di Pil che ci colloca al 23esimo posto nella classifica mondiale (sono 195 i paesi del mondo). Siamo in una buona posizione, anche se 34mila dollari non sono molti, ma dobbiamo pensare che nello stesso momento la Cina ha 4mila dollari e il Brasile 11mila.
Questo cosa comporta?
Che si sta ridistribuendo la ricchezza nel mondo e che via via i paesi dell’Occidente devono abituarsi a vivere un po’ meno bene per far vivere un po’ meglio i paesi emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
Ciò che fa un po’ specie è che in Italia le famiglie che vivono il disagio economico sono aumentate del 15%, mentre in Irlanda, Cipro, Grecia e Spagna del 5%. Perché questa disparità?
Bisogna capire cos’è il disagio: per alcuni può voler dire non mangiare affatto, per altri mangiare del pollo invece che il capretto. Il nostro è un disagio relativo, è il disagio di un Paese ricchissimo: stiamo riducendo i nostri consumi, ma eravamo arrivati a sprechi inauditi.
E quindi, come vanno letti questi dati?
Noi abbiamo 34mila dollari pro capite, molti. Non possiamo pensare di avere 10 volte la ricchezza di un cinese dal momento che la Cina è una potenza che si sta sviluppando rapidamente, quindi io valuto la situazione non come una crisi che passerà, ma come un riequilibrio mondiale delle risorse.
In che senso?
Le risorse prima erano consumate da una quindicina di paesi, diciamo pure dai 32 paesi dell’Ocse, mentre tutti gli altri erano costretti a cedere a bassissimo prezzo sia le materie prime, sia la manodopera. Oggi questi stessi paesi vogliono essere valorizzati per quello che hanno e noi siamo costretti a meno spreco. Non lo vedo come un fatto casuale e destinato a finire, lo vedo come un fatto strutturale che sta portando alla ridistribuzione di ricchezza nel mondo.
Dalla relazione della Commissione Ue si apprende che il disagio “è rimasto abbastanza stabile tra le famiglie a reddito superiore dalla metà del 2012”. Cosa significa?
Che i ricchi diventano sempre più pochi e sempre meno e i poveri diventano sempre più numerosi e sempre più poveri: è la forbice che si allarga, è la crisi del capitalismo, perché il capitalismo vive solo se la ricchezza è ben distribuita, mentre se sono pochi a poter consumare la ricchezza l’economia langue. In Italia ci sono 10 persone che hanno la ricchezza di 3 milioni di italiani poveri e questo non solo è un fatto ingiusto sul piano etico, ma è assurdo sul piano economico perché 10 persone non compreranno mai 3 milioni di scarpe, ad esempio.
Ci dobbiamo aspettare la fine della classe media?
La classe media non c’è nei paesi poverissimi, da noi per fortuna c’è una notevole classe media, certo è quella su cui adesso preme di più la ridistribuzione della ricchezza: i ricchi non cedono neppure una briciola e quindi per far stare un po’ meno male i poveri occorre reprimere la classe media. Questo è un altro harakiri del capitalismo, perché reprimere la classe media significa reprimere la classe che consuma di più.
In questo quadro, secondo lei, quali scenari si apriranno nel futuro?
La ricchezza complessiva del pianeta aumenta di 3-4 punti l’anno: vuol dire che nel 2020 ci sarà un +15% e contemporaneamente il Pil dei paesi ricchi diminuirà di altri punti nel prossimo futuro. Ci sarà un ulteriore sviluppo delle nuove tecnologie che porterà un aumento della disoccupazione e una maggiore parità uomo-donna.
(Elena Pescucci)