Trovo condivisibili le considerazioni espresse da Antonio Intiglietta nei suoi ultimi interventi su IlSussidiario.net, riguardanti la necessità di puntare sull’edilizia per far ripartire l’economia italiana. Provo a rilanciare l’argomento da un altro punto di vista, non alternativo ma complementare.

Negli ultimi anni nell’edilizia sono stati persi 360mila posti di lavoro. Non passa un giorno senza che ci siano imprese che falliscono. Fino all’attuale crisi, l’edilizia era considerata da tutti il volano dell’economia. Parliamo di un’attività che non può essere delocalizzata, diversamente da altre, e proprio per questo può dare un suo importante contributo alla ripartenza del nostro paese.



C’è ancora bisogno di attività edilizia, scrive Intiglietta, ma non di espansione, bensì di riqualificazione urbana e di ristrutturazione urbanistica ed edilizia. Condivido. Abbiamo quartieri mal costruiti, carenti di standards, non rispettosi delle normative sullo sviluppo sostenibile, edifici brutti. Molti poi sono fuori normativa sotto l’aspetto strutturale (troppe volte assolutamente privi di qualsiasi dispositivo antisismico) o impiantistico, con forti carenze negli isolamenti termici ed acustici. I centri abitati di quasi tutte le città stanno perdendo abitanti. Da alcuni decenni a questa parte registriamo grandi spostamenti verso le periferie o i comuni contermini, dove si possono acquistare alloggi nuovi a prezzi meno alti, generando però ricadute non sempre positive sul traffico e sui servizi, perché molti mantengono il luogo di lavoro in città.



La diagnosi è chiara: spostare il focus dell’attività edilizia dalla costruzione di nuovi quartieri residenziali alla riqualificazione delle città. Ma come farlo? In primo luogo riformando la legislazione urbanistica e quella fiscale. Quanto alla legislazione urbanistica, occorre pensare a strumenti quali i PEEP (Piani di edilizia economica popolare) per la riqualificazione dei quartieri degradati. Sul piano fiscale vanno incentivate le ristrutturazioni rispetto agli interventi di nuova edificazione.

Forse ancora più urgente è un intervento governativo sul credito. In poco tempo gli spread sui mutui-cantiere sono passati dallo 0,80/1,00 per cento di 3 o 4 anni fa a 5-6 per cento di qualche mese fa. Oggi le banche, già troppo esposte, non concedono più mutui-cantiere, neanche se si tratta di programmi di riqualificazione urbana validi e proposti da realtà affidabili.



Altro discorso riguarda le compravendite di alloggi, che è assolutamente necessario far ripartire. Dall’inizio della crisi sono drasticamente diminuite, con ricadute negative, tra l’altro, anche per le casse dello stato. Porto l’esempio della provincia in cui opero principalmente, Padova. Qui il valore totale delle transazioni immobiliari nel 2011 ammonta a 11 miliardi contro i 20 miliardi del 2006. Nel 2012 tale valore è ulteriormente diminuito, considerato che nel secondo trimestre del 2012, rispetto all’analogo periodo del 2011, il volume dei mutui erogato è stato inferiore del 49,29%! Questa frenata delle compravendite, oltre creare grossi problemi alle famiglie, che non riescono a trovare la soluzione alle loro esigenze abitative, sta generando forti diminuzioni delle entrate per lo stato, si stima circa 20-25 miliardi in meno da tassa di Registro e da Iva, sostanzialmente quasi tutto l’intero gettito dell’Imu. In questo contesto di recessione e di totale crisi del settore delle costruzioni, sempre a Padova nel 2012 hanno chiuso 500 ditte (40mila a livello nazionale dall’inizio della crisi). In un simile contesto, in cui non c’è più compravendita e spariscono perfino le imprese, si rivelano del tutto irrealistiche le stime di chi conta di ricavare cospicue entrate dalle dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico.

Per sbloccare la situazione e fermare l’emorragia di manodopera e la scomparsa totale delle imprese occorre quindi il lancio di un piano straordinario che preveda la concessione di mutui di elevato importo, fino all’80-90 per cento del prezzo dell’alloggio, di durata anche quarantennale, al tasso del 2-3 per cento all’anno. Le risorse potrebbero essere ricavate, come accenna anche Intiglietta, dalla Cassa Depositi e Prestiti, in quel Fondo di Investimenti per l’Abitare (Fia), che contiene risorse attualmente utilizzate soltanto in piccola parte con il sistema dei fondi immobiliari. Si potrebbe attingere anche dalle casse pensionistiche.

Piccola (ma drammatica) nota finale sull’Imu. Tutti i partiti in campagna elettorale stanno promettendo interventi sull’Imu. Una tassa mal accettata già quando riguarda la prima casa. Ma ancora più devastanti sono stati gli effetti sulle case affittate. L’Imu sugli alloggi dati in affitto a canone concertato ha assorbito mediamente da 2,2 a 3 canoni mensili, con un aumento rispetto all’Ici anche del 2.000-2.500 per cento! In sostanza, tenendo conto anche delle altre tasse che gravano sulla casa, il 60 per cento dell’affitto va a finire nelle casse del fisco! Quali saranno gli effetti di questa iniqua fiscalità sul mercato delle locazioni lo vedremo nei prossimi anni. Ma non c’è da aspettarsi nulla di buono.