L’opinione pubblica italiana è una delle costruzioni collettive più interessanti del nostro Paese assieme alla cosiddetta società civile. Né l’una, né l’altra in realtà esistono, ma si costruiscono di volta in volta sulla base di dinamiche non sempre facili da capire. In questo momento, l’opinione pubblica sembra virare pesantemente verso una spiegazione monolitica dei problemi del Paese: è colpa dell’euro. In verità, questa affermazione si declina di volta in volta in modo specifico. Quindi, diventa “è colpa dei tedeschi e della Germania”. Oppure si orienta a incolpare le banche d’affari e i presunti comitati segreti che si riuniscono in improbabili rifugi simili a quelli partoriti dalla vivace intelligenza e immaginazione degli sceneggiatori della saga di 007 (soprattutto quelli degli anni ‘70-‘80). Ancora, assume fattezze meno affini alla vergognosa satira di fine Ottocento e inizio Novecento contro gli ebrei e si tramuta in una saggia disquisizione sull’impossibilità di stare assieme con paesi a velocità differenti. Il sublime si raggiunge con l’affermazione, degna dell’incontro al bar degli anni ‘50 che vuole il problema essere legato al fatto che “si è fatta l’Europa economica, ma non quella politica”.



Al capezzale dell’Europa si affrettano dotti, magici e sapienti, come in una canzone di Battiato e ci aggiornano sulle condizioni del malato. Poi questi dotti sono un Circo Barnum di economisti, pseudo-economisti, sociologi, politologi, ma soprattutto tuttologi, ben legittimati da un sistema dei media che ha il vizietto di attribuire patenti di competenza un po’ alla rinfusa, spesso ben influenzato dai circoli giusti. E allora, mi son detto, visto che sembra di essere ai pronostici prima del campionato del mondo di calcio, dove tutto vale, anch’io posso dire qualcosa! Sgombriamo il campo dai dubbi. Alcune delle affermazioni contro l’euro hanno anche delle basi ragionevoli, in particolare riconoscere che un unione implica l’accettazione di una solidarietà allargata anche alle cicale che hanno cantato tante, troppe estati, come l’Italia o la Grecia e Cipro. Tuttavia, si dimenticano alcune questioni fondamentali.



In primo luogo, va ricordato che il progresso verso una piena unità politica in Europa è passato per un’unione economica e monetaria, proprio perché esistevano troppi squilibri e troppe differenze. Si è disegnato quindi una specie di imbuto che obbligava tutti ad azioni volte a raggiungere un assetto economico sufficientemente stabile e bilanciato da poter effettivamente consentire il passo successivo. Quando questo è successo, la stampa, i politici, l’opinione pubblica italiana (e non solo in Italia) plaudivano gaudenti. Avevamo allora come oggi con il Fiscal Compact preso degli impegni e uscivamo (grazie all’Europa e grandemente grazie alla Germania) da una storia di inflazione e instabilità economica che oggi si fa in fretta a dimenticare per inseguire un’età dell’oro che esiste solo nelle farneticazioni di fenomeni da baraccone come Beppe Grillo o Gianroberto Casaleggio, ben supportati da opposti estremismi nei partiti tradizionali.



Dopo un po’ ci siamo resi conto che lungi dal celebrare la concorrenza e il mercato, il nostro Paese si divertiva a mantenersi competitivo con manovre protezionistiche interne e progressive svalutazioni competitive ed è iniziato il mal di pancia. Il mal di pancia che come sempre compatta tutti, i sindacati e gli imprenditori, la destra e la sinistra, il barbera e lo champagne, come da memoria di Gaber. Ma serviva un nemico e lo dobbiamo trovare non nella nostra incapacità di fare quello che promettiamo, ma nella “cattiveria” degli altri, in particolare della Germania. Abbiamo avuto più di vent’anni e Governi di ogni colore, ma non lo abbiamo fatto e ora è colpa dell’euro?

In secondo luogo, l’euro è a mio avviso l’unica vera speranza di riformare questo Paese che sembra precipitare nella barbarie di un movimento sociale che è il peggio che si sia mai presentato. Un movimento che spinge al Governo dei tribuni del popolo come Milena Gabanelli (che sarà pur brava, ma appunto a fare altro) e chiede a gran voce che tutto e il contrario venga fatto, senza spiegare come e soprattutto senza accettare responsabilità. L’adultità è il problema dell’Italia e degli italiani. Non riusciamo a capire che i vincoli per quanto tremendi servono a sviluppare la consapevolezza che le azioni comportano conseguenze e che non possiamo sempre cavarcela con il sorriso del simpatico guascone. È ora di crescere, collettivamente. L’uomo nero non è fuori, ma dentro questo nostro psicotico modo di concepire la realtà. L’euro sono i quattro schiaffoni che nessuno ci ha mai dato e che (orrore per i non violenti, visto che siamo anche sempre così sensibili al politically correct) sono contento di aver preso a suo tempo…

In terzo luogo, non è colpa della Germania se la struttura distributiva medioevale europea e il sistema di interessi che ha al suo centro il commercio hanno operato una traduzione da lira a euro evidentemente a danno di tutti noi. Avevamo un Governo che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto. Le associazioni di categoria che tanto si lamentano oggi, allora hanno lasciato fare. Ancora una volta, la radice è la stessa: crescere, è ora di crescere!

Infine, io mi sento profondamente europeo, mi identifico fino in fondo con quella moneta e non ho nessuna nostalgia per la lira, anzi la detesto, perché mi rappresenta un Paese che non sa crescere e cerca sempre un facile alibi. Sono felice di poter viaggiare in tutta Europa e scoprire quanto siamo stati tartassati da un sistema economico interno non competitivo, ma collusivo e spesso parassitario. Non posso credere di essere solo, ma mi chiedo perché sia più semplice per i media continuare a dipingere una situazione così diversa.

Per tutte questa ragioni mi sento di dire viva l’euro e lottare per un Paese finalmente adulto, contro le follie tecno-luddiste (ironia dell’ossimoro) che usano internet per farci credere a idiozie artefatte da abili manipolatori come i Casaleggio boys.

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