The European Investment Bank, meglio conosciuta come la Banca europea per gli investimenti (Bei), ha recentemente prestato alla Vnesheconombank (la banca russa per lo sviluppo e gli affari esteri) 200 milioni di euro che serviranno a cofinanziare un progetto, promosso dal Sistema monetario europeo e dalle medie imprese russe, riguardante lo sviluppo del settore privato, il miglioramento sociale ed economico delle infrastrutture e l’indirizzo climatico nell’ambito dei cambiamenti. In un’Europa travolta dal caso Cipro e dalle difficoltà vissute dalla maggior parte dei paesi che la compongono, questa pioggia di milioni che cade sulla Russia fa riflettere. Tanto più che a elargire il prestito è un’istituzione europea di rilievo. Ilsussidiario.net ha approfondito l’argomento intervistando il giornalista Marco Zatterin, corrispondente da Bruxelles de La Stampa.



Che senso ha in un’Europa in crisi che la Banca europea per gli investimenti finanzi la Russia?

C’è da fare una premessa. Anche se c’è la crisi ci sono un insieme di attività e processi decisionali che vanno avanti. Tre anni fa l’Ue e la Russia hanno definito il partenariato per la modernizzazione, un accordo di cooperazione per facilitare i processi di riforma, accelerare la crescita delle imprese dei due blocchi e favorire il sistema della competitività. In questo ambito l’Ue ha deciso anche di finanziare progetti specifici di imprese russe: per quelle che hanno bisogno di un know how particolare si è fatto un accordo tra Ue e Russia parzialmente finanziato dalla Banca europea per gli investimenti, che si occupa di finanziamenti per banche russe così come europee. Normalmente questi accordi comportano anche uno scambio di conoscenze e vengono giustificati dalla necessità di integrare i sistemi imprenditoriale e produttivo europeo e russo.



Se, però, inseriamo queste operazioni nel contesto attuale con molti paesi europei in difficoltà, certe dinamiche, forse, stonano un po’…

La questione salta senza dubbio agli occhi, esattamente come un paio di anni fa il fatto che l’Ue abbia finanziato (non con soldi a capitale perduto, ma con finanziamenti a basso tasso di interesse) anche società cinesi. Dal punto di vista delle relazioni economiche la cosa non sorprende: può però stupire dal punto di vista politico, perché sia la Russia che la Cina sono paesi con cui l’Europa ha delle relazioni, soprattutto politiche, piuttosto difficoltose.



Ma allora perché si fanno accordi di questo genere?

Da Bruxelles risponderebbero che è un modo per rendere le relazioni più facili. Può darsi che abbiano ragione, ma l’impressione complessiva è che dare i soldi ai russi, che ne hanno in abbondanza, magari non è il modo migliore per intavolare le relazioni con Mosca.

Quale ritorno c’è per l’Unione europea dietro ai finanziamenti alla Russia?

Dipende dal tipo di progetto. In questo caso si parla anche di progetti riguardanti il cambiamento climatico. Noi sappiamo bene che dal punto di vista ambientale la Russia è molto più reticente rispetto all’Europa nell’affrontare temi di protezione dell’ambiente in funzione del cambiamento climatico. Se chiamaste la Bei loro direbbero che “favorendo questi investimenti agevoliamo il diffondersi di una cultura positiva nei confronti del cambiamento climatico”, quindi c’è un ritorno potenziale positivo perché se un’azienda diventa più verde, non essendoci confini per l’ondata di CO2, ne trae beneficio anche l’Europa.

 

Dal suo punto di vista non sarebbe meglio che la Bei investisse su cose realmente urgenti?

La Bei lo fa tutti i giorni. Non credo sia il caso di fare il processo a questa istituzione che fa un lavoro immenso per l’Europa, ma anche per l’Italia. Ha dei capitali che vengono prestati, non investiti, concessi alle imprese europee ogni giorno. Indubbiamente è discutibile l’opportunità politica dell’Europa di usare lo strumento Bei per dialogare con Mosca. Loro direbbero che serve per rafforzare i legami, ma si può ritenere che bisognerebbe essere meno proni e gentili con chi ti tratta male.

 

(Elena Pescucci)