“L’ingovernabilità non porterà al rinvio degli investimenti, a meno che non ci sia una decisione drastica come l’uscita dall’euro”. Lo ha dichiarato Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, in occasione del Salone dell’auto di Ginevra, aggiungendo che “l’importante è avere le idee chiare entro il 2013”. Il dibattito si è acceso particolarmente dopo che Anton Boerner, presidente dell’Associazione degli esportatori tedeschi (Bga), ha parlato di Piani B per l’Italia, sottolineando che “i Paesi del Nord dovrebbero riflettere a porte chiuse sugli scenari d’esecuzione, altrimenti gli italiani possono ricattarci con la minaccia di uscire dall’euro”. Ilsussidiario.net ha intervistato su questo tema Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Professor Fortis, che cosa ne pensa delle dichiarazioni di Boerner?

Queste teorie sono un enorme minestrone di luoghi comuni e inesattezze, che non possono certo portare la Germania sulla giusta strada. Quando Boerner afferma che “gli italiani sono più benestanti dei tedeschi”, bisogna vedere a che cosa si riferisce. Se sta parlando della ricchezza finanziaria netta degli italiani, vuol dire che finalmente i tedeschi hanno fatto una scoperta.



In che senso?

Nel senso che gli italiani hanno una tendenza al risparmio superiore ai tedeschi. Proprio per questo motivo, il nostro debito pubblico non va misurato in rapporto al Pil, bensì rispetto alla ricchezza finanziaria netta. Siccome il rapporto tra debito pubblico italiano e ricchezza finanziaria privata è uguale a quello di Francia e Germania, non si capisce il perché di queste continue pressioni nei nostri confronti. Il nostro debito pubblico è infatti ampiamente coperto dalle nostre risorse finanziarie private.

In molti prospettano per l’Italia un futuro simile alla situazione della Grecia …



Il vero problema della Grecia non è il fatto che non riesce a pagare il debito con il Pil, ma che la ricchezza finanziaria delle famiglie è pari ormai al 47% del Pil, e quindi non può bastare a ricomprare il debito pubblico. La quota del debito pubblico italiano finanziato da stranieri, pari al 35%, è invece più bassa di quella della Germania, superiore al 40%. Gli italiani sono in grado di acquistare l’intero debito pubblico, e anche in questa ipotesi resterebbero con un 50% di ricchezza finanziaria ancora a disposizione per comprare azioni e obbligazioni private. La miopia tedesca nell’analisi delle grandezze macro-finanziarie costringe l’Italia a operare una politica recessiva del tutto incomprensibile.

Per quale motivo la definisce incomprensibile?

Perché mancano del tutto i presupposti per costringere l’Italia a dei contorsionismi cui non sono sottoposti altri paesi che hanno debiti uguali al nostro. Nel 2014 la Francia raggiungerà un debito pubblico da 1.950 miliardi di euro, la Germania da 2.150 miliardi, l’Inghilterra è pari quasi a 2mila miliardi. Stiamo quindi parlando di un’Italia che, essendo costretta dalla schiavitù ideologica del rapporto debito/Pil ad attuare delle riduzioni di conti pubblici con effetti autolesionistici, è obbligata a rimanere perennemente in recessione.

 

Alla Germania converrebbe un’uscita dell’Italia dall’euro?

 

Gli esportatori tedeschi, più che auspicare un’uscita dell’Italia dall’euro, chiedono che la Germania si doti di un piano per evitare che l’Italia utilizzi la minaccia dell’uscita dall’euro per costringere Berlino ad abbassare le ali sulla questione del rigore.

 

Che cosa accadrebbe al nostro Paese se tornasse alla lira?

 

L’Italia ha un deficit per il petrolio e il gas che viaggia intorno ai 65/70 miliardi di euro. Un’uscita dall’euro provocherebbe con ogni probabilità il deprezzamento della lira del 20/25%. Dovremmo quindi aggiungere alla nostra bolletta energetica nazionale un 25% di spesa in più, e a farne le spese sarebbero le imprese e i cittadini. Produrre energia elettrica diventerebbe più costoso, e lo stesso varrebbe per la produzione dell’acciaio. Alcuni settori particolarmente energivori della nostra industria sarebbero spiazzati completamente.

 

Che cosa cambierebbe per la nostra industria?

 

Una volta smesso di produrre il vetro, l’acciaio e il cemento dovremo importarlo. Con un ritorno a una lira svalutata, diventerebbe molto più difficoltoso anche l’acquisto di materie prime come il rame e l’ottone, con cui realizziamo per esempio i rubinetti di cui siamo i primi esportatori mondiali, ma anche del cotone, della lana, della seta e delle pelli indispensabili per il nostro settore tessile. Trovo quindi assurda l’idea che l’Italia possa vivere fuori dall’euro con condizioni di cambio sfavorevoli rispetto a Francia, Germania e Paesi Bassi. Negli anni dell’euro il nostro Paese è stato in grado di dimostrare di essere più competitivo dei tedeschi nella meccanica: alla nostra industria conviene quindi restare nella moneta unica.

 

(Pietro Vernizzi)

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