Circa 6mila tra privati cittadini ed entità legali hanno ritirato decine di milioni di euro in contanti dalle banche cipriote e li hanno spostati all’estero nel periodo compreso tra l’1 e il 15 marzo scorsi, subito prima che il governo di Nicosia concludesse l’accordo con i creditori privati e accettasse il cosiddetto bail-in, ovvero il prelievo forzoso sui conti correnti superiori ai 100mila euro. Il dato è stato fornito ieri dalla Banca centrale di Cipro al Comitato etico del Parlamento, il cui presidente, Dimitris Syllouris, ha confermato come ci siano casi di transazioni multiple da parte di medesime persone e come le informazioni ricevute coprano soltanto i primi quindici giorni di marzo, quando l’organo da lui presieduto – e che sta investigando sulla fuga di capitali – aveva richiesto la mappatura da inizio anno.
In attesa che domani la Banca centrale risponda alle domande del Comitato riunito in sessione straordinaria, resta una domanda: perché tanto tempo prima di risolvere la crisi di Cipro, quando si sapeva fin dai tempi dello swap greco che il problema delle banche di Nicosia era principalmente proprio l’esposizione ai titoli di Stato ellenici? Perché aspettare silenti fino al marzo di quest’anno e poi imporre alle autorità cipriote di intervenire con il machete in una sola settimana, arrivando al prelievo forzoso sui conti correnti sopra i 100mila e al congelamento di altre somme detenute nelle banche?
Basta guardare ai dati forniti dalla Bce per capire che qualcosa non va, che il problema era noto a tutti almeno dalla metà del 2011, subito dopo il primo haircut greco e che dopo il secondo swap, quello di inizio 2012, i numeri parlavano chiaro: a Cipro c’era un buco da 11 miliardi su un totale di 100 miliardi di assets, quasi tutto incentrato nelle due principali banche del Paese, detentrici di metà dei depositi dell’isola. Basta guardare i numeri: il primo haircut pesò per il 53%, tramutatosi nel marzo del 2012 in un taglio reale sui bonds dell’85%. Guardate il grafico più in basso, spiega più di mille parole gli effetti dell’haircut sempre crescente in base ai vari tipi di bonds detenuti dalle banche cipriote. Ciò che interessa a noi è la linea rossa, quella denominata “all off-island Eurozone Government Bonds”. Bene, in parole povere quelle linea rappresenta i bonds greci detenuti dalle due banche cipriote andate a zampe all’aria: si passa da un valore di 12 miliardi di euro di metà 2011 a 1 miliardo di euro all’inizio del 2012: un haircut da 11 miliardi, interamente dovuto al default greco.
Perché, quindi, l’eurozona e i suoi leader hanno atteso così a lungo per risolvere il problema, quando già a inizio 2012 era chiaro anche ai ciechi che con un buco da 11 miliardi di euro, quelle banche già ultra-esposte alla leva stavano per scoppiare? Perché la Bce ha continuato a fornire denaro a fronte di collaterale sempre più scadente e non ha detto “alt”, esattamente come fatto lo scorso marzo, minacciando di chiudere i rubinetti anche all’Ela? Per una ragione semplice: le banche tedesche e francesi dovevano avere il tempo di portare via i loro soldi depositati a Cipro, prima di subire il prelievo forzoso e potendo poi vendere al mondo la balla degli oligarchi russi brutti e cattivi da punire.
Ma perché depositare i soldi a Cipro? I depositi bancari, per loro natura, sono di tre tipi primari: di privati, di aziende e di altre banche. Le prime due categorie hanno rapporti di lungo termine con la banca e muovono il denaro molto lentamente. I depositi da parte di altre banche, invece, vengono definiti “hot money”, perché arrivano in fretta e altrettanto rapidamente se ne vanno. Perché? Perché il loro unico interesse è guadagnare sul differenziale dei tassi di interesse, punto. Una banca tedesca, ad esempio, paga un tasso di interesse molto basso per i depositi overnight, quindi dovrebbe ampliare a dismisura e di continuo la platea di nuovi depositari per guadagnare. Ma se si guarda bene altrove ci sono posti dove i tassi si fanno davvero interessanti. Dove? A Cipro, ad esempio. Dove un deposito overnight viene remunerato con l’1,1% contro lo 0,55% in Germania ma un conto deposito di un anno frutta il 2,8% e un deposito a tempo, sempre vincolato per un anno, addirittura il 4,9%. Insomma, tutto profitto, frutto di un gioco di spread sui tassi. Il tutto, però, a condizione che le banche cipriote non falliscano, altrimenti boom! Si perde, eccome.
E quanto avrebbero guadagnato le banche tedesche da questo giochino? Basta sottrarre il tasso overnight tedesco da quello di un conto a tempo cipriota (4,9-0,55) e moltiplicarlo per 60 miliardi di euro: fanno 2,61 miliardi di profitto l’anno. Troppi dite? Allora facciamo i braccini e usiamo l’ultimo dato disponibile, quello di fine 2011, ovvero più di 20 miliardi di euro: è quasi un miliardo di interesse l’anno. Non male, visto che lo sforzo massimo richiesto è quello di trasferire i fondi e aver pazienza per dodici mesi. In un contesto normale, nulla di che. Ma in quello dell’eurozona e post-swap greco, c’è da tenere gli occhi aperti: occorre essere preveggenti o informati da chi di dovere, perché occorre avere il tempo di svincolare i soldi prima del default e, soprattutto, smettere di trasferirne un anno prima. Roba da Houdini! Anche perché, altrimenti, a fronte di un 4,9% di interesse annuo, si va a pagare un haircut spropositato sui conti correnti (e vi assicuro, le banche versano più di 100mila euro).
Ora guardate questo altro grafico qui sotto, ci fornisce l’orizzonte temporale con cui i vari depositari della banche cipriote hanno saputo anticipare la crisi sul totale delle fonti di deposito estere. In nero l’eurozona, quindi principalmente banche tedesche e francesi; in rosso cittadini e aziende cipriote; in blu, le banche cipriote; in verde le banche extra-eurozona; in arancione depositari russi e britannici. Dando un’occhiata alle scadenze temporali, vediamo che alla fine del 2011 – quando si sapeva che la Grecia avrebbe fatto default e quindi i regolatori, quanto meno l’Eba, sapeva che le banche cipriote erano fritte – l’ammontare di depositi da parte di banche dell’eurozona era di oltre 20 miliardi di euro, un bagno di sangue se a Cipro si fosse applicato prima del tempo il bail-in con prelievo forzoso. Soprattutto perché all’epoca, quei soldi erano vincolati in depositi a tempo per guadagnare il massimo sui tassi: nessuno poteva prelevarli, restavano a Cipro. Ma con il passare del tempo, le banche francesi e tedesche hanno dimezzato le loro detenzioni a Cipro passando da 20 a 10 miliardi, ovvero man mano che scadevano i contratti a tempo, i soldi venivano rimpatriati al volo.
Una volta raggiunto il livello desiderato, ecco che l’Eurogruppo impone a Cipro misure draconiane sui conti per risolvere una situazione nota a tutti da almeno un anno e mezzo. Che la mossa sia stata strumentale a evitare perdite alle banche dell’Ue è chiaro, visto che i depositi russi sono stati svuotati durante la chiusura degli istituti attraverso sussidiarie a Londra e in Russia (quindi all’ultimo) e i depositari ciprioti – cittadini e aziende – sono quasi gli unici ad averci lasciato la ghirba con il prelievo forzoso. Perché però non ritirare tutto? Perché solo metà dei depositi ciprioti è stato coinvolto nel bail-in, quindi i soldi francesi e tedeschi rimasti, con ogni probabilità, sono in banche cipriote sane.
Che morale trarre da questa storia? Per quanto mi riguarda, una: d’ora in poi, grazie all’interconnessione del sistema bancario europeo, converrà tenere bene d’occhio i flussi di capitale esteri in uscita dalle varie banche dei paesi Ue. Potrebbe essere il termometro migliore non solo per capire dove sorgerà la prossima crisi ma anche quando. Miracoli dell’Ue. Sta di fatto che la richiesta di danni avanzata dalla Grecia contro la Germania, sia per la Prima che per la Seconda guerra mondiale e, soprattutto, il suo timing, puzzano lontano un miglio di vendetta per sé e per Cipro. Primo, perché Panagiotis Karakousis, direttore generale della Ragioneria generale dello Stato, ha detto chiaro e tondo che il report al riguardo è stato commissionato dall’attuale governo Samaras e non da quello precedente a guida Pasok. Secondo, perché includere la Prima guerra mondiale, quando la Grecia entrò nel conflitto solo nel 1917 e combatté principalmente contro la Bulgaria, appare un azzardo storico non da poco.
Resta il fatto che il documento – frutto del lavoro di un comitato di esperti nominato dal ministero delle Finanze greco e basato su oltre 190mila pagine di documenti storici – è stato presentato ai funzionari il mese scorso e presenta un conto di risarcimento per danni bellici verso la Germania di 162 miliardi di euro, di cui 108 per la ricostruzione delle infrastrutture del Paese dopo l’occupazione nazista tra il 1941 e il 1944: equivale all’80% del Pil greco. E la chiamano Europa.