Vuoi vedere che ha ragione Beppe Grillo, ovvero che un governo non serve e basta il lavoro del Parlamento? Oppure vuoi vedere che quella buffonata sesquipedale dell’incontro tra Bersani e Berlusconi è riuscita invece a infondere fiducia nei mercati? Sarà come sarà, ieri il Tesoro italiano è riuscito a collocare 11 miliardi di euro di Bot (8 miliardi di Bot annuali e 3 miliardi di Bot a 3 mesi), con il rendimento del Bot a 12 mesi sceso dall’1,280% allo 0,922% e la ratio bid to cover salita da 1,50 a 1,64. Di più, il rendimento del Bot a 3 mesi ha mostrato addirittura una flessione dallo 0,765%, registrato nell’ultima asta del 10 ottobre, al minimo storico dello 0,243% e un rapporto di copertura in discesa da 2,79 a 1,90. «Un’asta brillante che ha evidenziato dei rendimenti in forte ribasso e bid to cover ratio molto buoni», ha commentato a caldo con MF, Filippo A. Diodovich, market strategist di IG. Al risultato dell’asta ha contribuito «anche un lieve allentamento delle tensioni sull’incertezza politica italiana dopo il primo incontro tra Bersani e Berlusconi e la possibile apertura di entrambi i partiti a formare il governissimo», aggiungeva l’esperto.



Il risultato dell’asta, inoltre, ha aumentato l’ottimismo per il collocamento del Btp a 3 anni di stamattina e soprattutto del Btp Italia che sarà lanciato lunedì 15 aprile, già snobbato però con comunicati ufficiali sia da BlackRock che da Pimco, tanto per dire quanta fiducia infonde l’Italia agli investitori internazionali. «Nell’emissione di oggi non c’è traccia di tensioni legate allo scenario politico del Paese», osservava sempre con MF, Alessandro Giansanti, fixed income strategist di Ing, sottolineando che le obbligazioni italiane stanno beneficiando anche del miglior clima che si respira sull’obbligazionario europeo da quando la Bank of Japan ha lanciato le nuove misure di stimolo monetario la scorsa settimana. E qui casca l’asino. Anzi, due.



Al netto del rispetto che si deve ad analisti, broker e trader, l’asta di ieri è andata benissimo per un solo motivo: le banche italiane stanno comprando titoli di Stato come non ci fosse un domani, altro che scenario politico rasserenato. E lo fanno sia perché non hanno ancora restituito alla Bce i soldi delle due aste Ltro, sia perché quei pezzi di carta servono proprio per essere utilizzati come collaterale presso l’Eurotower per farsi finanziare ancora e ancora. Pochi giorni fa, mi sembra durante una puntata di Porta a porta, il capogruppo alla Camera del Pdl, Renato Brunetta, riferendosi allo spread e al suo immobilismo attuale, nonostante il caos politico più assoluto, parlava di “manina” in grado di fare scendere e salire il differenziale di rendimento alla bisogna.



Aveva ragione, ma non serve affatto andare a cercarla lontano quella “manina” o, peggio, palesare sospetti di complotti internazionali, che pure ci sono stati. Basta leggere il bollettino di Banca d’Italia di martedì e guardare questo grafico: a febbraio, le detenzioni di debito italiano da parte di banche del Bel Paese è salita al massimo storico, qualcosa come 351,6 miliardi di euro!

D’altronde, perché non farlo: su alcune scadenze, anche brevi, esiste ancora un margine di carry trade rispetto all’1% a cui si sono presi in prestito soldi dalla Bce e, soprattutto, l’Eurotower valuta il debito italiano come “cash good collateral”, ovvero garanzia eligibile per i programmi di finanziamento, ordinari e straordinari. Quindi, le banche fanno le brave con il governo Monti, che come sempre continua a tutelarle, gli tengono basso lo spread così a Bruxelles sono contenti e nel frattempo si abbuffano di carta emessa dal Tesoro per farsi finanziare dalla Bce e imbellettare bilanci e cap ratio. Ecco la “manina”, anzi la “manona” giustamente evocata da Renato Brunetta.

E ora veniamo al secondo asino che casca, ovvero il sentiment che la politica ultra-espansiva della Banca centrale giapponese ha instaurato sul mercato obbligazionario. Ma cosa stanno combinando a Tokyo? «Quanto sta facendo la Bank of Japan sarà ricordato nei libri di storia come uno spartiacque nell’azione delle banche centrali»: non ha dubbi Stephen Jen della SLJ Partners nel descrivere il gigantesco programma di allentamento quantitativo posto in essere dalla Banca centrale nipponica, un’operazione che vedrà la base monetaria passare dal 29% al 56% del Pil entro il 2014 e l’acquisto mensile di bonds per 7,5 triliardi di yen (circa 60 miliardi di euro), oltre il triplo di quanto messo in campo dalla Fed. Inoltre, le scadenze saranno spalmate su 40 anni, chiudendo una stagione di cap a tre anni durata per oltre una decade. Per Tim Congdon dell’International Monetary Research, «si tratta di una somma enorme, qualcosa che può scatenare l’economia se la BoJ compra bonds dalle società assicurative ed espande la massa monetaria del 10% entro l’anno prossimo». Insomma, Tokyo è pronta a tutto per raggiungere l’obiettivo di inflazione al 2% entro i prossimi due anni. E per far deprezzare lo yen sul mercato dei cambi.

Per Hans Redeker di Morgan Stanley, «il pacchetto è abbastanza d’impatto per rompere l’Endaka – lo yen forte – una volta per tutte. Il carry trade sta per entrare in azione su larga scala. I fondi istituzionali giapponesi abbasseranno i loro hedge valutari dal 70% a una ratio più normale del 35%, liberando qualcosa come 1 triliardo di dollari di prestiti all’estero». Di più, «questa è una gigantesca macchina da reddito fisso. I giapponesi, infatti, non comprano equity o real estate, solo obbligazioni e penso che faranno un pensierino a mercati della periferia dell’eurozona come Italia e Spagna». Ci sono poi i risparmi di casalinghe e anziane – la cosiddetta, mitica “Miss Watanabe” -, pronti a portare all’estero un altro triliardo di yen in cerca di rendimenti, esattamente come accadde nel ciclo 2003-2008, anche se la tensione con la Cina e la minaccia della Corea del Nord, oltre ad alcuni investimenti islandesi non certo andati a buon fine, potrebbero riportare gli investitori nipponici a maggiore cautela, questa volta.

Certo, i rischi non mancano, primo quello di un misunderstanding con i mercati, i quali potrebbero pensare che la BoJ stia stampando moneta per coprire i deficit fiscali del Paese: in quel caso, i rendimenti potrebbero schizzare. Oppure il rischio di un trappola britannica, ovvero inflazione che sale ma salari al palo, quindi una contrazione nelle entrate reali e nel potere d’acquisto. Ma nel breve, è l’Europa a pagare il conto, visto che oltre a non aver messo in campo alcuna misura per contrastare la restrizione del credito in Italia e Spagna, ora la Bce è preoccupata per una sopravvalutazione dell’euro, «l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa», sottolinea Hans Redeker. Anche perché da luglio dello scorso anno, l’euro si è già apprezzato del 32% sullo yen, fornendo un assist agli esportatori giapponesi rispetto ai rivali europei. Un report interno della Ford, lo scorso mese, metteva in guardia dalla possibilità che l’intero mercato europeo dell’auto possa essere a breve colonizzato dai produttori giapponesi. Insomma, una bella pietra tombale per l’economia Ue.

Ma restando all’Italia, siamo sicuri di poter contare sul clima da festa obbligazionaria innescata dal gigantesco azzardo del Giappone? I giapponesi compreranno davvero bond italiani e spagnoli, sostituendosi al mercato e alla Bce o faranno come cinesi e russi, ovvero annunceranno interesse per l’acquisto, salvo poi comprare tonnellate d’oro? E se la Fed, come pare probabile, non potrà continuare ancora a lungo con la sua politica di tassi a zero e dovrà alzarli, ancorché gradualmente, siamo sicuri che resterà l’appetito per le obbligazioni, col rischio che il combinato tassi-inflazione se ne mangi i margini di profitto e si inneschi una correzione? Per quanto, poi, le banche italiane potranno continuare a comprare obbligazioni italiane e la Bce accettarle come collaterale, soprattutto con l’approssimarsi del voto di settembre in Germania che vede il 24% dei tedeschi propensi a votare per il partito anti-Ue e anti-euro “Alternativa per la Germania”?

Tanto più che proprio ieri la Commissione Ue è tornata a mettere l’accento sulle debolezze italiane, sottolineando la perdita di competitività dell’economia, il forte indebitamento dello Stato e soprattutto la fragilità del settore bancario. Il giudizio, contenuto in un rapporto sugli squilibri macroeconomici nell’Unione, induce l’esecutivo comunitario a definire «consistente il rischio di un potenziale contagio economico e finanziario della crisi italiana al resto della zona euro, nel caso di un ritorno delle tensioni sui mercati». Per la Commissione, le banche italiane sono oberate da «uno stock importante di sofferenze creditizie» che contribuisce a un costo del denaro più elevato di quello che dovrebbe prevalere, tenuto conto dei tassi d’interesse ufficiali. Comprare Bot e Btp come non ci fosse un domani è forse la risposta a queste criticità?

Inoltre, un altro Paese sta per mettersi in coda con il cappello in mano di fronte alla troika. L’altro giorno la Slovenia ha piazzato sul mercato solo 56 milioni di euro dei 100 preventivati per un’emissione obbligazionaria a breve e dalle banche arrivano scricchiolii sinistri. Guardate questo grafico: ci mostra i non-performing loans, ovvero le sofferenze bancarie sui prestiti, degli istituti sloveni. La media è del 14%, ma per le banche più grandi e controllate dallo Stato eravamo già oltre il 30% alla fine del 2012, quindi oggi potremmo già avvicinarci al 35%. Serve almeno una ricapitalizzazione da un miliardo e anche abbastanza in fretta, visto che il cds della Slovenia è al massimo da sei mesi. E la bomba comincia a ticchettare. Sperate pure nel Giappone.