Neanche i conti in ordine: l’elemento in assoluto più qualificante del governo tuttora in carica potrebbe rivelarsi un bluff. Astrattamente, rientriamo perfettamente nei parametri di Maastricht, che impongono come limite massimo al rapporto deficit/Pil la soglia del 3%. Per il 2013 siamo al 2,9%, nel 2014 saremo all’1,8% e nel 2015 al 2,5%. Queste, per lo meno, sono le stime contenute nel Def appena approvato dal governo. Che, tuttavia, non tiene conto di una serie di imprevisti quali l’ipotesi che l’Imu venga rivista (come hanno promesso tutte le forze politiche), i pagamenti in scadenza alle Pa e le risorse necessarie per rifinanziare la Cassa integrazione in deroga. Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica presso l’Università Bicocca di Milano, aveva già da tempo previsto su queste pagine un simile scenario.



Si poteva immaginare che sarebbe andata a finire così?

Già nel dicembre del 2011 lo feci presente. Dato che il governo stava approntando una manovra recessiva, e siccome il Pil ne avrebbe risentito negativamente, non si sarebbe dovuto calcolare il gettito in maniera ragionieristica. Applicando, cioè, le nuove aliquote ai vecchi imponibili. Invece, è quello che hanno fatto i ragionieri dello Stato. Tale miopia ha prodotto alcuni effetti drammatici.



Ci spieghi meglio.

Nel 2013 avremmo dovuto osservare gli effetti di tre manovre: l’ultima di Tremonti e due di Monti, per un ammontare di 49 miliardi, ovvero 3,2 punti di pil. Tuttavia, il miglioramento dei contri pubblici, ovvero del raporto deficit/Pil, è stato di soli 0,8 punti percentuali. Mancano, evidentemente, all’appello, 2,4 punti.

Che fine hanno fatto?

Per ogni 4 euro di manovra, uno è servito per migliorare i conti, gli altri tre si sono “persi per strada”. E’ come se le risorse si fossero trasferite dal contribuente al beneficiario attraverso un secchio d’acqua bucato.



Cosa intende con “persi per strada”?

Significa che questi soldi sono svaniti nella recessione: sul reddito prodotto si sono pagate aliquote più alte; ma sono diminuiti i redditi. E, alle tasse raccolte, si è dovuto sottrarre quelle che non è stato possibile raccogliere perché non c’era il reddito cui applicarle. Un fenomeno estremamente negativo: per l’economia (una parte di ricchezza non è stata prodotta), per il Fisco (è diminuita la base imponibile) e per il contribuente (il suo reddito netto, per la crisi e per le tasse, è diminuito).

A quanto potrebbe ammontare il mancato introito?

Difficile quantificarlo. Dipende tutto da quando la crisi si frenerà. In ogni caso, parliamo dell’ordine di decine di miliardi di euro.

 

Cosa dovrà fare il prossimo governo?

L’unica cosa che dovrebbe fare è una manovra finanziaria per ridurre le tasse.

 

A chi?

Alle imprese, anzitutto. Magari, abbassando il cuneo fiscale, in modo da consentirle di assumere. A fronte di un minor gettito nell’immediato, sul breve-lungo periodo l’aumento di produttività indotto dal minor carico fiscale consentirebbe l’aumento della base imponibile. E il recupero pieno del gettito inizialmente perduto. E ai cittadini. Per dare, quantomeno, un segnale.

 

E se invece il prossimo governo non invertirà la rotta rispetto a quello precedente?

L’avvitamento recessivo andrà avanti sino al suicidio economico. Saremo destinati a fare la fine della Grecia. 

 

Monti,nel frattempo, ha risposto al commissario europeo Olli Rehn, che paventava il rischio di un contagio da parte dell’Italia al resto dell’Ue, negando decisamente l’ipotesi… 

Per ora, effettivamente non rischiamo di contagiare nessuno. Non abbiamo possibilità di fare danni dal punto di vista finanziario. Non abbiamo, infatti, una massa particolarmente ingente di titoli pubblici da rinnovare, mentre la nostra esposizione pubblica verso l’estero si è, negli ultimi mesi, notevolmente ridotta. Se entro un anno-anno e mezzo non cambiamo rotta, allora sì che costituiremo un problema serio, oltre che per noi stessi, per l’Europa.

 

(Paolo Nessi