Già da quest’anno il prossimo governo rischia di dover varare una manovra economica aggiuntiva da 6 a 8 miliardi di euro per rifinanziare una serie di spese non più prorogabili. La versione definitiva del Documento di economia e finanza (Def), quindi, appare decisamente meno rosea di quanto previsto, anche perché, come se non bastasse, si parla già di manovre per 20 miliardi nel triennio 2015-2017 se l’Imu non dovesse essere tolta. Al contrario, come sottolinea anche Gustavo Piga, professore di Economia politica presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, se l’attuale imposizione sulla casa dovesse saltare (come molte forze politiche hanno promesso in campagna elettorale), per mantenere il pareggio di bilancio strutturale queste stesse manovre raggiungerebbero quota 60 miliardi.



Professore, è davvero realistico immaginare una nuovra manovra già da quest’anno?

Dal Def, approvato nei giorni scorsi in via definitiva, non emerge soltanto questo. Il Documento evidenzia infatti con grande chiarezza un problema contingente e uno strutturale: il primo riguarda in particolare questi 6-8 miliardi di euro di cui si parla, su cui ovviamente il prossimo governo dovrà decidere cosa fare.



Con quali tempi?

Immaginare di aumentare ulteriormente la tassazione di 6-8 miliardi nel breve periodo avrebbe delle conseguenze estremamente gravi, soprattutto in queste condizioni. Sono dell’idea che l’Italia, con un nuovo governo forte e magari anche con un’alleanza con altri Stati membri, possa chiedere un rinvio.

Cosa che questo governo ormai non può fare…

L’attuale esecutivo non ha né la legittimità formale, né la “storia” per farlo, visto che fino a oggi non ha mai dimostrato una reale volontà di negoziare con forza un rinvio a livello europeo. Quindi, chiarito che di fronte a una decrescita simile non è neanche immaginabile pensare di poter aumentare ulteriormente le tasse dello 0,5%, è chiaro che l’Italia ha un assoluto bisogno di un nuovo governo stabile che in prima battuta si rechi immediatamente in Europa per negoziare proprio questi numeri.



Cosa chiederà però l’Europa in cambio?

E’ proprio questo il nodo centrale, eppure non ne parla nessuno. Non dobbiamo dimenticare che all’interno del Def sono presenti manovre fiscali per il triennio 2015-2017 di circa 20 miliardi, che salgono ulteriormente se consideriamo l’abolizione dell’Imu. Inoltre, sempre all’interno del Documento, c’è l’enorme bluff relativo alla questione del Fiscal Compact.

In che senso bluff?

L’Italia, in teoria, dovrebbe ridurre il debito sul Pil del 5% ogni anno dal 2015 in poi. In molti hanno fatto sapere che si dovrebbe passare non attraverso una maggiore crescita, ma attraverso un minor debito, ma in questo modo andremmo ad aggiungere alle cifre già elencate un’altra sessantina di miliardi di euro.

 

Cosa comporterebbe tutto questo?

Stiamo parlando di cifre enormi che ovviamente farebbero collassare l’economia italiana e che ci porterebbero immediatamente fuori dall’area euro. E’ opportuno ricordare che, osservando lo stato dell’economia italiana dal 2002 al 2012, l’anno scorso il nostro Paese ha fatto registrare un reddito procapite reale più basso rispetto a quello di undici anni fa, a conferma che ci troviamo probabilmente nella fase di depressione più estrema mai registrata nel XX e XXI secolo, più forte addirittura di quella del 1929. Sono proprio questi numeri che dovranno essere rinegoziati in Europa.

 

In che modo?

 Innanzitutto attraverso un’alleanza tra i Paesi dell’area Sud dell’Europa, capace di fronteggiare la Germania e di chiederle di fare ciò che la Commissione europea non ha avuto il coraggio di proporre, malgrado fosse obbligata a farlo.

 

Vale a dire?

L’Europa doveva chiedere ai tedeschi di ridurre i propri avanzi di partite correnti con politiche fiscali espansive. Non l’ha fatto, eppure ha stabilito che l’Italia deve aggiustare i suoi sbilanci. Continuiamo a mettere sotto il tappeto una quantità infinita di problemi, facendo finta che non esistano e ignorando che prima o poi qualcuno verrà a bussare alla nostra porta, senza però accorgerci che dobbiamo quanto prima affrontare le nostre paure e dire chiaramente che l’economia italiana non è in grado di sostenere un’ulteriore aumento della pressione fiscale.

 

L’attuale politica italiana si sta muovendo in questo senso?

Questo è un altro punto dolente. L’Italia non può presentarsi in Europa chiedendo semplicemente di fare maggiore deficit, ma deve trovare modi di finanziamento alternativo. Nonostante questa sia una evidente priorità, nei vari punti di programma proposti dai vari schieramenti nessuno ha avuto il coraggio di dire che è effettivamente possibile trovare gli adeguati finanziamenti attraverso il taglio degli sprechi. Quanto fatto finora, quindi, sembra confermare che la politica non ha davvero voglia di dibattere su come possiamo proporre alla Germania di non aggravare le tasse o, eventualmente, di aumentare le spese “buone” con il taglio degli sprechi.

 

Per questo c’è assoluto bisogno di un governo stabile e forte?

Certo. L’Italia deve riuscire a costituire un nuovo governo capace di illustrare tutto questo, ma anche di riconoscere che il Paese presenta una serie di problemi strutturali, di lungo periodo e non risolvibili attraverso riforme immediate, da affrontare innanzitutto riavviando il motore della crescita con una politica fiscale meno dura. Al momento, però, non vedo nulla sul tavolo che l’Italia possa dare in cambio all’Europa del Nord, se non una serie ridicola e non credibile di riforme che di fatto non sono servite a nulla.

 

A quali riforme dovremmo pensare quindi?

Una delle maggiori riforme che può essere avviata durante la recessione è quella rivolta alla qualità della spesa, in cui è ovviamente compresa anche un’autorità anticorruzione che gioverebbe notevolmente alla competitività di tutte le nostre aziende. Sono tante le cose che potremmo fare ma che ci ostiniamo a nascondere, quindi sarebbe opportuno affrontare il prima possibile i nostri problemi, anche perché il giorno della resa dei conti si sta avvicinando molto rapidamente.

 

Cosa prevede altrimenti?

L’Italia non deve limitarsi a negoziare questi 6-8 miliardi, di cui comunque è utile parlare, ma se riuscirà a cambiare atteggiamento si presenterà in Europa sapendo che il proprio obiettivo è il “bottino” intero, quindi 60-80 miliardi. Se falliremo anche in questo e se il prossimo governo si dimostrerà non abbastanza forte e onesto, allora siamo destinati a uscire dall’area dell’euro. Facendo questo, avremmo distrutto un progetto unico nella storia del XX secolo.

 

(Claudio Perlini)