“Think outside the box”, dice un detto inglese. E allora proviamoci. Ecco cosa dice Joni Teves, analista per i metalli preziosi presso Ubs a Londra: «Adesso l’oro deve lavorare per ricostruirsi una fiducia tra gli investitori». E Tom Kendall, suo collega ma a Credit Suisse: «Ancora una volta agli investitori in oro è stato fatto ricordare che il metallo non è un metodo di hedging efficace per difendersi dai movimenti risk-off sui mercati delle materie prime». Insomma, chi ha investito in oro ha sbagliato e ben gli sta. Cosa implicano queste due affermazioni? Primo, che quanto accaduto è frutto di una decisione difensiva e che forse è il caso, per chi si fida dell’oro, di pensare seriamente a una rotation verso altri mercati finanziari, verso altri assets. Guarda caso, un qualcosa che conviene sia alle grandi banche che alle banche centrali, le quali questo messaggio – spesso indirizzato all’obbligazionario per evidenti motivi di convenienza – lo stanno veicolando da mesi.
Secondo, il loro tono trionfalistico per la caduta dell’oro è dovuto a un’unica ragione: con quel tonfo di tre giorni, hanno fatto miliardi in una delle peggiori e più rivoltanti operazioni di turbativa dei mercati che banche d’investimento e centrali abbiano mai messo in campo per evitare che qualche soggetto “too big to fail” non vedesse la luce di questa settimana. Insomma, serve che la gente metta in circolo tra azionario e obbligazionario il più possibile di quei soldi a pioggia che le banche centrali stanno iniettando come spacciatori, quindi andava ridimensionato il valore difensivo dell’oro (e il suo status, visto che il dollaro cominciava a risentirne) e in modo plateale, quasi cruento, affinché chiunque stesse pensando di avvicinarcisi, sentisse correre un brivido lungo la schiena.
Basta guardare il timing dell’operazione: in febbraio, quando le banche francesi e tedesche portavano via i loro soldi finalmente svincolati dai conti deposito ad alto rendimento di Cipro, casualmente sia Credit Suisse che Societé Generale annunciavano la fine dell’oro. Goldman Sachs, invece, ha atteso pochi giorni prima del tonfo per emanare il suo editto, confermando il suo stile. Peccato che come dimostra questo grafico, le stesse banche d’affari che si dimostravano così generose verso i loro clienti da sconsigliare loro di entrare nell’oro a febbraio, in gennaio ammassavano posizioni short sui metalli preziosi, scommettendo quindi sul calo del prezzo
Fin qui niente di nuovo, i signorini della City e di Wall Street, essendo incapaci di fare i soldi in base ad analisi dei fondamentali ma solo facendo cartello o con gli algoritmi, si mettono d’accordo, ammassano posizioni ribassiste e danno vita al solito, ritrito schemino, tanto la Cftc di fronte a queste cose è più miope di Mister Magoo. Si fa circolare la voce, con i report ma soprattutto con i rumors, che è meglio mettersi short sull’oro, cercando di instillare dubbi anche su chi è posizionato rialzista. Si testa il mercato notturno con dei mini raids, più che altro per far intendere ai traders esperti che, come si dice in gergo, nella stanza c’è l’elefante o magari anche due. Si aspetta il momento giusto e via che si scarica come se non si fosse un domani oro di carta, in questo caso futures giugno 2013, facendo crollare il prezzo. Dopo di che, si chiudono le posizioni short facendo credere a tutti che si sia trattata di una reale margin call imposta dal mercato, si incassano miliardi e si attende il prossimo giro in giostra a spese altrui. Funziona così, da sempre, nessun regolatore ha mai aperto mezza indagine sulla manipolazione da dumping sui futures.
A dirci che la mano operativa è stata quella delle bullion banks, i volumi notturni: impossibili per investitori che non agissero in high-frequency trading, i quali invece sono in grado di digerire ordini che sono ancora on the books e rimuoverli. Chiunque avesse ordini contro quegli operatori, avrebbe perso. Ma perso davvero tanto. Ora, ovviamente, il prossimo caso sarà quello di una correzione dei corsi obbligazionari o azionari, quelli sì vere e proprie bolle: magari chi vi dice di uscire o non entrare nell’oro sta già ammassando posizioni ribassiste su indici o bonds, gli stessi che vi dicono di comprare per difendervi dall’inflazione, visto che l’oro non funziona. E che una legnata sia in preparazione ce lo dice la Fed, visto che tutte le operazioni manipolatorie sono rese possibili da politiche della banche centrali, basti vedere la collezione di figuracce che molti banchieri d’affari – non ultimi a Goldman Sachs – hanno collezionato negli anni, cross dollaro/corona norvegese in testa.
Janet Yellen è la vice-presidente del board dei governatori della Fed e l’altro giorno ha detto chiaro e tondo che «bassi tassi di interesse potrebbe innescare troppo ricorso alla leva». Pronti a un rialzo dei tassi, il quale spazzerebbbe via l’esuberanza obbligazionaria in un nanosecondo? Chi lo sa, di certo c’è solo questo grafico: è l’inflow nel mercato dell’alto rendimento (e quindi alto rischio). Poi non lamentiamoci se venerdì scorso è risuonato un allarme di Hindenburg Omen come nel 2007 (2008 crollo Lehman) e nel 2010, disastro evitato dalla decisione di Bernanke di inondare il mercato di denaro, la profezia di Jackson Hole. Insomma, sul mercato non si muove foglia senza che le banche centrali non vogliano. Vale per l’oro, vale per tutto.
Ma veniamo ora a una notizia rilanciata ieri attorno all’ora di pranzo da Bloomberg: Cipro ha confermato di aver l’intenzione di vendere durante i prossimi mesi parte delle sue riserve auree. In un’intervista con l’agenzia economica, Haris Georgiades, ministro delle Finanze cipriota, ha spiegato che la decisione deve essere approvata dalla Banca centrale del Paese. «Gli esatti dettagli saranno formulati a tempo debito dal consiglio direttivo della Banca centrale», ha indicato Georgiades, aggiungendo che «naturalmente si tratta di una decisione importante».
Per Bloomberg, la possibile vendita delle riserve auree di Cipro ha contribuito al recente crollo del prezzo dell’oro: «Gli investitori temono che in futuro anche altri paesi in crisi possano considerare una tale misura per migliorare la loro posizione finanziaria». E ancora: «Lo scorso 9 aprile la Commissione europea aveva comunicato che Cipro si è impegnato a vendere circa 400 milioni di euro di riserve auree “in eccesso” per ripianare parte dei debiti. La Banca centrale dell’isola aveva però in seguito affermato di non star considerando la vendita delle sue riserve auree». E invece, guarda un po’, lo shortfall sul programma Ela lo si paga con l’oro, piaccia o meno.
A dire poi chiaro e tondo che il grilletto che ha dato il via e reso possibile l’azione coordinata dei soggetti posizionati short sull’oro è stato il caso Cipro, ci ha pensato martedì – attaverso il Financial Times – anche la stessa Goldman Sachs. Direte voi, per forza, essendo quasi certamente partecipe all’assalto alla diligenza dell’oro di carta, cerca di sviare l’attenzione. Goldman Sachs non ha bisogno di sviare l’attenzione, tanto più che anche un bambino – quasi per riflesso pavloviano – quando sente parlare di Goldman Sachs pensa a speculazione. Goldman Sachs fa e rivendica, quando sei un primary dealer del governo statunitense e un tuo ex manager è governatore della Bce e un altro sta per diventare governatore della Bank of England, dopo esserlo stato per sei anni della Bank of Canada (ma guarda, tutte bance centrali, strano questo interesse per chi dovrebbe fare trading in autonomia?), le giustificazioni non ti servono.
Ora però mi sorge un dubbio, che sicuramente verrà smentito dai fatti, come nel caso dell’oro cipriota che non si vende. Nicosia intende vendere il corrispettivo di 400 milioni di riserve auree per coprire le perdite sul programma bancario d’emergenza Ela della Bce, ma, a oggi, il conto per Cipro è già salito da 17 a 23 miliardi, l’unica componente certa sono i 10 miliardi dell’Ue: non uno di più, ha intimato Frau Merkel. Quindi, al netto del calo del prezzo dell’oro, non cambiano le necessità: in base al punto 29 della Debt Sustainability Analysis della Commissione Ue, Nicosia deve vendere abbastanza oro per coprire uno shortfall da 400 milioni. Punto.
Una settimana fa, con l’oro a 1600 dollari l’oncia, Cipro se la sarebbe cavata con 10 tonnellate delle quasi 13,9 che possiede, al prezzo attuale invece ne servono circa 12 di tonnellate. Bene, con un euro/dollaro a 1,315 e l’oro a 1175 dollari l’oncia, Cipro sarebbe fallita, perché non avrebbe abbastanza riserve in eccesso per coprire quei 400 milioni necessari e vincolanti al salvataggio, come da documenti della Commissione europea. Cosa farà a quel punto la Bce? Chiederà alla Banca per i regolamenti internazionali, che ha venduto per anni futures aurei sui margini, di riportare su artificialmente il prezzo? Questo dopo essere stata lei ha innescare turbolenza sull’oro sovrano con il “metodo” Cipro, affiancata dalla Fed che cominciava temere per l’appeal del dollaro come moneta di riferimento e per qualche sua servetta “too big to fail”, troppo esposta alla speculazione a debito e collateral driven?
Non è ancora tutto. Il crollo pilotato dell’oro ha riguardato i futures, non l’oro fisico. Negli stessi momenti dell’attacco coordinato, immediatamente i venditori di oro fisico venivano infatti subissati da richieste di compratori, intenzionati ad approfittare del ribasso per fare incetta di lingotti, sterline e rand sudafricani: «Il dealer di monetato Bill Haynes ha comunicato che venerdì gli aspiranti compratori superavano i venditori 50 ad 1 e il prezzo spot sulle monete d’oro e d’argento era il più alto da decenni», scriveva Paul Craig Roberts, già vice-segretario al Tesoro ai tempi di Ronald Reagan. E lo stesso trend ieri è stato confermato dalla Zecca australiana e dai dealers cinesi e giapponesi: oro, oro, tutti a chiedere oro. In vista di una spaccatura dell’eurozona o magari di un’uscita della Germania dall’euro per tornare al marco, pensate che servano futures oppure oro fisico per legare la nuova moneta e renderla la più sicura al mondo, l’idea sfiorata da Putin con il super-rublo aureo, poi abortita? E quello nei forzieri di Cipro, o del Portogallo o magari un domani dell’Italia, secondo voi è oro fisico o di carta, inutile se non per la speculazione pura?
Peccato che mentre il prezzo dell’oro crollava, non si potesse comprare oro fisico, un guasto tecnico non meglio precisato bloccava la piazza londinese per la vendita di bullions. Pensate che siano state la banche d’affari a rendere possibile questa straordinaria coincidenza? Le banche d’affari sono solo mastini che mangiano nella stessa ciotola: sono le banche centrali a decidere se, quando e quanto farli mangiare. Senza il precedente cipriota, sbandierato ai quattro venti e messo in circolo di venerdì, quindi con di fronte il weekend in cui potersi organizzare, il big short semplicemente non ci sarebbe stato. A quanto pare, i 560 miliardi di dollari di valore persi dalle riserve delle varie banche centrali per il crollo del prezzo dell’oro sono stati un prezzo accettabile a fronte di qualcosa di molto peggiore: tipo, una banca d’affari che sarebbe finita a giorni a fare compagnia a Lehman.