Imporsi come centro europeo per il traffico finanziario proveniente da Oriente. Londra è stata lungimirante e per perseguire questo obiettivo sta lavorando da anni. Tutt’oggi non c’è concorrenza con la City, che all’avanzata delle richieste da parte del mercato islamico non è si è fatta trovare impreparata, ma ha risposto con una serie di norme che permettessero l’attività delle banche islamiche sul proprio territorio. L’introduzione di questi istituti, strutturati intorno a precetti etici e religiosi, ha imposto una serie impegnativa di vincoli e adattamenti. Le regole che guidano le transazioni finanziarie ispirate alla legge coranica hanno poco a che vedere con la tradizionale finanza. Si vieta, infatti, la corresponsione di interessi (riba), si obbliga alla condivisione dei rischi e dei profitti tra debitore e creditore, si vieta la speculazione (maisir) o qualsiasi operazione caratterizzata dal rischio o indirizzata ad attività immorali e, soprattutto, si richiede l’obbligo di mantenere un legame indissolubile tra strumento finanziario ed economia reale. Quanto all’Italia, dove vivono molti islamici, possiamo solo dire che è lontana anni luce dall’Inghilterra, ma qualcosa si sta muovendo. Martedì 9 aprile a Roma l’Islamic Financial Services Board, con il sostegno dalla Banca d’Italia, ha organizzato un Forum per discutere di queste tematiche, al quale parteciperà anche Rony Hamaui, economista, esperto in finanza islamica, che ilsussidiario.net ha contattato.
Come giudica il piano del governo inglese che ha costituito un team speciale, l’Islamic Finance Task Force, per attrarre maggiori capitali dal mondo musulmano?
L’Inghilterra è stata sempre molto sensibile a queste tematiche. Il Governo inglese sta lavorando da anni e i risultati che ha ottenuto sono anche dovuti a un cambio di normativa, a un’attenzione particolare al mondo islamico. Londra non è diventata all’improvviso un centro finanziario internazionale, ma c’è stata una strategia ben congeniata dalle autorità inglesi che stanno lavorando da tempo.
In che modo?
Nel 2003 venne introdotto un financial act che di fatto aboliva la doppia imposta sulle transazioni immobiliari, che era uno degli ostacoli più grossi alla definizione di un mercato con l’Islam. Poi ci sono stati altri provvedimenti che hanno reso più agevole le operazioni finanziarie. In sostanza è dal ‘93 che si sta operando dietro le quinte: un gruppo di lavoro della Banca centrale d’Inghilterra di allora ha varato un quadro regolamentare favorevole allo sviluppo della finanza islamica e vennero coinvolti il Ministro del Tesoro e gli enti fiscali. Non si voleva ostacolare lo sviluppo della finanza, si voleva creare una legislazione neutrale, non separata, compatibile con lo sviluppo della finanza islamica. Il piano del governo inglese non è un’improvvisazione, ma un’azione di lungo periodo.
La politica del governo inglese è una risposta alla crescita in questo mondo di pericolosi concorrenti?
Io la vedo come un prolungamento dell’azione intrapresa. Loro sono sempre attenti affinché Londra rimanga un centro finanziario importante anche nel campo della finanza islamica, non hanno cominciato adesso, ma vent’anni fa a lavorare in questo senso. Nel frattempo la finanza è cresciuta e loro sono semplicemente andati a cercare in che modo potevano rafforzare ancora di più il quadro normativo.
Può spiegare quali sono le principali caratteristiche della finanza che si rifà alla sharia?
Ciò che l’opinione pubblica in generale sa della sharia è il famoso divieto al tasso di interesse, ma in realtà la sharia ha una struttura molto più articolata. Ci sono alcuni principi generali: uno è legato ai problemi etici, bisogna comportarsi in maniera etica; un altro principio importante è che la finanza dev’essere al servizio dell’economia reale, quindi sì al commercio e no alla speculazione. Un altro elemento molto forte è il divieto di scommesse, al gioco d’azzardo. Poi c’è la riba che indica il tasso di interesse, la spartizione dei profitti e delle perdite, una compartecipazione è ben vista dagli inglesi perché mettono tutti allineati sugli obiettivi. Altri due principi importanti sono la certezza dei contratti (ci deve essere la chiarezza e gli obblighi devono essere definiti) e i cambi devono essere immediati, perché l’incertezza non è accettata.
Quali problemi di gestione pone agli istituti finanziari occidentali questo tipo di finanza?
Questo tipo di finanza richiede un’attenzione particolare oltre a conoscenze approfondite del mondo islamico, oltre a un controllo e strutture che permettano la gestione, un consiglio di esperti di sharia che verifichi i principi e questo va separato in qualche modo dall’iter tradizionale. Bisogna creare delle finestre separate.
Al di là dei grandi investitori internazionali, la presenza di forte immigrazione islamica in diversi paesi, compresa l’Italia, rende interessante la costituzione di banche, o altre istituzioni finanziarie, dedicate a queste comunità?
Certamente la presenza di una forte comunità musulmana rende la costituzione di banche interessante, ma senza un quadro normativo adeguato è praticamente impossibile costituire intermediari congrui ai principi della finanza islamica.
In Italia quindi è una strada non praticabile?
È del tutto assente un quadro normativo per cui ogni transazione diventa o costosissima o addirittura impossibile, tant ‘è vero che gli inglesi hanno costruito un quadro normativo. La finanza non nasce mai da sola senza delle regole.
In futuro, secondo lei, l’Italia potrebbe creare le basi per affacciarsi al mercato islamico?
Questa possibilità è legata alla nascita di un quadro politico, istituzionale favorevole a questo sviluppo. Al momento ci sono altre emergenze e indicazioni. La crisi finanziaria non ha aiutato, l’attenzione degli operatori al momento si concentra su altro. Sicuramente quello islamico è un mercato interessante. Su 6 miliardi di persone nel mondo abbiamo un miliardo e mezzo di musulmani. Un quarto della popolazione. È evidente che non possiamo ignorarli…
(Elena Pescucci)