Il 62,3% delle famiglie italiane nel 2012 ha fatto acquisti nei discount o ha ridotto la qualità e la quantità dei prodotti. Rispetto al 2011, il numero di famiglie costrette a risparmiare sulla spesa è inoltre aumentato del 9%. E’ quanto ha rivelato il presidente Istat, Enrico Giovannini, durante l’audizione dedicata al Documento di Economia e Finanza di fronte alle commissioni speciali congiunte. Ilsussidiario.net ha intervistato Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica di Milano.
In Italia la disoccupazione è al 12%. Come si spiega che il 62,3% delle famiglie sia costretto a risparmiare?
Gli stessi dati della Banca d’Italia hanno mostrato come nel tempo si sia ridotto sia il risparmio accumulato dalle famiglie, sia la loro capacità di risparmio. Ad esempio, una famiglia che ha un figlio trentenne disoccupato nella maggioranza dei casi sceglie di aiutarlo. I genitori quindi possono avere un lavoro, ma comunque sono costretti a risparmiare per arrivare a fine mese. Dai dati dell’Istituto Toniolo emergono inoltre situazioni come quella di un giovane con un’occupazione, ma che ha un padre in cassa integrazione: il figlio continua a vivere con i genitori, ma in qualche modo aiuta la famiglia d’origine dal punto di vista economico.
Si tratta di situazioni molto diffuse?
Sì. Quella che è in atto è una strategia di solidarietà, soprattutto in condizioni di crisi, che si combina con un tratto culturale tipicamente italiano di forte aiuto tra generazioni all’interno della famiglia. E’ una risposta alle stesse difficoltà del sistema di welfare italiano, che fatica ad avere ammortizzatori sociali adeguati. Ciò costringe le famiglie a fare di necessità virtù, e a stringersi attorno alla persona che ha ancora un reddito.
La spesa al discount è anche una conseguenza della precarietà lavorativa?
Sì, in quanto c’è tutta una platea di giovani e meno giovani che hanno un lavoro precario, a tempo determinato, part time, e hanno una remunerazione bassa o un lavoro discontinuo. Ciò fa sì che si faccia fatica ad avere un reddito sufficiente, per continuare ad avere il livello di benessere e di spesa del passato, e quindi in qualche modo si cerca di ridurre le spese per arrivare comunque a fine mese. A ciò si somma l’effetto psicologico, in quanto diversi padri di famiglia, sapendo che l’azienda per cui lavorano è in difficoltà, pur continuando ad avere un lavoro e un reddito vogliono comunque risparmiare e tengono frenati i consumi. C’è infatti un clima d’incertezza rispetto al futuro, sia a livello personale che a livello dell’azienda e dello stesso sistema Paese, che si trova in una situazione di particolare difficoltà. Vale quindi la pena in qualche modo frenare i consumi per difendere i risparmi che si riescono a ottenere.
Questa drastica tendenza al risparmio è anche la conseguenza di una fase pre-crisi caratterizzata da un eccessivo consumismo?
Ciò vale per tutti i paesi occidentali, nei quali è prevalso un modello di sviluppo basato sul Pil, e quindi sulla produzione e sul consumo. Si è trattato di un’idea di benessere molto materiale, e ora la crisi economica sta imponendo un cambiamento. Bisognerà vedere se questo cambiamento sarà in grado di proporre un nuovo modello di crescita e di sviluppo, trasformando i comportamenti e facendo sì che l’idea di benessere si leghi a dimensioni molto più ampie. Mi riferisco, per esempio, a forme di benessere e di qualità della vita di tipo relazionale. Non si tratta quindi semplicemente del comprare di più, produrre di più e consumare di più, ma di proporre un modello di sviluppo differente.
(Pietro Vernizzi)