Per due giorni ho dovuto sorbirmi eminenti colleghi di grandi testate – anche e soprattutto specializzate – che mi parlavano di “effetto Giorgio” sui mercati e sullo spread. Vediamo se da domani scatterà la bufala collettiva del nuovo “effetto Enrico”. Guardate i due grafici a fondo pagina: mostrano l’andamento dello spread tra Bonos spagnoli a 10 anni e il Bund negli ultimi giorni e negli ultimi anni, titoli sovrani di un Paese che con Giorgio prima ed Enrico poi non hanno nulla a che fare. Un miglioramento incredibile signori, stiamo parlando della rottura al ribasso della quota psicologica dei 300 punti base, qualcosa che non si registrava dal novembre 2011 e un rally che negli ultimi tre giorni ha fatto meglio che negli ultimi sei mesi. Questo, nonostante stiamo parlando di un Paese con il tasso di disoccupazione record e in continua crescita, l’aumento delle sofferenze bancarie a un passo dalla distruzione del sistema bancario e dinamiche di debito e deficit che il Fmi ha definito ormai non più sostenibili e destinate a spalancare la porta a una ristrutturazione del debito. Capite la follia, il Fmi parla chiaro e tondo di ristrutturazione, ovvero di uno swap in stile greco con tanto di haircut per i detentori e la gente si fionda a comprare Bonos come se non ci fosse un domani! Masochisti? Può essere, ma qualcosa non torna proprio.
Tornando al punto di partenza, io ho il massimo rispetto per le istituzioni, soprattutto della Presidenza della Repubblica, quindi è con assoluto riguardo che mi permetto di dire chiaro e tondo che lo spread sotto quota 300, addirittura in area 270, non c’entra assolutamente nulla con l’elezione di Giorgio Napolitano e lo farà ancora meno con l’incarico a Enrico Letta. Per quanto Napolitano sia uomo saggio e apprezzato, dubito che i mercati prezzino una sua opera salvifica anche per il destino della Spagna, che ne dite? Napolitano prenderà l’interim a Juan Carlos e Letta a Rajoy, forse? Per questo assistiamo a dinamiche perfettamente identiche sul mercato obbligazionario? E non accampate, per favore, la tesi del contagio positivo, ovvero che Italia e Spagna sono ormai talmente legate da influenzarsi direttamente sia nel bene che nel male: non regge, basti vedere i dati macro dei due Paesi per capire che stiamo parlando di Venere e Marte.
La questione è un’altra, ovvero che i 660 miliardi di dollari di liquidità in eccesso riversati nel sistema da Fed e soprattutto Bank of Japan vanno investiti da qualche parte. E siccome c’è propensione al rischio e ricerca di alti tassi di interesse, proprio per l’entusiasmo autoalimentate di questo denaro a pioggia sul mercato (tale da sembrare infinito e quindi capace di abnubilare il giudizio), si compra ciò che rende, anche se rischioso. E se si compra in massa un bond ad alto rendimento, ne si comprime con i giorni lo spread, ne si abbassa il rendimento e aumenta il prezzo (ecco perché le banche italiane lunedì e martedì erano in rally in Borsa, strapiene come sono di 351 miliardi di euro di titoli di Stato), come accaduto per quelli spagnoli e italiani.
Al netto della rielezione di Napolitano, infatti, a mandare in sonno il differenziale di rendimento ci ha pensato la conferma giunta dalle due principali società assicuratrici giapponesi, Nippon Life Insurance e Asahi Mutual Life Insurance, attraverso il Wall Street Journal, della volontà di aumentare nettamente l’acquisto di titoli di Stato stranieri e ridurre quelli domestici. Ma c’è dell’altro. Proprio mentre lo spread sui titoli di Stato spagnoli faceva registrare andamenti più che positivi, il primo ministro iberico, Mariano Rajoy, rilasciava la seguente dichiarazione: «L’economia europea sta e starà peggio di quanto previsto quest’anno, tutte le nazioni dell’eurozona stanno rivedendo le stime di crescita. Sento di dover prendere decisioni difficili per il bene del Paese. Le nazioni dell’Ue devono accettare di cedere sovranità, qualcosa di cruciale per il futuro». Cosa, cosa? Il giorno prima la Merkel quasi impone, parlando a un convegno organizzato da Deutsche Bank, la necessità di cedere sovranità all’Ue in determinate aree di intervento e interesse e il giorno dopo Rajoy, l’uomo che ha sempre negato la necessità di salvataggio per il suo Paese e vede la troika come un esercito invasore, ammette candidamente che il futuro dell’Ue passa per la cessione di sovranità?
Cosa vuol dire? Due cose: primo, il Fmi ha ragione, la Spagna è a un passo dal default e deve ristrutturare il proprio debito, operazione che impone l’intervento della troika. Quindi, per evitare che questa arrivi con la mannaia, si accetta preventivamente di diventare una colonia a sovranità limitata. Secondo, il driver degli acquisti obbligazionari è certamente la massa di liquidità in eccesso proveniente da Usa e Giappone, ma temo ci siano manine europee che stanno guidando nel verso giusto gli spread in questo momento, con la benedizione della Bce. Come dire, qualcosa sta facendo capire a Rajoy che ci sono soggetti che hanno potere di vita ma anche di morte sul suo Paese già ora, quindi gli conviene accettare la troika e salvare il salvabile. Insomma, la Germania ha fretta di far collassare l’eurozona per tornare al marco e salvarsi, dopo aver beneficiato per un decennio del sistema.
Nel giro di pochi giorni, infatti, Berlino ha dovuto subire due batoste non indifferenti: prima il calo dell‘indice Zew relativo alle aspettative sull’economia tedesca, sceso ad aprile a 36,3 punti dai 48,5 di marzo, risultando nettamente inferiore alle attese e alimentando dubbi sulla forza della ripresa della prima economia dell’Eurozona. E ieri, poi, il calo anche dell’indice di fiducia delle imprese tedesche rilevato dall’istituto Ifo, sceso a 104,4 ad aprile da 106,7 di marzo contro aspettative per un calo più contenuto a 106,2, il secondo calo mensile consecutivo. Insomma, la locomotiva fa tanto fumo ma arranca. Sarà forse perché hanno capito che la Germania mostra i denti perché si sente per la prima volta vulnerabile, che i greci hanno deciso di giocare il tutto per tutto? Ieri il ministro degli Esteri ellenico, Dimitris Avramopoulos, ha infatti confermato al Parlamento che il governo andrà avanti con la sua richiesta di compensazione per i danni di guerra nei confronti della Germania. Negando che la richiesta abbia qualcosa a che fare con la crisi attuale del debito, il ministro ha poi dichiarato di fronte ai deputati: «Utilizzeremo ogni mezzo necessario per giungere al risultato. Certo, i tempi sono cambiati e non sono comparabili, ma non si può nemmeno cancellare la memoria». Memoria che invece ha un prezzo, quantificato dai tecnici del governo greco in 162 miliardi di euro. Follia pura.
A farci capire che qualcosa bolle in pentola, poi, ci ha pensato il potente ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che intervistato dal settimanale Wirtschaftswoche ha dichiarato quanto segue: «Non difendiamo l’euro per generosità o perché avevamo denaro in eccesso. Ma perché noi tedeschi abbiamo i vantaggi più grandi dalla moneta unica. Non sosteniamo gli altri paesi per spavalderia: noi proteggiamo la nostra moneta unica, le chance per il nostro export e infine la posizione e le chance dell’Europa nel mondo. E in tal modo anche quelle di noi tedeschi». Insomma, ciò che moltissimi hanno detto fino a oggi, sottoscritto incluso, ottenendo per tutta risposta l’accusa di complottismo. Ma perché ammetterlo proprio ora? Forse perché, nella prospettiva dell’abbandono dell’euro, così facendo la Germania potrà vendere a tutti la bufala del suo estremo sacrificio per il bene comune, ovvero rinunciare a una moneta vantaggiosa per evitare il collasso del Sud Europa?
Occhi aperti ai prossimi giorni: l’euforia obbligazionaria sovrana si diffuse anche nel 2011. Sappiamo tutti quanti come è andata a finire. Altro che “effetto Giorgio”, se la Bce taglierà i tassi vorrà dire che l’indigestione di liquidità giapponese rischia di fare danni a breve. Come uscirne, resta la domanda senza risposta. Non vorrei, poi, che il mantra borsistico del “sell in May” si trasformasse quest’anno in una sell-off dovuta a una drastica correzione dei corsi, con Wall Street follemente sui massimi senza alcune giustificazione da parte dei fondamentali. Tra sei mesi, poi, vedremo se l’Hindenburg Omen in formazione era davvero tale.