Perché il governo si possa formare e ricevere la fiducia non del tutto scontata del Pdl, Enrico Letta dovrà cedere su una richiesta ritenuta dal partito di Berlusconi inderogabile: l’Imu sulla prima casa (4 miliardi di euro) va abolita. Se a questo si aggiungono altre ipotesi fiscali in ballo quali l’annullamento dell’aumento dell’Iva (2 miliardi) e il rinvio della nuova Tares (1 miliardo), significa che il prossimo governo dovrà fare in modo di trovare 7 miliardi di euro. Certo, la famiglie riceveranno una boccata d’ossigeno. Ma come sarà compensato il mancato introito, necessario per finanziarie parte del welfare? Lo abbiamo chiesto ad Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica presso la Bicocca di Milano.



Come valuta l’ipotesi di ridurre le tasse di 7 miliardi?

Ridurre la pressione fiscale sulle famiglie è, indubbiamente, pratica positiva e ragionevole. Specialmente in questa fase, in cui sono particolarmente vessate. Una circostanza originata da un errore dei ministri economici che si sono succeduti in questi ultimi anni, i quali si sono lasciati influenzare da un approccio ragionieristico alla contabilità pubblica, dimenticando la differenza che intercorre tra le aliquote fiscali e il gettito prodotto. Risultato: aver aumentato le aliquote ha fatto sfumare l’imponibile, il Pil è crollato e il bilancio non è stato messo in ordine. Detto questo, non è detto che queste riduzioni fiscali siano le più urgenti.



No?

Non necessariamente le famiglie, trovandosi qualche soldo in più in tasca, decideranno di spenderli, facendo così ripartire i consumi. Considerando l’incertezza sul futuro, e la drammatica fase economica, nel dubbio, è più probabile che decidano di risparmiarli in vista di tempi ancora peggiori.

Lei, quindi, cosa suggerisce?

Meglio alleggerire la tassazione sulle attività produttive. Ovvero, tagliare il cuneo fiscale e l’Irap. La situazione non è più tollerabile. La differenza tra gli oneri contributivi sostenuti dagli imprenditori e l’importo effettivamente ricevuto dai lavoratori è di 10-12 punti superiore a quella dei principali paesi europei e, in particolare, di Germania e Francia. Rispetto ai paesi dell’Est, invece, siamo sopra di oltre 15 punti.

Che effetti produrrebbe alleggerire la tasse sulle imprese e sul lavoro?

Mentre alleggerire la tasse alla famiglie, per quanto sia auspicabile, produce effetti concreti sull’economia solo in astratto, alleggerirle sulle imprese fa sì che esse riprendano ad assumere. In particolare, si stempererebbe la pressione della disoccupazione sulle fasce più deboli e giovani.

 

Ovunque si tagli, resta il problema che il governo sarà in difficoltà ancora maggiori per reperire le risorse necessarie per finanziare alcune emergenze, quali la cassa integrazione in deroga o le salvaguardie per gli esodati.

 Anche da questo punto di vista, conviene abbassare le tasse sulle imprese. Ogni nuovo assunto, infatti, è un disoccupato o un cassaintegrato in meno a carico dello Stato. Inoltre, il minor gettito nell’immediato si recupererebbe nel breve-lungo termine attraverso un rilancio della produttività indotto proprio dalla riduzione delle tasse. Queste, insomma (assieme allo sblocco immediato dei crediti per le imprese), sono le priorità. Anche se bisogna ammettere che la strada in assoluto preferibile consisterebbe nel tagliare le tasse ovunque.

 

Come?

Il nostro sistema fiscale è talmente insostenibile che andrebbe rifatto da zero. Se un edificio non sta in piedi, è più ragionevole abbatterlo e ricostruirlo da capo che effettuare di volta in volta dei piccoli ritocchi affinché non crolli. Al ragionamento sulle entrate si dovrebbe affiancare quello sulle uscite: la spesa pubblica va completamente rivoluzionata, eliminando le spese improduttive e, specialmente, quelle che hanno origine in episodi di corruzione, nella malversazioni, o in quella zona grigia dell’economia che è il para-Stato. 

 

(Paolo Nessi)