Il primo scoglio che Enrico Letta dovrà superare (subito dopo aver ottenuto la fiducia) sarà quello dell’abolizione o della riduzione dell’Imu. Una partita complicata, anzitutto, in termini politici. Si tratta, infatti, della condizione posta dal Pdl per sostenere il governo di larghe intese. Una condizione che Letta, tuttavia, dovrà, in qualche modo, rivendicare come propria, per evitare che Berlusconi possa intestarsi il merito di aver salvato le famiglie dalla povertà. Del resto, si è trattato del principale contenuto della sua campagna elettorale, e una vittoria in tal senso gli darebbe un enorme vantaggio sul Pd in occasione delle prossime consultazioni. Al contempo, non sarà semplice individuare il percorso che, finanziariamente, renda l’operazione sostenibile. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Gianluigi Bizioli, docente di Diritto tributario e di tassazione europea all’Università degli Studi di Bergamo.
Quali sono i margini di manovra del governo?
Riassumiamo, anzitutto, le diverse prospettive in ballo: la prima consiste nella cancellazione dell’Imu sulla prima casa, e comporterebbe un mancato gettito di 4 miliardi di euro. I possessori di abitazioni ne sarebbero esentati per l’anno in corso. Sembra l’ipotesi maggiormente accreditata, nelle ultime ore, dal governo Letta. La seconda, invece, affianca alla cancellazione dell’Imu la restituzione dell’imposta già pagata nel 2012, e costerebbe 8 miliardi di euro. Si parla, inoltre, della possibilità di aumentare le detrazioni fino a 600 euro e di non far pagare l’imposta per chi ha un reddito Isee inferiore ai 15mila euro. Ebbene, in tutti i casi, vale un comune denominatore: non è pensabile che le risorse per effettuare l’operazione di cancellazione o riduzione vengano individuate attraverso nuova tassazione.
Come, quindi?
Sarà fondamentale procedere attraverso il taglio della spesa improduttiva e di alcuni servizi ritenuti marginali. Oppure, attraverso l’emissione di nuovo debito. E’ possibile, infine, sfruttare le due alternative congiuntamente.
I Comuni, in ogni caso, rischiano di rimanere a secco ?
Lo Stato dovrebbe rinunciare a quella parte di imposta che gli spetta in relazione alle seconde case. La manovra dovrebbe, inoltre, contemplare un allentamento dei vincoli imposti dal Patto di stabilità dei Comuni, in modo da consentire loro di utilizzare le risorse di cassa di cui dispongono.
Solo un governo forte e autorevole è in grado di condurre in porto le operazioni che lei ha descritto: crede che, questa volta, sussistano le condizioni per agire?
Difficile prevederlo. Quel che è certo è che i cittadini, con il risultato delle elezioni, hanno lasciato intendere che, questa volta, non accetteranno che i tagli ai costi della politica vengano ulteriormente procrastinati.
La pressione dei mercati internazionali e i vincoli di bilancio in che modo condizionano le misure sull’Imu?
Benché non abbiamo più il fiato sul collo della finanza internazionale, come nel 2011, siamo pur sempre un “osservato speciale”. Il nostro rapporto debito/Pil, infatti, sfiora ormai il 130%. I nostri margini d’azione sono, quindi, estremamente limitati e concordati a livello europeo. Se il pareggio di bilancio, in questa fase, è utopico, dovremmo comunque restare all’interno dei parametri di Maastricht e non sforare del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil.
Crede che l’abolizione dell’Imu sia la priorità?
Non credo. Certo, ridare ossigeno alle famiglie è sempre positivo. Tuttavia, è decisamente più urgente ridurre la tassazione sulle imprese. Vanno ridotti l’Irap e il cuneo fiscale. Così facendo, si determinerebbe un incremento di produttività e occupazione e, di conseguenza, aumenterebbero pure i redditi delle famiglie.
(Paolo Nessi)