“Rara avis in terris nigroque simillima cygno” (“Un uccello raro a questo mondo è davvero simile a un cigno nero”). È una frase di Giovenale usata comunemente per indicare un evento molto poco probabile. Su questa locuzione è stata espressa la teoria del Cigno nero, quella che esprime l’incidenza sullo stato delle cose di un evento totalmente inaspettato. Una incidenza di grande magnitudo, con conseguenze strutturali e permanenti nella storia.



Il fallimento di Lehman Brothers è stato un cigno nero. Nessuno al mondo si aspettava che una banca statunitense potesse fallire, né che le istituzioni statunitensi la lasciassero fallire. Il fallimento dell’euro sarebbe un cigno nero (dove per fallimento intendo l’uscita dall’euro di almeno uno Stato aderente, non il fallimento come progetto politico che è invece già sotto gli occhi di tutti). Il fallimento dell’euro sarebbe un cigno nero che cambierebbe la società occidentale per come la conosciamo. Basti pensare a ciò che accade in Grecia per le strade da molti mesi a questa parte e poi moltiplicarlo per enne volte.



Giovedì Draghi non ha risposto a una domanda di un giornalista che gli chiedeva se ci fosse un piano B pronto negli uffici della Bce in caso di uscita di un Paese membro dalla moneta unica. Draghi ha detto che non c’è risposta a quella domanda perché si riferisce a una fattispecie troppo ipotetica. Con quelle parole ci ha fatto però sapere due cose. La prima è che non lo considera un evento classificabile come cigno nero. Ci insegnano che non esiste niente di impossibile ma solo di poco probabile, Draghi non è evidentemente d’accordo. La seconda è che, se si verificasse un cigno nero, la Bce non avrebbe un piano B, un paracadute, un piano di emergenza per salvare, non dico la baracca ma almeno i burattini.



Poco dopo, Bridgewater (il più grande fondo di investimento al mondo) ha mandato una nota ai suoi clienti per metterli in guardia di una situazione grave in Italia, a livello economico e politico. In quella nota Bridgewater stima la probabilità di uscita dell’Italia dall’euro tra il 5% e il 10%. Il più grande fondo di investimento al mondo ci dice quindi che è possibile vedere uno scenario in cui l’Italia è portata finanziariamente al collasso (e ne abbiamo avuto un assaggio nei giorni precedenti all’inizio del governo Monti). Uno scenario in cui l’Italia al collasso porterebbe alla rottura dell’euro, pedina dopo pedina, sino all’ultima tessera del domino. In quel caso, ci dice Draghi, che non avremmo un paracadute.

Se non fosse stato per gli interventi della Bce, negli ultimi anni avremmo visto rottura di banche, stati, euro. Quando Draghi dice che la rottura della moneta unica non è contemplata è perché sa di avere gli strumenti per cambiare le regole del gioco durante il gioco. Sa di poter continuare a stampare tutti gli euro che vuole (con buona pace della Bundesbank) e prestarli alle banche, per comprare poi titoli governativi europei e continuare a sostenere il gioco. Ma ricordiamo che gli stati membri dell’euro conservano ancora una seppur minima sovranità. Ricordiamo che, come Cipro ha detto no alle condizioni capestro della Troika, un giorno, un’Italia in difficoltà potrebbe rifiutare un aiuto dall’Europa e innescare ciò che Draghi non vuole neanche immaginare.

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