Nonostante l’avanzare della crisi e le evidenti responsabilità di chi ha voluto una costruzione europea così mal fatta, ogni tanto continuano a emergere voci che difendono l’indifendibile euro. Uno degli ultimi esempi è l’articolo recentemente apparso su queste pagine a firma del professor Solari, docente universitario e consulente sulle tematiche delle risorse umane. L’articolo è interessante perché raccoglie e mette in ordine tutti i più diffusi luoghi comuni a favore dell’euro, quegli stessi luoghi comuni che gli ideologi interessati della finanza europea ci hanno propinato negli ultimi trent’anni, tanto da costruire un sistema dogmatico quasi inviolabile: chi osava contraddirlo veniva tacciato di ignoranza e culturalmente ghettizzato.
La cosa che sconcerta è che la stessa minestra ci venga propinata ancora oggi, nonostante il fallimento del progetto euro, nonostante l’evidenza della crisi, nonostante i numeri e i dati siano lì a raccontarci come stanno le cose. Allora, come utile esercizio e come antidoto a non berci più acriticamente tutto quello che gli esperti (o presunti tali) ci propinano, iniziamo a scorrere il senso logico di quell’articolo, confrontando man mano le argomentazioni proposte con i dati ufficiali e con la storia della crisi attuale (perché, essendo iniziata nel 2007, ormai una piccola storia si può raccontare).
L’articolo inizia con la considerazione che “in questo momento, l’opinione pubblica sembra virare pesantemente verso una spiegazione monolitica dei problemi del Paese: è colpa dell’euro. In verità, questa affermazione si declina di volta in volta in modo specifico. Quindi, diventa colpa dei tedeschi e della Germania. Oppure si orienta a incolpare le banche d’affari e i presunti comitati segreti”. Ma c’è una piccolissima omissione, una cosa forse non trascurabile: per circa dieci anni (1992-2001) ci hanno preparato all’avvento dell’euro, per oltre sei anni (2001-2007) abbiamo vissuto con l’euro e in questo lasso di tempo l’opinione pubblica si è bevuta tutte le opinioni e i pareri degli esperti che più spesso comparivano sui media, col risultato di essere stata sempre a stragrande maggioranza a favore dell’euro. Da quando ha iniziato a cambiare opinione? Da quando c’è la crisi, ovviamente. Perché tutti avevano sempre detto che grazie all’euro saremmo stati protetti dalle crisi, e ora invece l’euro sembra avere ingigantito una crisi che poteva essere tenuta sotto controllo.
Il comportamento ondivago, incerto, ambiguo rispetto agli obiettivi che si era data la Banca centrale europea non ha fatto che confermare e rafforzare il sentimento di diffidenza della popolazione che ha sofferto e continua a soffrire duramente per i morsi di una crisi di cui non si vede la fine. Il fallimento della scienza economica ufficiale, quella al potere, quella dominante nelle riunioni delle principali banche centrali del mondo e delle principali organizzazioni mondiali come il Fmi, è stato riconosciuto, ufficializzato, dichiarato apertamente. In un incontro di economisti organizzato dal Fmi nel 2011, il premio Nobel Joseph Stiglitz ha affermato che “non includere la finanza nei modelli macroeconomici è stato uno dei fallimenti più clamorosi. I nostri modelli semplicemente non ritraevano quello che stava succedendo”.
Di fronte a questo fallimento dichiarato, cosa hanno fatto le istituzioni europee? Hanno forse cambiato direzione? Hanno riformato la finanza? Hanno sostenuto l’economia reale? Niente di tutto questo, come è noto. Anzi, sempre nel 2011 il Financial Stability Board (che poi verrà presieduto da Draghi, prima di diventare Governatore della Bce) avvisava della nuova eccessiva esposizione del sistema bancario verso nuovi prodotti finanziari sintetici chiamati Etf. E di fronte alla crisi di numerose banche, per impedire che si diffondesse il contagio, cosa ha fatto la Bce? Ha stampato euro, in particolare tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012: circa 1000 miliardi di euro per proteggere gli investimenti sbagliati del sistema bancario. E per l’economia reale? Per le imprese? Per i servizi sociali? Tagli, solo tagli. E ci si meraviglia se “l’opinione pubblica… si orienta a incolpare le banche d’affari”?
Ma proseguiamo con le tesi dell’articolo in questione: “In primo luogo, va ricordato che il progresso verso una piena unità politica in Europa è passato per un’unione economica e monetaria, proprio perché esistevano troppi squilibri e troppe differenze. Si è disegnato quindi una specie di imbuto che obbligava tutti ad azioni volte a raggiungere un assetto economico sufficientemente stabile e bilanciato da poter effettivamente consentire il passo successivo”. Abbiamo già sottolineato che “l’assetto economico sufficientemente stabile e bilanciato” non l’abbiamo avuto e ce lo possiamo scordare. Ma qui c’è un’altra grave omissione.
Quando si afferma che “si è disegnato una specie di imbuto”, anzitutto si afferma che fin dall’inizio c’è stato un piano ben preciso in tal senso: e di questa conferma ringraziamo sentitamente il professor Solari. E lo ringraziamo anche dell’immagine dell’imbuto, che ci sembra quanto mai pertinente: tale immagine presuppone un restringimento che impedisce di passare tutti insieme, quindi qualcuno sarà costretto a rimanere indietro. E ci possiamo meravigliare se a rimanere indietro saranno (e sono stati) i più deboli, i più fragili o i più indifesi tra i paesi dell’area euro? Gli architetti dell’euro hanno costruito un traguardo e una gara uguale per tutti i paesi, ma per una gara nella quale ciascun Paese aveva condizioni di partenza diverse.
Ma non basta. “Quando questo è successo, la stampa, i politici, l’opinione pubblica italiana (e non solo in Italia) plaudivano gaudenti. Avevamo allora come oggi con il Fiscal Compact preso degli impegni e uscivamo (grazie all’Europa e grandemente grazie alla Germania) da una storia di inflazione e instabilità economica che oggi si fa in fretta a dimenticare”. Anche qui c’è un’omissione grave, cioè la prima fonte di tutti i nostri guai: il divorzio della Banca d’Italia con il Ministero del Tesoro, con la conseguenza che il prezzo dei nostri Titoli di Stato veniva stabilito dal mercato, cioè dai pochi operatori autorizzati. Da allora, si era nel 1981, l’Italia ha effettivamente perso il controllo sulla crescita del debito.
Il motivo? Semplice, la mancanza di inflazione. Per decenni ci hanno inculcato l’idea che l’inflazione sia il male assoluto, tanto che la Bce è nata solo con questo obiettivo dichiarato (tenere sotto controllo l’inflazione) e solo tentare di parlare degli effetti benefici dell’inflazione è un’impresa eroica, quando non impossibile. Ma i numeri sono testardi e sono lì a dimostrare il contrario: da quando abbiamo perso la possibilità di inflazionare il debito, questo è esploso. Si tratta di una questione matematica, non ci sono in gioco questioni di efficienza o di qualità produttiva. E infatti l’esplosione del debito ha riguardato tutti i paesi europei, Germania inclusa.
“Ma serviva un nemico e lo dobbiamo trovare non nella nostra incapacità di fare quello che promettiamo, ma nella cattiveria degli altri, in particolare della Germania. Abbiamo avuto più di vent’anni e Governi di ogni colore, ma non lo abbiamo fatto e ora è colpa dell’euro?”. Ovviamente sì, dato che ai popoli non hanno chiesto un bel niente. Anzi, visto che i referendum sulla Costituzione europea iniziavano a essere bocciati, allora hanno smesso di farli e hanno proceduto ad approvazioni tramite leggi parlamentari. E per evitare ogni dibattito, anche sui media, lo hanno fatto tramite voti di fiducia e lo hanno fatto in periodi estivi (il Trattato di Lisbona è stato approvato il 31 luglio 2008 e promulgato il 2 agosto dello stesso anno).
Detto ciò, il professor Solari non dice nulla sui contenuti di ciò che avremmo promesso, ma lasciando sottintendere una non precisata colpevolezza italiana. Un dato rimane oggettivo: le inefficienze italiane (e degli altri paesi europei) prima dell’euro non erano un problema catastrofico, ora invece lo sono diventato; come si fa a escludere a priori che non sia colpa dell’euro? E cosa sarebbe quello che “non abbiamo fatto”? La riforma del lavoro fatta in Germania, quella che permette i minilavori da poche centinaria di euro al mese senza alcun contributo? Questo sarebbe il passo in avanti, una cinesizzazione del lavoro?
“In secondo luogo, l’euro è a mio avviso l’unica vera speranza di riformare questo Paese che sembra precipitare nella barbarie”. E perché mai una moneta dovrebbe riformare un Paese o un popolo? Cosa si sta proponendo come metodo formativo? L’estinzione per mancanza di moneta di un popolo che non si vuole riformare? Che razza di concezione di moneta si sta affermando? Si ha l’idea di moneta come strumento per il bene comune, come bene sociale? O come strumento di sottomissione dei popoli?
“L’adultità è il problema dell’Italia e degli italiani. Non riusciamo a capire che i vincoli per quanto tremendi servono a sviluppare la consapevolezza che le azioni comportano conseguenze e che non possiamo sempre cavarcela con il sorriso del simpatico guascone”. Qui siamo alle solite, ai luoghi comuni più stantii: siamo agli “italiani bamboccioni”. E pure qui l’omissione è grave. Infatti, mentre noi (e gli altri paesi europei) stavamo alle regole, la Germania ha violato i limiti imposti dai Trattati e continua a violare i patti. Il patto cardine del funzionamento della Bce è che le banche centrali non possono finanziare i titoli di Stato. Ma in Germania la banca centrale lo fa. La cosa è di una tale gravità che Guido Tabellini, ex rettore della Bocconi di Milano, in un articolo del 2011 apparso su Il Sole 24 Ore dal titolo “Il re è nudo” affermava che “è difficile immaginare un ritorno della fiducia se questi difetti costitutivi non sono corretti. Bisogna ammettere che abbiamo sbagliato… È giunto il momento di ammetterlo, dichiarando apertamente che il trattato va rivisto”.
Ma non basta. Sui media tradizionali non ha trovato spazio una notizia di gravità inaudita: in Germania la Camera bassa tedesca ha bocciato il Fiscal Compact. Questo vuol dire che fino alle prossime elezioni (previste a ottobre) la Germania non entra nel Fiscal Compact. E se prima di allora un Paese ha bisogno di un intervento? E come hanno fatto con Cipro? Semplice anche qui, è intervenuta la Bce, in aperta violazione dei Trattati europei.
“In terzo luogo, non è colpa della Germania se la struttura distributiva medioevale europea e il sistema di interessi che ha al suo centro il commercio hanno operato una traduzione da lira a euro evidentemente a danno di tutti noi”. Non è colpa della Germania? E allora perché ci hanno voluto nell’euro? E perché ci hanno voluto pure la Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e pure Cipro? E perché non vogliono che ora qualcuno esca dall’euro? Non si è trattato forse di utilizzare questi paesi periferici come un nuovo mercato interno, favorito dall’utilizzo di una moneta comune, resa artificiosamente scarsa?
“Infine, io mi sento profondamente europeo, mi identifico fino in fondo con quella moneta e non ho nessuna nostalgia per la lira, anzi la detesto, perché mi rappresenta un Paese che non sa crescere e cerca sempre un facile alibi”. Crescere, crescere: questa è l’unica parola d’ordine. Ma la formula della crescita non la conosce nessuno. Pure in Germania se ne stanno accorgendo, visto che le esportazioni tedesche verso i paesi periferici dell’euro sono in forte calo. E nessuno trova la formula della crescita perché tutti dimenticano un fattore decisivo: per crescere non è sufficiente produrre di più o produrre con maggiore qualità. Per poter crescere è indispensabile che i potenziali acquirenti abbiano in mano una maggiore quantità di moneta. Ma questo oggi, con le regole della Bce e delle altre banche centrali, può accadere solo in un modo: con maggiore debito. Infatti, oggi, come già osservato in altri miei precedenti articoli, non esiste in Europa alcun altro modo di creare nuova moneta, se non quello del debito. Quindi, alle regole attuali, maggiore crescita è possibile solo con maggiore debito.
Per fermare questo delirio è indispensabile che l’Italia ripristini la propria sovranità monetaria, in modo che abbia la possibilità di difendere la sostenibilità del proprio debito anche inflazionandolo, cioè stampando moneta per garantire prima di tutto servizi sociali dignitosi, oltre al pagamento delle imprese in tempi accettabili. Ma c’è un motivo ancora più radicale per ripristinare la sovranità monetaria. Come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione, “la sovranità appartiene al popolo”. E non è in vendita.