Una nuova epoca è iniziata nel mondo della finanza internazionale. Trent’anni orsono il bastone di comando era nelle mani dei grandi fondi d’investimento e nelle banche d’affari. Immense nuvole di petrodollari e di profitti delle grandi corporation si dirigevano verso i paradisi della finanza dal guadagno immediato e speculativo. La sterlina cercò di opporsi alla speculazione contro Soros e si spezzò le corna e così fecero i banchieri centrali europei con alla testa uno frastornato Ciampi che non resistette all’ondata speculativa e provocò una svalutazione rovinosa della lira illudendosi di fermare il flusso del capitale finanziario che rincorreva se stesso moltiplicando i guadagni di un pugno di speculatori seguiti da una miriade di investitori minuti che giocavano in borsa i loro risparmi.
Erano gli anni in cui i pensionati passavano le mattinate dinanzi ai computer – i primi computer! – che nelle vetrine delle filiali bancarie registravano rapide ascese di titoli improbabili che pur in rosso capitalizzavano più di Fiat o di Generale Electric. Era l’economia delle aspettative era la new economy dove tutti giuravano e spergiuravano che il capitalismo aveva superato se stesso e non avrebbe più avuto crisi cicliche. Noi poveri economisti strutturalisti schumpeteriani, keynesiani, minskiani, eravamo guardati come dinosauri e destinati al macero: nessun concorso poteva essere vinto e ci si doveva rifugiare in materie d’insegnamento afferenti guardate con disprezzo perché avevano una base concettuale storica e umanistica.
Ora tutto sta lentamente cambiando. Le banche centrali sono all’attacco. Dopo il fallimento di Lehman i fondi e le banche d’affari speculavano sui movimenti non di se stesse, ma su quelli delle banche centrali. Mentre la finanza privata lecca le sue ferite e infligge zampate spesso a caso, i banchieri centrali sono risaliti in cattedra e comandano. L’inflazione non esiste: esiste invece la deflazione, la crisi inizia a essere irreversibile, aumenta la disoccupazione e i margini si riducono sino a ridurre i prezzi di una domanda che non beve. Ebbene, proprio perche il pericolo è la deflazione che rende la depressione irreversibile, ecco che l’ondata di liquidità inonda le banche per salvarle e cerca disperatamente di raggiungere l’economia reale. Ma qui ciò che rimane dell’Occidente finanziario è diviso.
Gli Usa con la Fed, e recentemente il Giappone con il nuovo banchiere centrale uscito dal cappello di un Abe deciso a ridare al Paese la sua supremazia economica dinanzi a una Cina sempre più pericolosa, iniziano a combattere non il deficit bancario ma quello sociale: abbattere la disoccupazione e riattivare il sistema sanguigno delle imprese che non trovano la trasfusione bancaria per il meccanismo della ripresa.
La Banca d’Inghilterra, con il suo nuovo governatore che non a caso viene dal Canada keynesiano che non è stato investito dalla recessione, non solo segue la linea della Fed, ma vincola l’erogazione di liquidità alle banche all’impegno che esse sottoscrivono di riversare la liquidità non per la ricapitalizzazione, ma in misura consistente per le imprese e le famiglie. Insomma, solo la Bce sta a guardare e Draghi – che pure tutto si è inventato per aggirare la Bundesbank e le guardie prussiane nel direttorio della Bce sino a spingerne un paio alle dimissioni – è ora in ritardo e in difficoltà.
La Bce è in affanno, affanno politico e il Regno Unito si allontana sempre più dall’Europa, da potenza transatlantica qual è. Brutti tempi per l’Europa e brutti tempi per le imprese e le famiglie. Ci vuole più coraggio, caro Mario!