Il Giappone importò dalla Cina, nell’VIII secolo, l’Hanami: l’arte dell’osservare i fiori. Il fenomeno più seguito in quel periodo, quello Nara, fu l’osservazione dei fiori di Ume (prugna). Nel periodo successivo, quello Heian, si passò a osservare preferibilmente i Sakura, i fiori di ciliegio. Il significato attribuito ai Sakura è quello malinconico della fine, della consapevolezza della fine e della pietà per le cose. Quest’anno la fioritura si è fatta notare per quantità, forza, bellezza e sorpresa.



Il Giappone, Paese indebitato al 230% del Pil e con un deficit al 10%, vedeva forse proprio la precarietà delle cose, dove per cose intendiamo la possibilità di una ripresa economica che puzzava tanto di stagnazione vissuta post-crisi asiatica del 1997. In questo frangente la Bank of Japan (Boj) ha sentito la pietà per le cose e in una epiphany colorata, più alla Joyce che alla Moments of being di Virginia Wolf, e ha seguito la sorpresa di questa fioritura eccezionale con la più grande azione di politica monetaria a memoria di giovane trader.



Il Giappone, che per venti anni ha vissuto un’economia con tassi di interesse bassissimi, ha dato una svolta. La Bank of Japan ha annunciato l’acquisto di obbligazioni governative, per i prossimi anni, per una quantità di yen superiore all’1% del Pil, con l’obiettivo di aumentare base monetaria e inflazione (obiettivo 2%) e rilanciare l’economia (gli acquisti vengono fatti grazie a yen nuovi di zecca immessi quindi nell’economia). Con queste operazioni di “quantitative easing”, ovvero operazioni eccezionali di politica monetaria accomodante, la Fed inietta liquidità per 800 miliardi di euro l’anno, la Bce ne ha iniettati circa 1000, la sola Bank of Japan circa 950.



Lo scopo è ovviamente duplice: avere più moneta circolante che possa essere trasferita dal sistema finanziario all’economia reale, svalutare la moneta per avere più vantaggio nelle esportazioni (3 giorni fa con un dollaro americano si compravano 93 yen, oggi se ne ottengono quasi 99). La svalutazione della moneta e le operazioni fiscali a vantaggio delle industrie giapponesi ci fanno pensare che l’operazione sia stata strutturata e sarà seguita per un fine: il rilancio dell’economia reale. Nobile pensiero che ci ricorda che, senza le fondamenta produttive di un Paese, la finanza fine a se stessa non produce crescita e ricchezza. Nobile pensiero che non è venuto in mente ai politici ed economisti europei che hanno inondato il sistema bancario di liquidità senza rassicurarsi che quella massa arrivasse poi all’economia reale e non si fermasse nei portafogli delle banche, soprattutto sotto forma di carry trade (le banche europee si indebitano a meno dell’1% con la Bce e comprano Btp che rendono il 4,5%, portando a casa il 3% in omaggio).

Gli europei traggono sicuramente un beneficio: con lo yen svalutato spenderanno molto meno per andare a vedere la fioritura del 2014. Nel frattempo, però, potranno godere di un ulteriore effetto: un’inflazione degli asset denominati (anche) in euro. Nello stesso giorno abbiamo infatti: più soldi in circolazione nel mondo, grazie a Boj, e meno interesse degli investitori a comprare obbligazioni giapponesi, perché i prezzi sono cresciuti a seguito di questi acquisti enormi. Questi capitali si stanno riversando anche sui mercati euro e gli effetti li vediamo immediatamente sui prezzi dei Btp e (addirittura) del Bund che salgono effervescenti.

Questi capitali arriveranno anche sui mercati azionari, sorreggendo una euforica, irrazionale, insostenibile situazione di benessere dei portafogli di investimento. Ma la base dell’economia reale continua a mancare, e questa fioritura dei mercati non potrà concludersi se non come quella dei ciliegi: con una caduta.