Quindici milioni di italiani con più di 15 anni non hanno un conto corrente né un libretto di risparmio in una banca. E’ quanto emerge da uno studio della Cgia di Mestre, che sottolinea come in nessun altro Paese europeo esista un numero così alto di cittadini che tengono i loro averi sotto il materasso. Bisogna però ricordare che in percentuale l’Italia non è il Paese peggiore. Il 29% di italiani con più di 15 anni senza conto bancario è inferiore al 55% dei romeni (che pure in termini assoluti è pari a 9 milioni e 860mila persone), e al 30% dei polacchi (9 milioni e 700mila persone). In Francia e Regno Unito si tratta però soltanto del 3% e in Germania del 2% del totale. Ilsussidiario.net ha intervistato Oscar Giannino.



Per quale motivo in Italia 15 milioni di persone non hanno un conto corrente?

Il primo motivo di questo fenomeno è dovuto a un abbassamento molto netto della propensione al risparmio, che dal 21-22% del reddito disponibile di 12 anni fa, si è assestato oggi tra il 7 e l’8%. Ciò si deve al fatto che il reddito disponibile negli anni della crisi si è molto compresso in termini reali, tornando indietro agli anni ’90.



A prescindere dall’evoluzione successiva alla crisi, esistono anche ragioni storiche di questo fenomeno?

Da un punto di vista storico, nel rapporto con gli strumenti finanziari, l’Italia non ha mai valicato una frontiera pre-moderna. E’ sempre rimasto vero che alcuni milioni di italiani, nei ceti popolari e nelle fasce più basse di reddito, hanno continuato nel tempo a preferire il risparmio postale. A privilegiarlo sono stati soprattutto gli anziani con pensioni di importo modesto, che hanno optato per le Poste italiane anziché per le tradizionali offerte del mondo bancario, cui si accede come primo passo aprendo un banale libretto di risparmio.



Di recente questa tendenza ha subito un’accelerata?

Sì, in quanto si tratta di un fattore storico che tende ad ampliarsi in questi anni con il ricadere in prossimità della soglia di povertà di alcuni milioni di italiani aggiuntivi. I 15 milioni di italiani che non hanno il conto corrente da un lato si spiegano con motivazioni storiche legate alla propensione e alla preferenza verso strumenti più tradizionali come la posta, ma d’altra parte sono significativi degli effetti della crisi.

Il dato della Cgia di Mestre è anche il sintomo di una sfiducia degli italiani nei confronti delle banche?

Soprattutto in questi anni, come emerge dalle indagini demoscopiche che sondano la fiducia delle famiglie italiane, nei confronti tanto delle istituzioni pubbliche quanto del mercato privato, come pure di imprese e banche, la fiducia nei confronti del sistema bancario è sceso ai minimi storici. Si tratta di un trend iniziato prima della crisi per effetto di grandi scandali come Parmalat e Cirio, ma che di fronte alla restrizione di credito praticata dal sistema bancario italiano nei confronti delle imprese e delle famiglie, si è ulteriormente rafforzato portando la fiducia ai minimi storici.

 

Lei ritiene che le banche possano fare di più?

Su questo aspetto l’industria bancaria italiana nel suo complesso, senza dare giudizi su questo o quel singolo istituto, non ha fatto abbastanza. Eppure ogni volta che è diffuso un dato sulla restrizione del credito, il sistema non fa altro che ripetere che si tratta di numeri esagerati.

 

I costi legati ai conti correnti in Italia sono più elevati rispetto agli altri Paesi Ue?

Questa settimana l’Ue ha pubblicato il raffronto comparato sul costo medio di un importo bancario di piccolo taglio in Italia e in tutti gli altri Paesi dell’area euro, dimostrando come ci siano centinaia di euro di differenza sui costi di tenuta e sulle operazioni. Tutte le volte però l’Abi contesta la metodologia affermando che non è vero. A furia di adottare un atteggiamento così auto-difensivo e basato sulla negazione, non si fa altro che alimentare la sfiducia. E così 15 milioni di italiani decidono che possono fare a meno del conto bancario, o che non hanno i soldi per aprirlo.

 

Ma è tutta colpa delle banche?

No, ma la mancanza di coraggio del sistema bancario nell’affrontare la sua crisi ha fatto sì che non si è mai voluto ammettere che esiste una restrizione di credito perché gli istituti di credito italiani sono a corto di capitale e possiedono quantità eccessive di titoli di Stato.

 

(Pietro Vernizzi)