Guardate il grafico a fondo pagina. È la rappresentazione visuale del disastro cui stiamo andando incontro. Anzi, che giorno dopo giorno stiamo costruendo con certosina follia. Ci mostra come il rendimento di strumenti ad alto rischio negli Usa sia a livelli bassissimi, ovvero come la gente sia disposta a comprare immondizia, o poco più, pur non sperando di portare a casa ritorni da favola come premio di rischio. Questo, infatti, ponderato con il dato di credit loss annuale, è dell’1,39%. Niente. Eppure sembra una svendita post-natalizia, con file di clienti pronti a mettersi in portafoglio qualsiasi cosa, purché paghi qualcosa. Ecco a cosa ci ha portato il diluvio di soldi prima della Fed e poi della Bank of Japan (l’indice Nikkei ha guadagnato il 45% da inizio anno, in compenso da quattro giorni i bond giapponesi prendono schiaffi a raffica, soprattutto sulla scadenza dei 5 anni, proprio quella di cui sono strapiene le banche nipponiche), alla rimozione totale della volatilità su qualsiasi asset class.



Pensavo, come credo pensaste anche voi, che la lezione dei subprime fosse servita una volta per tutte, non solo alle banche ma anche ai cittadini-investitori. Così non è invece. Il grande casinò globale dell’avidità cieca ha ripreso a funzionare in grande stile e le agenzie di rating sono di nuovo il fulcro del grande commercio di prodotti finanziari strutturati, giudicati di alta qualità nonostante il collaterale su cui si regge quel contratto siano prestiti al consumo per comprare automobili o edifici con destinazione d’uso per uffici. Non scherzo, è la verità.



Pochi giorni fa Fitch, una delle tre sorelle del rating, ha negato la propria valutazione a uno strumento legato a un prestito per un grattacielo di Manhattan vincolato all’aumento della profittabilità dello stesso nel tempo, dicendo chiaro e tondo che gli investitori avrebbero necessitato maggiore protezione di quella offerta. Oh, finalmente qualcuno che ha imparato la lezione! Peccato che, chiusa una porta, si sia aperto non un portone ma l’hangar di un aeroporto: la stessa security ha infatti ottenuto il massimo grado di rating sia da Moody’s che da Kroll Bond Rating Agency. No dico, stiamo parlando di un cdo che ha come granitica garanzia un grattacielo nell’Upper East Side che in futuro dovrebbe generare maggiore profittabilità attraverso i servizi che offre e le aziende che ospita! Ma questo è il meno.



Negli ultimi quindici mesi, la divisione Exeter Finance Corp. di Blackstone Group ha ottenuto il massimo del rating da Standard&Poor’s e Dbrs per la vendita di 629 milioni di dollari di bonds legati a prestiti per l’acquisto di automobili a persone con pessime credenziali di credito bancario alle spalle: in questo caso, Moody’s e Fitch non hanno avuto abbastanza pelo sullo stomaco e si sono rifiutate di garantire un rating. D’altronde, come stupirsi: oggi come oggi gli emittenti di questi strumenti hanno molta più possibilità di manipolare il mercato e sapete grazie a chi? Ai regolatori Usa, i quali hanno raddoppiato il numero di compagnie autorizzate a valutare securities, portandole a 10. Il nuovo processo regolatorio era iniziato nel 2006, sintomo che qualcuno Oltreoceano aveva capito che si stava giocando con il fuoco, ma nonostante l’esplosione della crisi, le nuove autorizzazioni sono proseguite. E con ottimi risultati, vista la qualità di immondizia che sta arrivando sul mercato!

È come se ci fossero sei Agenzie per il farmaco nel settore farmaceutico, ognuna in competizione con l’altra per autorizzare nuovi prodotti: vi sentireste garantiti? Ma chi se ne importa, il mondo è pieno di liquidità facile e la gente vuole fare soldi. E visto che anche il settore delle obbligazioni ad alto rendimento ormai paga una miseria, via con le scommesse stile roulette russa. Con i tassi d’interesse a zero ormai da cinque anni, come si fa a tirar fuori qualche dollaro altrimenti?

Solo dall’inizio di quest’anno le banche Usa hanno curato il collocamento di 31,5 miliardi di dollari di securities legate a mutui nel ramo commerciale, ponendo le basi per un aumento del 50% rispetto ai 70 miliardi di controvalore registrati nel 2012, stando a dati di Credit Suisse. L’emissione di bonds legati a debito per acquisto di auto da parte di clienti giudicati subprime da inizio anno ha già toccato quota 7,7 miliardi dollari, contro i 5,7 miliardi dei primi quattro mesi del 2012. L’esempio del grattacielo di Manhattan è calzante. Si tratta del Seagram, un palazzo al 375 di Park Avenue e il contratto si basa su un prestito da 782,8 milioni di dollari di finanziamento top grade, ovvero ai costi minimi per chi lo richiede. Fitch ha detto no alla valutazione, ma sia Moody’s che Kroll hanno garantito il massimo di affidabilità sulla base di una promessa di maggior creazione di valore nel futuro da parte del palazzo, ovvero si pensa a un introito di 74 miliardi contro i 54 miliardi del 2012: questo strumento ha ottenuto rating AAA.

Si tratta del cosiddetto “pro-forma lending”, una delle formula più utilizzate per finanziarsi durante il boom immobiliare, tanto che nel 2007 si arrivò al record di 232 miliardi di dollari di bonds legati a mutui commerciali. Peccato che poi arrivò l’esplosione della bolla, il 2008 e i tagli dei rating: storia fin troppo lontana per gente con gli occhi a forma di dollaro. Personaggi che si sono fiondati come giaguari alla Springleaf Financial, ex American General Finance, gigante del credito al consumo, per un bell’abs (asset-backed security) che ha visto impacchettare 604 milioni di bonds con 662 milioni di prestiti garantiti da auto, barche, arredamenti e gioielli, molti dei quali senza collaterale.

I 190.627 prestiti presenti nel prodotto della Springleaf hanno rating di credito Fico di 602, in linea con molti abs garantiti da prestiti auto subprime. Ma il coupon medio del 25% sui prestiti personali Springleaf è più alto anche dei prestiti per acquisto auto denominati “deep subprime”, proprio perché non c’è collaterale per almeno il 10% dell’emissione. E la fetta con rating A del debito potrebbe garantire un rendimento del 2,5%, ovvero 2 punti sopra il tasso di interesse benchmark. Follia allo stato puro. D’altronde, a confermare che «nel business del rating non è cambiato niente» ci ha pensato, intervistato la scorsa settimana da Bloomberg, David Jacob, ex capo della divisione finanza strutturata di Standard&Poor’s.

E non c’è da stupirsi, visto che Jules Kroll, amministratore delegato della stessa Kroll Bond Rating Agency che ha assegnato una bella tripla A al palazzo di New York, non molto tempo fa puntò il dito contro le grandi agenzie di rating, le quali «mettono il profitto prima dell’accuratezza. Si stanno vendendo come se stessero per morire. Ma se volete vedere il prossimo tsunami, aspettate l’uscita di massa dal mercato ad alto rendimento: vedrete i cadaveri di chi ci era dentro finire sulla spiaggia». Uno, magari, sarà il suo.