Confindustria e le Regioni scendono in campo alla vigilia del Consiglio dei ministri del governo Letta in cui si parlerà concretamente di Imu e Cassa integrazione. Da un lato il presidente Giorgio Squinzi lamenta che “le imprese sono veramente con l’acqua alla gola e per avere un minimo di attività sono obbligate anche a calare i prezzi: non è un segnale positivo”. Quindi una bordata al governo: “E’ sconcertante che il nostro Ministero dell’Economia non sia al corrente dell’effettivo ammontare dei debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese”. Dall’altra i governatori Nicola Zingaretti e Nichi Vendola, che incassano comunque il sostegno dei leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia, salgono sulle barricate annunciando che il Patto di stabilità, “cieco e demenziale, è la cura che sta uccidendo il paziente: stiamo morendo”. E rincara la dose Vendola in toni melodrammatici: “A Roma non hanno orecchie per ascoltare, sono stufo di avere ragione, non arriviamo vivi al 2014”. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.

Squinzi ha sottolineato l’importanza di ridurre l’Imu sui capannoni, e non solo sulla prima casa. Qual è il senso di questa richiesta?

Mi sembra veramente una questione mal posta, anche perché i capannoni sono solo una piccola parte degli edifici a uso non abitativo. La categoria è divisa in nove classi e riguarda “gli opifici e i fabbricati per attività industriali e commerciali non destinabili ad altra attività senza radicale trasformazione”. Ci sono quindi dentro anche banche, centri commerciali e altre strutture che non fanno parte dell’economia povera, ma dell’economia ricca e hanno un potere di lobby.

Quindi Squinzi vuole fare intendere di difendere le piccole imprese, mentre non è così?

Il riferimento di Squinzi ai capannoni è quanto mai pretestuoso, anche perché il capannone in quanto tale ha un’incidenza sui fattori produttivi molto modesta, soprattutto se riferita ai macchinari. La vera questione è piuttosto quella relativa agli edifici dei servizi, come i centri commerciali, i grattacieli delle banche, le grandi strutture del consumo di massa.

E’ proprio sicuro che l’Imu non sia un ostacolo alla crescita delle imprese?

Se davvero si volesse chiedere una riduzione dell’Imu finalizzata specificatamente al rilancio delle attività produttive, lo si dovrebbe fare per negozi, magazzini e laboratori. Sono questi ultimi, e in particolare le botteghe artigiane, i casi in cui l’immobile ha un’incidenza sul bilancio complessivo di un’impresa.

 

Per quale motivo però gli edifici di banche e grandi aziende devono essere penalizzati?

Il coefficiente di rivalutazione, che era stato adottato per le rendite catastali degli edifici industriali, è stato quello in assoluto più basso. Le rendite catastali delle abitazioni sono aumentate del 60%, quelle degli uffici dell’80%, quelle dei negozi del 55%, quelle dei laboratori artigiani e dei cosiddetti capannoni del 40%. C’è una logica nel fatto di attuare un aumento minore di queste rendite, perché si vuole avere una pressione minore su questo settore, che però è già stato beneficiato dal governo Monti che era amico delle grandi imprese. Non si capisce per quale motivo ora si debba venire loro incontro una seconda volta.

 

Veniamo alla protesta delle Regioni. Che cosa c’è dietro le loro lamentele?

Le Regioni non vogliono il patto di stabilità interno, cioè non vogliono pareggiare i loro bilanci correnti. Tutti però devono concorrere al taglio delle spese, e non dimentichiamoci del resto che tutti i recenti scandali politici sono stati esclusivamente regionali. La gestione peggiore che abbiamo in Italia purtroppo è delle Regioni, e ciò non dipende dall’istituzione come tale, bensì dalla presenza di una classe politica meno legata al territorio e meno controllabile da parte degli enti locali.

 

Per quale motivo sono meno controllabili?

Perché rispetto al governo nazionale e al Parlamento sono meno visibili dal punto di vista dell’opinione pubblica e dei media. Le Regioni sono quindi diventate il lato oscuro della nostra finanza pubblica. Il deficit sanitario del resto ha determinato i grossi problemi dei nostri bilanci. I debiti della Pubblica amministrazione sono in larga misura nel settore sanitario, e quindi delle Regioni. Queste ultime non hanno nessuna intenzione di rispettare le regole che cercano di seguire lo Stato e gli stessi Comuni.

 

Quali sono le conseguenze?

Si tratta di conseguenze inaccettabili, perché i contribuenti italiani devono fare i sacrifici senza che anche le Regioni siano chiamate a parteciparvi. Ed è maggiore ragione paradossale che gli unici processi si siano fatti sulla Regione Lombardia, che non ha problemi di gestione del bilancio, mentre Regioni come la Puglia e il Lazio hanno notevoli difficoltà nel quadrare i loro conti con il patto di stabilità interno.

 

Da un punto di vista politico, in che modo il governo Letta può accontentare Confindustria e le Regioni evitando di fare crescere il loro malcontento?

Il malcontento di Vendola e dei governatori leghisti come Maroni e Zaia non mi sembra particolarmente preoccupante. Le Regioni e i Comuni hanno sempre protestato per motivi di bottega, e durante l’ultimo governo Berlusconi facevano persino le riunioni insieme a Confindustria, con la quale avevano creato una sorta di “opposizione di Sua Maestà” guidata da Emma Marcegaglia.

 

Con Squinzi la musica sembra essere rimasta la stessa…

Confindustria non si rende conto che dovrebbe sostenere questo governo, che si basa su una maggioranza di coalizione tra i maggiori partiti d’ordine. Il Movimento 5 Stelle si può definire legittimamente un partito del disordine, e lo stesso vale per quella frangia di sinistra più vicina a Sel. Pdl, Lista Civica e Pd rappresentano lo sforzo di dare all’Italia una coalizione di partiti moderati. Non si capisce perché mai la Confindustria debba rinunciare a sostenere il governo e faccia solo richieste specifiche, operando una critica non costruttiva.

 

Davvero ritiene che l’associazione degli industriali abbia calcato troppo i toni?

La presa di posizione di Squinzi sull’Imu sui capannoni dà la sensazione che la Confindustria attuale faccia un gioco miope di pura corporazione, e non si renda conto che ciò non è nell’interesse delle categorie produttive che rappresenta. E’ la dimostrazione che ormai Confindustria ha perso la sua natura, e difende solo una parte delle grandi imprese e ovviamente nessuna delle piccole e medie aziende.

 

(Pietro Vernizzi)