Nel dibattito politico economico degli ultimi giorni, ancora così influenzato da slogan, twitter vari e logiche di appartenenza e scontro, e frenato dalla grande scarsità di risorse, risulta realmente complesso capire che cosa serva al bene comune di questo Paese. In modo particolare, è importante tentare di valutare la reale portata dell’Imu, che sembra davvero l’elemento fondamentale su cui ruotano le iniziative di politica fiscale del nuovo governo. Certamente ogni intervento sull’Imu per le prime case, se avrà effetto dal punto di vista del segnale positivo dato nei confronti dei contribuenti, non potrà aiutare a dar fiato al mondo delle nostre imprese. C’è però un’eccezione, nel mondo dell’Imu, che secondo la mia esperienza professionale costituisce un elemento di grave disturbo nel mercato e di grave danno per gli operatori: si tratta dell’Imu sui cosiddetti immobili merce, ossia sugli invenduti costruiti dalle imprese edili. Vedo che anche nel dibattito che si sta dipanando sui media, questo caso non viene particolarmente evidenziato, mentre ci si occupa dell’Imu sui capannoni e sui fabbricati rurali. Merita, invece, spendere due parole su questa situazione.
L’Imu sugli immobili merce fa pagare un’imposta su una fattispecie, quella dell’avere una massa di immobili finiti non ancora venduti, che non è sicuramente indice di capacità contributiva (anzi, se mai, di difficoltà finanziarie). Questa stortura del sistema era già presente ai tempi dell’Ici (mentre invece, in modo intelligente, il testo unico delle imposte sui redditi esenta dal pagamento dell’imposta sui redditi immobiliari gli immobili-rimanenza). Ma negli anni scorsi, la minore incidenza del tributo e, soprattutto, l’andamento del mercato, che lasciava trascorrere tempi ristretti tra l’ultimazione degli immobili e la loro vendita al pubblico, rendeva questa stortura marginale. Ma con la notoria crisi dell’edilizia, la massa degli immobili invenduti e i tempi di vendita stessi si sono dilatati enormemente: a oggi, l’Imu sugli immobili invenduti, che peraltro è stata oggetto di discussioni significative, tanto che si stava per toglierla nell’estate del 2012 e fu poi lasciata, è un macigno che pesa centinaia di migliaia di euro per gli operatori, tra i quali, come è noto, si sono già verificati parecchi fallimenti, e che contribuisce ad affossare ulteriormente un settore del quale è risaputo il peso nell’economia generale, anche per l’indotto artigianale e lavorativo che è in grado di generare.
Se quindi davvero si vuole guardare agli interventi di riduzione delle imposte in una logica di bene comune, trattandosi dell’Imu non dimentichiamoci di questo fattore: una esclusione da Imu degli immobili invenduti per i primi tre-quattro anni dalla conclusione dei lavori, come del resto era stata già proposta in precedenza, non avrebbe un costo elevatissimo, ma sarebbe una boccata d’ossigeno per un mondo, quello delle costruzioni, dal quale dipende in modo elevato la ripresa del Paese.