Con 29 voti a favore e 27 contrari, martedì il Parlamento cipriota ha approvato il pacchetto di salvataggio imposto dalla troika per lo sblocco dei 10 miliardi di aiuti. Insomma, i ciprioti hanno preferito tenersi l’euro e coccolare la loro sindrome di Stoccolma europeista piuttosto che pensare seriamente a una rinegoziazione che passasse attraverso l’abbandono dell’eurozona. Vedremo in futuro se avranno fatto bene. In compenso, c’è un giallo che potrebbe spiegare molti particolari del quasi fallimento della piccola isola, oltre alla necessità di Francia e Germania di prendere tempo prima di affrontare la questione, affinché le loro banche potessero svincolare i soldi depositati a Cipro al 5% di interesse.
Torniamo un po’ indietro nel tempo. Nell’ottobre 2012, la troika cominciò a traballare sulla questione greca – strettamente connessa a quella cipriota – e aprì a una dilazione dei tempi per Atene. Era il 14 ottobre quando gli ispettori di Bce, Ue e Fmi decretarono che la Grecia aveva bisogno di altri due anni per attuare le riforme e centrare gli obiettivi di risanamento. Dopo settimane trascorse ad Atene tra conti, colloqui e confronti con il governo ellenico, chiesero ai ministri delle Finanze di Eurolandia di concedere un biennio di tempo in più al Paese. E cosa fecero l’Ecofin e l’Eurogruppo? Dopo tre riunioni in altrettante settimane, il 26 novembre – dopo tredici ore di trattativa – diedero via libera alle richieste della troika: sblocco degli aiuti per un totale di 43,7 miliardi, obiettivo debito/Pil al 124% entro il 2020, per poi scendere drasticamente al 110% nel 2022. A detta di tutti, la Grecia era salva.
Direte voi, cosa c’entra questo flashback greco con Cipro e il voto del Parlamento sul pacchetto di salvataggio? Come ho già scritto in un articolo precedente, il default del sistema bancario cipriota è stato dovuto essenzialmente proprio alle detenzioni di debito greco, le quali svalutandosi hanno creato circa 11 miliardi di perdite per i principali istituti dell’isola. Ma c’è dell’altro. Come confermato dalla Reuters, il 18 ottobre dello scorso anno, quattro giorni dopo l’apertura della troika a una dilazione dei tempi per Atene, una speciale chiavetta usb contenente un software in grado di eliminare definitivamente dati fu inserita in un computer della Bank of Cyprus, l’istituto poi ricapitalizzato e nazionalizzato a seguito della crisi. In pochi minuti, furono distrutti 28mila files, gli stessi che gli inquirenti che stanno investigando sul collasso del settore bancario cipriota volevano analizzare e che invece sono andati persi per sempre.
E cosa contenevano quei files? Erano essenzialmente mail inviate e ricevute tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, quando la Bank of Cyprus spese miliardi di euro per acquistare debito greco, proprio mentre tutte le altre banche al mondo cercavano in tutti i modi di disfarsene. Gli ex dirigenti delle banche cipriote si sono giustificati dicendo che a loro avviso, all’epoca, i bonds greci apparivano un buon investimento ma un report riservato dell’azienda di consulting Alvarez&Marsal, redatto per la Banca centrale cipriota, ha dimostrato come dal 2009 in poi la Bank of Cyprus abbia continuato a investire in rischioso debito greco come scommessa per cercare di pareggiare le perdite di bilancio dovute all’aumento delle sofferenze su prestiti e mutui. Insomma, una strategia di hedging degna davvero del Nobel per l’economia!
Il report conferma come i dirigenti abbiano tenuto all’oscuro degli acquisti il board delle relative banche, ritardato artatamente un’inchiesta sul caso e addirittura mentito come quando, nel dicembre 2009, i manager di Bank of Cyprus confermarono ai media e al cda dell’istituto di aver venduto le detenzioni di bonds greci, salvo ricominciare a comprarli già dal giorno dopo. Era infatti il 10 dicembre del 2009 quando Yiannis Kypri, general manager di Bank of Cyprus, confermava come la banca avesse un’esposizione minima al debito greco, essendo stata ridotta da 1,8 miliardi di euro a soli 0,1 miliardi. Stando però al report, il giorno medesimo, il ceo della Banca, Andreas Eliades, diede istruzioni affinché ripartissero gli acquisti: 150 milioni di colpo, fino a raggiungere i 400 milioni di euro a fine anno.
Qui, un primo giallo: il general manager dell’area risk management della banca, Karydas, disse l’11 dicembre che i bonds greci erano stati liquidati, ma il report nega che il board sia stato a messo a conoscenza del fatto che già il giorno prima erano però ripartiti gli acquisti. Ma Karydas, che ha lasciato la banca lo scorso agosto, conferma come tutti i dirigenti di Bank of Cyprus fossero stati concordi sulla politica di eventuale riacquisto di bond greci stabilita in un meeting del novembre 2009. Fatto sta che ad aprile 2010, la banca aveva espanso le sue detenzioni di debito greco fino a 2,4 miliardi di euro, un terzo in più dell’ammontare che Kypri aveva detto di aver venduto solo quattro mesi prima. L’ex ceo del gruppo, Eliades, si difende dicendo che all’epoca dell’acquisto i bond greci godevano ancora di ottimo rating e tutti, a livello internazionale, compravano e volevano debito greco.
Falso. Basti guardare i dati degli stress test imposti dalle autorità europee, preoccupate per lo stato di salute delle banche europee: alla fine del 2010, le 10 principali banche dell’Ue detenevano insieme più o meno lo stesso ammontare di debito greco di Bank of Cyprus e Laiki, le quali avevano in pancia rispettivamente 2,2 miliardi di euro e 3,3 miliardi di euro di bond ellenici. Solo i giganti francesi Bnp Paribas e Societe Generale si avvicinavano a quelle cifre, mentre banche tendenzialmente propense all’azzardo come le britanniche Barclays e Lloyds Tsb avevano rispettivamente 192 milioni di euro di debito greco e zero euro. Questo grafico spiega meglio di ogni altra parola l’orizzonte temporale della vendita e del crollo del valore di quei titoli.
Tanto è vero, che in un tentativo di occultamento della verità, nell’aprile 2010 la Bank of Cyprus spostò 1,6 miliardi di euro di debito greco da un conto di trading al book di detenzione per maturazione, di fatto permettendo alla banca di non dover iscrivere a bilancio il valore reale di quei bond e quindi le perdite sul portafoglio subite. L’ex management giustificò l’accaduto con il fatto che la Grecia avrebbe portato quei bonds a redenzione, visto che all’epoca c’era la certezza che nessuna nazione nell’eurozona avrebbe potuto fare default. Altra balla, oppure sintomo di incompetenza totale. Ma siccome Cipro è stato un hub finanziario di primo livello per anni, attraente per una clientela non di novizi della finanza, appare difficile credere che i manager della sua prima banca siano degli stolti totali, gente che commette errori di valutazione che nemmeno uno studente al primo anno di economia farebbe.
C’è però un’altra coincidenza temporale. All’esplosione della crisi greca, le maggiori banche tedesche e francesi erano strapiene di titoli greci, ad alto rendimento e dunque dal potenziale guadagno facile: i due terzi dell’esposizione pubblica greca era nei loro confronti. Tra novembre 2009 e febbraio 2010, poi, da più parti si avanzò la proposta del possibile e anzi necessario avvio per la Grecia di una ristrutturazione del proprio debito, delle sue scadenze e anche delle sue rate, con una perdita di capitale per le banche prestatrici nell’ordine di almeno il 15-20%. Il Fmi non era contrario a prescindere, si sarebbe evitato di perdere tempo e molti più soldi, oltre che di squassare l’intero mercato del debito sovrano europeo, ma proprio Berlino e Parigi si rifiutarono e si giunse al primo dei tre salvataggi.
In cambio di 105 miliardi di euro prestati da Ue e Fmi, la Grecia fu obbligata a una manovra durissima – e inutile – che comportò la perdita secca di quasi 6 punti di Pil. Le banche tedesche e francesi (più le prime delle seconde), però, ebbero tempo di vendere la grandissima parte delle proprie detenzioni di debito greco a un prezzo ancora accettabile e senza l’haircut obbligato della ristrutturazione prospettata da qualcuno: chi comprò quei titoli? Quelli denominati sotto legislazione britannica gli hedge funds, che infatti non hanno aderito al successivo swap e si sono visti riconosciuto da Atene quanto dovuto. Gli altri la Bce, che essendo creditore senior e istituzionale non viene contemplata negli haircuts in caso di swap e moltissimi le banche di Cipro, a detta degli ex banchieri perché ritenevano vantaggiosa l’operazione, visti i rendimenti. Caso strano, terminato il periodo di acquisti folli dei ciprioti, il valore facciale dei bond era rimasto quasi inalterato, ma quello di mercato era crollato, uccidendo i bilanci delle banche di Nicosia.
Solo manager stolti, quindi? Oppure la manina che nell’ottobre scorso ha cancellato quei 28mila files sapeva che tra i mittenti e riceventi di quelle mail c’erano anche nomi e indirizzi che dovevano per forza restare segreti, magari al di fuori dell’orizzonte geografico greco-cipriota? Qualcuno ha obbligato le banche cipriote a comprare quel debito? Qualcuno ha millantato, truccato le carte oppure promesso, a fronte di acquisti, qualche aiuto, magari depositi di massa al 5% vincolati per un anno negli anni a seguire? Oppure, a piani ancora più alti, aveva garantito a Nicosia che non ci sarebbe stata ristrutturazione del debito e che quindi quei bond sarebbero cresciuti di valore nell’arco di mesi?
La risposta, forse, sta in quelle mail cancellate. Tante, troppe per essere soltanto la prova della stoltaggine di alcuni dirigenti in cerca di profitti facili e trucchi di finanza creativa per non giocarsi i bonus. Ma qualcuno quelle mail le ha in mano, le ha copiate prima di distruggerle dall’hard disk e potrebbe farle saltare fuori a tempo debito. Una chiavetta di distruzione di massa.