Il 14 maggio, l’agenzia di rating Fitch ha alzato il rating sul debito ellenico da “CCC” a “B-”. In Italia pochi se ne sono accorti: la notizia ha ottenuto appena qualche riga sulla stampa d’informazione, nonostante la decisione dell’agenzia abbia implicazioni anche per noi. Prima di delineare tali ramificazioni, chiediamoci se è il caso di stappare champagne o anche più modesto prosecco. Come mostra il primo grafico a fondo pagina, elaborato da Bloomberg, già da diversi mesi era in atto un ribasso dei rendimenti dei titoli di Stato decennali, passati in un anno dal 30% l’anno a poco più del 9%. Fitch ha, quindi, preso atto di un andamento già in corso e consolidato.



In effetti, si è ridotto in misura significativa lo “spread” tra i titoli greci e quelli del gruppo di Stati dell’eurozona considerati più solidi (Repubblica federale tedesca in prima fila). La riduzione dello spread è avvenuta grazie alle severe misure di finanza pubblica intraprese, non a un miglioramento dell’economia reale o a un ribasso del rapporto tra stock di debito pubblico e Pil. Al contrario, l’economia reale continua a contrarsi (dopo una diminuzione del Pil del 15% circa negli ultimi tre anni, se ne aspetta una ulteriore del 5% nel 2013) e, quindi, il rapporto tra debito e Pil aumenta.



L’indicatore che meglio riassume la situazione è l’andamento del tasso di disoccupazione. I dati Eurostat sono eloquenti: mentre il rendimento sui titoli decennali diminuiva, il numero di coloro che cercano lavoro senza trovarlo cresceva giungendo al 27% – un incremento di cinque punti percentuali rispetto al già elevatissimo 22% segnato a fine 2011. In questo quadro la disoccupazione giovanile tocca il 62% (l’andamento è riassunto nel secondo grafico a fondo pagina).

L’insieme di queste cifre vuole dire che il rischio di “Grexit”, ossia di fuoriuscita della Repubblica ellenica dalla moneta unica (con un “effetto domino” sugli Stati ad alto debito dell’eurozona) non c’è più. Questa è una buona notizia per tutti. Indica anche, però, che il costo sociale per evitarla (e ottenere un miglioramento nella classificazione di Fitch) è stato molto elevato. Chi ha mantenuto il proprio posto di lavoro ha mediamente subito una perdita almeno del 25% del proprio stipendio, salario o pensione. Ora, 3,5 milioni di greci (su un totale di 11 milioni) vivono al di sotto della “soglia di povertà”.



Tutto ciò ha lasciato ferite molto profonde e dubbi molti forti sulla strategia seguita prima per facilitare l’ingresso della Repubblica ellenica nell’unione monetaria e, poi, per varare programmi di aiuti che hanno avuto (almeno sinora) principalmente l’effetto di alleviare le pene ai creditori (in gran misura banche francesi, britanniche e tedesche) che avevano scommesso sulla Grecia nell’aspettativa che, bene o male, una rete di sicurezza avrebbe contenuto i rischi (pur elevati) che correvano.

La decisione di Fitch è stata considerata come una “svolta” dal Governo greco. Solo tra qualche mese si potrà dire se tale commento è giustificato. Il Paese non ha più quel poco di manifattura che esisteva nel 2000. Ora conta essenzialmente sul turismo, da attirare grazie a una massicciafiscal devaluation, riduzione dei redditi e dei prezzi pur non alterando il tasso di cambio. Pare che le prenotazioni per le vacanze nell’Egeo siano aumentate del 25% rispetto al 2012. In autunno si potranno tirare le somme.

Più seri degli aspetti economici sono quelli politici. In materia sono stati pubblicati dozzine di papers da parte di studiosi greci, americani e di altri paesi europei. Proprio nei giorni in cui Fitch si preparava a migliorare il rating dei titoli di Atene, ne sono apparsi due di studiosi tedeschi. Scontato il primo, dato che l’autore è Jürgen Habermas e il lavoro è apparso il 7 maggio su Social Europe. Meno prevedibile il secondo: un paper di Andreas Maurer della Stiftung Wissenschaft und Politik (un think tank europeista). Ambedue sottolineano come la crisi greca (peraltro ancora in corso) abbia ferito la legittimità democratica dell’Unione europea e dello stesso Parlamento europeo. Maurer propone che si vada dall’Emu (European monetary union) al Demu (Democratic european monetary union).

Tutto ciò non riguarda soltanto i greci, ma tutti gli europei. E ci tocca molto da vicino. Come hanno sottolineato efficacemente Alberto Alesina e Francesco Giavazzi su Il Corriere della Sera del 17 maggio, il nuovo Governo italiano non deve farsi intimidire da parametri la cui poca fondatezza economica è stata documentata nei mesi scorsi anche sotto il profilo scientifico: la strada di un’austerità eccessiva ci porterebbe ad avvitarci come la Grecia e ad avere un sollievo dalle agenzie di rating dopo una contrazione del 25% del reddito nazionale e una perdita di pari portata della capacità produttiva.

Occorre insistere al prossimo Consiglio europeo, tra pochissime settimane, per rimettersi sulla via dello sviluppo, anche se ciò potrebbe comportare un deprezzamento della moneta unica sui mercati internazionali.

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