Di ritorno da Bruxelles, Letta è stato accolto da un tripudio della stampa pressoché unanime. In particolare, gli è stato intestato il merito di un accordo su un pacchetto di misure a sostegno dell’occupazione e dello sviluppo da definire al prossimo Consiglio straordinario di luglio. Pare che tutto vada per il verso giusto, dato che entro maggio rientreremo pure dalla procedura di infrazione per lo sforamento del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. Ciò significa che potremmo disporre della facoltà di spingerci, per il 2014, al 2,9%, quando in precedenza il limite concordato era del 2,4%. A dire il vero, c’è ben poco di cui gioire. Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università Cattolica di Milano, ci spiega perchè. 



Abbiamo di che essere entusiasti?

Sembra di assistere a una replica del supervertice dello scorso giugno, quando Monti tornò trionfante in Italia e tutti gli diedero il merito di aver ottenuto l’attivazione dello scudo anti-spread e del Fondo salva-Stati. Anche in quell’occasione fu un proliferare di supposizioni fantasiose sulla Merkel. Si arrivò a sostenere che se n’era andata senza salutare perché la sconfitta le bruciava. In quella stessa sede si ipotizzò un grande piano per lo sviluppo che avrebbe coinvolto la Bei con il compito di finanziarie le grandi opere infrastrutturale. Alla fine, non se ne fece nulla. Oltretutto, dato e non concesso che Letta abbia realmente ottenuto qualche fondo per l’impiego, si tratterebbe di una vittoria inutile.



Perché?

I fondi per l’impiego si userebbero per produrre cosa? Mi spiego: iniziative del genere sono meglio che niente per quella piccola percentuale di aziende che ancora va bene, e che sarebbe ben lieta di potere assumere qualcuno a condizioni agevolate. Ma tutte le altre stanno pensando a licenziare perché, semplicemente, non vendono più i loro prodotti. Non dimentichiamo che questi fondi hanno un costo. Chi li paga? Perché se i soldi ce li mette la Germania, è un conto. Ma non ce li metterà. Con ogni probabilità, quindi, ci erogheranno semplicemente una quota di quanto abbiamo finora versato all’Europa. Tanto varrebbe autofinanziarci.



Quindi?

Sarebbe molto più opportuno capire perché ci sono paesi come la Germania che garantiscono l’occupazione e altri come la Spagna o l’Italia in cui la disoccupazione continua a crescere a livelli insostenibili. Meglio, in sostanza, comprendere la ragioni dello squilibrio piuttosto che inventarci delle pezze tutt’altro che risolutive.

Da cosa dipende, allora, lo squilibrio? 

La Germania, nonostante sia il Paese che esporta di più, non subisce l’effetto che si produrrebbe in condizioni normali, ovvero la rivalutazione della sua moneta. Tale squilibrio non solo non viene frenato da alcune politica ad hoc, ma si autoalimenta. La Germania, infatti, già di per sé è vocata all’export e dispone di un tessuto industriale più esteso di quello degli altri paesi; ma a questo, si aggiunge il fatto che ha attuato, nel corso degli anni, politiche non collaborative nei confronti degli altri Stati. I tedeschi, in sostanza, sono sempre stati più competitivi di noi e grazie all’euro lo sono diventati ancora di più.

 

Se le cose stanno così, pensa che ci siano alternative all’uscita dall’euro?

Si potrebbe optare per un sistema di trasferimenti interni all’Eurozona. Ma questo implicherebbe un sacrificio da parte della Germania. Oppure, si dovrebbe attuare una deflazione salariale. Vale a dire il taglio di tutti gli stipendi dei paesi che soffrono di un deficit di competitività.

 

Come valuta la possibilità che  la Germania esca dall’euro?

Effettivamente, se l’elemento più squilibrante uscisse, il resto del sistema si omogeneizzerebbe. Alla Germania, del resto, l’uscita potrebbe anche convenire. In futuro, quando la situazione degli altri paesi europei sarà peggiorata ulteriormente, potrebbe essere costretta a restituire attraverso i Fondi salva-Stati o altri meccanismi parte di ciò che ha preso grazie all’euro. Se l’Europa muore, del resto, i prodotti tedeschi non vengono più venduti.

 

La ritiene anche un’ipotesi verosimile?

Beh, in Germania il partito Alternative für Deutschland ci sta pensando sul serio, mentre molti economisti, tra cui i firmatari dell’ European Solidarity Manifesto la stanno prendendo in considerazione.

 

Il fatto che rientreremo entro maggio dalla procedura d’infrazione ci garantirà qualche margine d’azione reale?

Direi di no. Se non risolviamo il problema della competitività possiamo sforare il deficit, e immettere nel sistema tutto il denaro che vogliamo. Ma sarà usato, in buona parte, per acquistare prodotti esterni. Il che non farebbe altro che aumentare il deficit della bilancia commerciale che, a causa del crollo della domanda interna, è stato pareggiato.

 

(Paolo Nessi)

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