Era già tutto previsto e Draghi non è riuscito a stupire. La Bce ha tagliato i tassi di interesse (tasso di rifinanziamento, quello a cui presta i soldi alle banche private) dello 0,25%, portandoli allo 0,5%. Tutto previsto, tutto atteso, tutto temuto. Questa misura era anticipata dalla maggior parte degli osservatori, che temevano però arrivasse da sola. Si temeva cioè che Draghi si limitasse a questo strumento convenzionale e che non proponesse misure eccezionali, ulteriori armi non convenzionali come quelle che sta utilizzando da qualche anno a questa parte per sommergere di liquidità i mercati finanziari. Lo si temeva tanto e così è stato. Draghi manterrà in piedi la struttura di provvista di liquidità già operativa, fornendo liquidità illimitata, a un tasso fisso, per finanziamenti a tre mesi delle banche almeno sino al giugno 2014. Ma questo lo si sapeva già, c’era già.



È mancato invece l’annuncio che rasserenasse gli operatori e appagasse i mercati azionari e obbligazionari dipendenti dalle abbondanti iniezioni di liquidità di questi ultimi anni. Non è arrivato nuovo propellente che potesse far decollare i listini azionari ancor più lontano dalla reale situazione economica. Solo e soltanto perché le banche avevano fatto una abbuffata di liquidità in regalo i mercati azionari erano saliti considerevolmente negli ultimi giorni. Il Ftse Mib ha guadagnato circa il 10% dal 18 aprile. L’entusiasmo è stato attribuito alla passione di Napolitano o all’arrivo di Letta. Ma in effetti era solo liquidità da investire e speranza che ieri Draghi ne avesse offerta ancora.



All’inizio della conferenza stampa, Mario Draghi ha annunciato che il consiglio aveva deliberato su un certo numero di misure a favore della liquidità. I mercati hanno festeggiato salendo ulteriormente, ma quando poi ha continuato a dire che l’unica misura era la liquidità illimitata a 3 mesi e nessun ulteriore costituzione di, non so, almeno un fondo da 500 miliardi con cui ricomprare titoli di stato o azioni bancarie, gli indici hanno iniziato a scendere, precipitevolissimevolmente, perdendo il 3% dai massimi della giornata.

La maggior parte dell’annuncio di Draghi è stato una noiosa ripetizione di un discorso di autoconvincimento, un Om per scacciare l’inflazione, una nenia per ripetere che la politica monetaria rimarrà accomodante per tutto il tempo necessario. Gli unici due punti emozionanti sono stati la dichiarazione, perversa nei modi, di non contrarietà a tassi di deposito negativi e la scudisciata pro-forma alle banche.



La Bce stabilisce un tasso di interesse a cui remunera i depositi delle banche private presso le proprie casse. Al momento il tasso è dello 0%, imposto così basso per, in teoria, convincere le banche che detengono un eccesso di liquidità a utilizzarla per farla circolare nel sistema interbancario e non cercare la massima sicurezza del deposito presso la banca centrale. In molti ragionavano sul possibile effetto di un tasso negativo: se una banca privata vuole depositare fondi presso la Bce dovrebbe, in questa ipotesi, pagare un costo. In pochi hanno riflettuto su un ulteriore effetto di un taglio del genere: le banche commerciali arriveranno a far pagare ai correntisti per mettere i propri soldi nei loro fragili forzieri?

La paura che un giorno si potrebbe arrivare a non saper dove mettere la liquidità ha dato nuovo fiato ai titoli di stato, soprattutto tedeschi, ma con gioie anche per le emissioni del Tesoro. La corsa dei prezzi delle obbligazioni ha ridotto ulteriormente i tassi di interesse. Ormai il Btp a 10 anni rende meno del 3,90% e il Bund di pari durata l’1,16%. Se pensate di voler investire in un titolo AAA per difendere la vostra ricchezza almeno dall’inflazione ma senza correre troppi rischi, dimenticatelo: i tassi reali sono negativi. Se volete acquistare un titolo tedesco che scadrà tra un paio di anni pensateci bene: a scadenza vi verranno restituiti meno soldi di quelli investiti. I tassi di interesse sono negativi di uno 0,02%: forse poco, ma emblematico.

La scudisciata di Draghi è arrivata quando ha detto che la mancanza di funding (la raccolta di capitali sul mercato) non è spiegazione sufficiente per non prestare denaro (dove però mi viene difficile da contestualizzare la mancanza di funding dopo aver garantito liquidità illimitata per un altro anno). Ha proseguito dicendo che alcune banche potrebbero aver bisogno di un aumento di capitale. Ha anche regalato un momento di ilarità quando ha affermato che la Bce non è un mercante di liquidità e che non lavora per ripulire i bilanci delle banche. Ilarità fragorosa, visto che la Bce offre solo liquidità ormai da anni e che regala soldi a tassi bassissimi alle banche private che poi li usano per comprare obbligazioni componendo i cosiddetti “carry trade”.

Dopo la conferenza stampa di Mario Draghi siamo dove avevamo immaginato qualche giorno fa, con l’azionario deluso che manca una nuova salita sprint mostrando segni di affaticamento e che si incammina verso un cammino ribassista, forse non troppo lungo ma impervio e alla mercé di oscillazioni impetuose che lo porteranno a salire e scendere intorno a se stesso.

Tra tanti altri annunci propagandistici che mancano di sostanza rileviamo la risposta dura ad Angela Merkel, con toni così incisivi come solo Silvio Berlusconi aveva fatto. La Cancelliera aveva espresso contrarietà a un taglio dei tassi, perché tassi troppo bassi erodevano il valore dei risparmi dei tedeschi. Draghi ha risposto sentenziando che l’indipendenza della Bce è cara ai cittadini di tutta Europa e anche a quelli tedeschi. Son convinto che l’indipendenza di cui parla Draghi è dalle forze politiche, perché non credo si possa invece dire indipendente dall’influenza dei colossi bancari a cui regala condizioni ideali per far profitti, dimenticando l’economia reale.