Una buona notizia condita da una serie di precisazioni non tanto buone. La buona notizia: siamo usciti dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo a carico dell’Italia, aperta nel 2009, per aver sforato il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. Ora, disponiamo della facoltà di arrivare, nel 2014, al limite del 2,9%. Se la procedura non fosse stata chiusa, saremmo stati costretti dagli impegni europei a fermarci al 2,4%. Avremo, quindi, circa 8 miliardi di euro in più (ovvero, lo 0,5% del Pil). Le precisazioni: si tratta delle raccomandazioni europee. Che, quando si parla del nostro Paese, vanno intese, più che altro, come velate minacce, o per lo meno come avvertimenti. Secondo l’Ue, in particolare, dovremo: mantenere ildeficit sotto il 3% nel 2013, e realizzare i surplus primari previsti; riformare la pubblica amministrazione e la giustizia civile, prestando particolare importanza alla lotta alla corruzione; sviluppare i mercati dei capitali e incentivare il finanziamento delle banche alle imprese; rendere operativa la riforma del mercato del lavoro e ideare nuove misure a sostegno di giovani e donne; combattere l’evasione spostando il peso del fisco dalle persone alle cose; effettuare liberalizzazioni e interventi infrastrutturali sulle interconnessioni energetiche, sul trasporto intermodale e, nelle telecomunicazioni, sulla banda larga ad alta velocità. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
Come va accolta la notizia dell’uscita dalla procedura di infrazione?
Siamo nel pieno di una recessione tremenda, con la disoccupazione che cresce di giorno in giorno. La crisi è di tale porta che c’è ben poco da festeggiare. L’unico aspetto positivo è che, in un mondo dominato dalle convenzioni, tra cui quella secondo cui chi è sotto procedura di infrazione è considerato inaffidabile, siamo considerati più virtuosi di prima.
Questo, concretamente, che benefici comporterà?
Beh, ci saranno benefici sul piano dell’immagine internazionale, del giudizio dei mercati e delle agenzie di rating. Resta il fatto che, per rientrare tra i virtuosi, abbiamo azzoppato l’economia. Specialmente in questa fase, non è possibile tenere i conti a in ordine e, contestualmente crescere. Giappone e Stati Uniti, infatti, stanno crescendo perchè non li tengono in ordine.
Cosa pensa delle raccomandazioni arrivate dalla Commissione europea?
E’ l’ennesima ripetizione delle solite cose. E’ ovvio che, per esempio, la pubblica amministrazione va resa più efficiente. Tuttavia, dalle liberalizzazioni alla riforma del mercato del lavoro, si tratta di misure per perfezionare i meccanismi di funzionamento del sistema economico che produrranno risultati solamente nel medio-lungo periodo. Ora, invece, l’urgenza è quella di uscire dalla recessione. E non ne usciremo continuando a ottemperare al rigore fiscale. Insomma, la strategia europea imbastita sul mito del rapporto deficit/pil e debito/Pil ha distrutto l’economia reale.
Quella tedesca, però, va bene.
Crescere dell’1% non significa andare bene. Anche l’economia tedesca si sta indebolendo, mentre quella francese sta entrando in semi-agonia, quella italiana è in crisi nera da due anni, e quella spagnola è completamente in tilt. L’unica spinta può venire è dall’export, ma a fronte di una domanda interna così fiacca non c’è commercio estero che tenga.
Quindi?
Anzitutto, per quanto ci riguarda, sarebbe necessario smetterla di pensare che il nostro debito pubblico sia la madre di tutti i mali dell’Europa. Certo, 2mila miliardi sono una cifra mostruosa. Ma è la stessa della Francia, mentre la Germania è a 2.200 e la Gran Bretagna a 1.900. Ironia della sorte, l’austerità imposta dal precedente governo ha eroso la ricchezza del Paese, riducendo il Pil e, di conseguenza, la base imponibile e le entrate fiscali. Risultato: il rapporto debito/Pil dal 117% a cui lo teneva inchiodato Tremonti, è schizzato al 132%. Come se non bastasse, l’austerity ci ha penalizzato più di chiunque altro.
Cosa intende?
Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna erano realmente economie disastrate sull’orlo del baratro. Noi no. L’esposizione all’estero del nostro debito complessivo (sia pubblico che privato) rispetto al Pil, ovvero la nostra posizione internazionale netta ammonta al 20%. Quella degli Usa al 28%, mentre quelle di Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo superano il 100%.
Dovremmo seguire l’esempio di Usa e Giappone?
Non so se la loro ricetta sia quella giusta. Normalmente, le “cicale” vivono una sola estate, mentre le “formiche” sopravvivono all’inverno. Si dà il caso che, in questa particolare crisi, le cicale continuino a rimanere in vita ormai da 7-8 stagioni consecutive. Può darsi che anche per loro arriverà l’“inverno”: una nuova inflazione mondiale, o un debito pubblico che non si potrà rifinanziare. Sta di fatto che, per ora, sono riusciti ad agire con estremo pragmatismo: stampando moneta, comprando titoli di stato e accentrando la politica monetaria nelle mani del decisore della politica economica. Sono riusciti persino ad attirare investimenti dall’Europa, sottraendoli, quindi, all’Europa stessa.
Cosa ci resta da fare?
Se almeno i tre Paesi più forti dell’Eurozona (Germania, Francia e Italia) non si metteranno assieme per studiare una strategia – anche di comunicazione ai mercati – unitaria volta, in particolar modo, alla costruzione di nuovi indicatori economici, non ne usciremo.
(Paolo Nessi)