Mentre si dibatte quale sarà la durata del Governo Letta, dato che la “luna di miele” (normalmente in Europa di 6-9 mesi) pare già finita (e specialmente le varie fazioni del Partito democratico sembrano prese in numerose liti da pollaio), vale la pena guardare in avanti senza dimenticare quanto avvenuto solo due-tre lustri fa. Guardare in avanti significare pensare all’assetto che ci sarà in Europa quando la crisi del debito sovrano (e in alcuni paesi dell’economia reale) sarà stata superata. Il superamento potrà voler dire una riduzione del ruolo nell’economia internazionale (e dei livelli relativi di reddito) dei paesi che hanno mostrato meno “efficienza adattiva” alle trasformazioni mondiali in corso da quando Europa, Nord America e pochi altri detenevano il monopolio del progresso tecnologico, un monopolio che ora non hanno più.
Tener presente il passato recente vuole dire riflettere su come diversi paesi asiatici sono usciti dalla crisi finanziaria del 1997 e il ruolo che una declinazione molto speciale dell’economia sociale di mercato e della sussidiarietà hanno avuto in questo processo. La “crisi asiatica” del 1997 riguardò il debito in gran misura sovrano o di imprese a partecipazione statale di paesi allora emergenti, ove non “emersi” , e a economia “mista” in cui il mercato funzionava in un quadro di indirizzi politici e di regole per dare corpo a tali indirizzi: Corea del Sud, Malesia, Filippine, Thailandia.
Non rientrano nel gruppo India e Cina, rimasti essenzialmente stagnanti per un millennio, prima di prendere un loro molto particolare percorso di sviluppo. La “crisi asiatica” innescò forti tensioni tra istituzioni internazionali in merito all’equilibrio tra austerità e crescita; ci fu anche uno scontro durissimo tra l’allora Vice Presidente della Banca mondiale, il Premio Nobel Joseph Stiglitz, e il Fondo monetario internazionale. Al fine di attutire queste tensioni e di essere di concreto aiuto ai Paesi allora “in crisi” in termini di politiche economiche venne istituto un “foro” di discussione l’Aem (Asia Europe Meeting) che ha operato a vari livelli (da quelli ministeriali a quelli tecnici) sino al 2005 circa.
Nell’ambito di tale “foro” ho partecipato a due iniziative che hanno portato anche alla produzione di analisi e riflessioni. Una riguardava le politiche sociali per l’uscita della crisi per il dopo crisi. L’altra le politiche della tecnologia (e delle pubbliche amministrazioni in supporto alla tecnologia) sempre per l’uscita dalla crisi e il dopo crisi.
La prima venne finanziata essenzialmente dalla Banca mondiale e in parte dalla Scuola superiore della Pubblica amministrazione (Sspa) e comportò anche una conferenza di alcuni giorni alla Reggia di Caserta (e la pubblicazione da parte della Banca Mondiale del volume New Social Policy Agendas for Europe and Asia a cura di Catherine Marshall e Olivier Butzbach). Il secondo implicò ancora una volta una conferenza internazionale alla Reggia di Caserta e la pubblicazione del volume, da parte della Sspa, La Net Economy nella Pubblica Amministrazione a cura di Daewoo Choi, Giuseppe De Filippi e Giuseppe Pennisi. Si rimanda a questi (e ad altri prodotti dell’Asem) per maggiori dettagli.
In queste settimane, la stampa internazionale (ma soprattutto alcuni istituti di ricerca asiatici) hanno sottolineato come la crisi in corso in Europa abbia implicato alcune decisioni nei maggiori raggruppamenti regionali asiatici, specialmente nell’Asean (Association of South East Asia Nations): segnatamente, il rinvio dei programmi relativi a un’unione monetaria e l’accelerazione di quelli per andare verso un mercato comune. Più interessanti, le lezioni che vennero tratte dai lavori Asem:
A) Sul piano delle politiche economiche generali, l’utilizzazione di incentivi a basso potenziale (quali la diffusione dell’istruzione e il miglioramento della sua qualità) per ridurre asimmetrie informative e posizionali, coniugati con incentivi ad alto potenziale (quali l’assunzione di decisioni irreversibili in materia, ad esempio, di tasso di cambio o di pareggio di bilancio) al fine di coniugare crescita e austerità.
B) Sul piano delle politiche sociali, attenzione a modelli fortemente decentrati di stampo rawlsiano (ossia con misure dirette ai “poveri tra i poveri” al fine di avere una rete di tutela sociale per i più bisognosi e strumenti assicurativi -finanziari per la classe media.
C) Sul piano delle politiche della produzione, grande “efficienza adattiva” a carpire innovazioni e orientarle alle loro situazioni specifiche, specialmente in materia di high tech e un forte impegno dello Stato in tal senso pur nell’ambito di politiche di mercato.
Sono aspetti su cui occorre riflettere. Tenendo, però, anche presente che si tratta di paesi pur se formalmente a democrazia parlamentare con concezioni della democrazia rappresentativa molto differente da quella in vigore (pur con vari acciacchi) in Europa e con una forte disciplina sia nel lavoro che nella partecipazione politica.