Il Documento di economia e finanza è stato appena approvato dal Senato e dalla Camera dei deputati. Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia, è intervenuto a Palazzo Madama sottolineando che “l’approvazione del Def è un passo importante, che consentirà di affrontare con fiducia le prossime settimane”, anche se il documento potrà essere “aggiornato in meglio” approfittando della riduzione dei tassi d’interesse sul mercato e del calo del rendimento dei titoli di Stato. Risorse che potranno essere utilizzate per i provvedimenti promessi da Enrico Letta. Saccomanni è poi atteso dall’Eurogruppo, cui lunedì dovrà illustrare le riforme che l’Italia attende adottare. Ilsussidiario.net ha fatto il punto con Ugo Arrigo, Professore di Finanza Pubblica all’Università di Milano-Bicocca



Quanti soldi ci potrà far risparmiare il calo dello spread?

E’ difficile affermare che ci saranno certamente dei risparmi consistenti sulla spesa per interessi, che siano impiegabili per compensare la riduzione delle aliquote fiscali. L’eterna incognita di queste stime è che non si sa mai se le previsioni sul gettito fiscale sono corrette alla luce del reale andamento dell’economia italiana. Occorre cioè capire se la minore spesa per interessi non vada utilizzata in qualche modo per coprire delle entrate tributarie inferiori alle previsioni. Ritengo quindi che non vi sarà un margine troppo alto di risorse per tagliare le tasse.



Quindi non si potrà ritoccare il cuneo fiscale e l’Imu sulla prima casa come promesso da Letta?

Tutt’altro. Il punto è che le aliquote vanno fatte scendere comunque, e poi andrà trovata la forma di finanziamento più appropriata. Non bisogna cioè tagliarle soltanto se ci sarà un risparmio. Per il governo Letta c’è un’unica politica industriale che è obbligatoria: ridurre la pressione fiscale. Non ha senso fare competere le imprese italiane nei mercati globalizzati, con la palla al piede di un’altissima pressione fiscale, e poi cercare di dare incentivi a pioggia.

Quali tasse vanno tagliate prima delle altre?



Le aliquote che gravano sulle imprese e sull’utilizzo del fattore lavoro producono effetti molto più gravi della stessa Imu di cui si discute tanto. Abbassare le tasse può consentire una ripresa dell’economia più in là nel tempo, e quindi inizialmente si registrerà comunque una riduzione delle entrate fiscali. In questo lasso di tempo il calo del gettito va quindi finanziato con strumenti straordinari, innanzitutto attraverso rinvii di spesa non essenziali, selezionando gli investimenti che non sono immediatamente produttivi. Mi riferisco, per esempio, alla spesa militare e alle entrate da privatizzazioni di immobili e di imprese pubbliche.

Lunedì Saccomanni prenderà parte all’Eurogruppo, cui dovrà presentare le riforme che intende attuare. Secondo lei, quali dovrebbero essere le priorità?

In primo luogo occorre intervenire sulle pensioni, in quanto la riforma Fornero non è andata abbastanza in profondità. Il cuneo fiscale in Italia va da un minimo di cinque a un massimo di dieci punti in più rispetto al resto dell’Ue, senza tenere conto dell’Irap che esiste solo nel nostro Paese. Bisognerebbe quindi rivedere le pensioni troppo alte: non è possibile tenere le pensioni così come sono perché la spesa previdenziale è esorbitante.

 

Ma non si rischia di punire chi ha lavorato per una vita e non ha altre risorse a parte la pensione?

La verità è che l’eccesso di pressione previdenziale sul costo del lavoro serve a pagare pensioni medio-alte che non sono giustificate dai contributi a suo tempo versati dagli attuali beneficiari. Queste pensioni andrebbero quindi riviste secondo un criterio contributivo. Dopo il 1995 con la riforma Dini coloro che avevano almeno 18 anni di contributi hanno continuato a godere del vecchio criterio, tutti gli altri sono stati sottoposti a un regime meno vantaggioso. Si tratta di una disparità che non può essere giustificata dall’anzianità contributiva. In Italia continua a valere il principio fasullo dei diritti acquisiti, che rappresenta un falso ideologico da superare una volta per tutte.

 

Quali altre riforme dovrebbe introdurre il governo Letta?

Vanno pagati tutti i conti arretrati della Pubblica amministrazione, in quanto non creano disavanzo, e sarebbero un bello stimolo keynesiano all’economia. Occorre inoltre ritornare a vendere immobili e imprese pubbliche: il mio sogno sarebbe incominciare dalla Rai, anche se dubito che ciò possa avvenire con un governo di larghe intese. In questo modo dimostreremmo che intendiamo ridurre il peso economico dello Stato, e questo ci garantirebbe un ulteriore vantaggio in termini di credibilità e quindi di spread.

 

(Pietro Vernizzi)