Nelle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, c’è una chiara illustrazione della situazione economica del Paese sia sotto il profilo reale (produzione e lavoro), sia sotto quello finanziario (banche e credito). Accompagnano questa illustrazione le azioni svolte dalla banca centrale (nazionale ed europea) sia sul fronte del controllo del sistema finanziario (vigilanza), sia sul quello, congiunturalmente più rilevante, della politica monetaria. Cinque anni di crisi, prima finanziaria e da ultimo anche reale, hanno profondamente segnato il Paese che si ritrova oggi più povero (-7% di prodotto interno e dunque ricchezza dal 2007), con un tasso di disoccupazione molto elevato (12,5% nel primo trimestre di quest’anno), soprattutto per i più giovani e residenti nel Mezzogiorno (oltre il 41%), incapace di infondere la fiducia necessaria a far riprendere gli investimenti e dunque assicurarsi prospettive di crescita per superare la recessione in atto, col rischio di compromettere la stessa coesione sociale.



La crisi recente ha tuttavia solo aggravato i segni di un ritardo che si va accumulando da tempo: “Siamo stati incapaci di rispondere ai cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni”. Ne ha sofferto in particolare la struttura produttiva del Paese: le capacità di innovazione e di internazionalizzazione costituiscono la vera discriminante fra imprese sane e produttive, in grado di stare sui mercati e fronteggiare la concorrenza (troppo poche purtroppo), e imprese “vecchie”, improduttive, destinate alla chiusura, capaci soltanto di invocare come soluzione (illusoria) il sostegno pubblico.



Il Governatore si è soffermato sugli aggiustamenti necessari (modalità di accumulazione del capitale, specializzazione e organizzazione produttiva, istruzione, competenze e percorsi occupazionali, modello di welfare e distribuzione dei redditi, rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo e funzionamento della Pubblica amministrazione), ma ha anche individuato gli ostacoli che si sono frapposti all’ammodernamento: quadro regolamentare ridondante e con troppi adempimenti amministrativi, carenza di certezza del diritto, corruzione e criminalità. Le riforme necessarie per consentire gli aggiustamenti e superare gli ostacoli, spesso faticosamente approvate, trovano poi scarsa se non nulla applicazione per i ritardi nella definizione dei provvedimenti attuativi.



Appare evidente che la soluzione di problemi così complessi non può che trovarsi in una prospettiva di medio periodo; nell’immediato occorre muoversi sui fronti dell’offerta della liquidità necessaria a sostenere gli investimenti possibili, in un contesto che deve fare i conti col “consolidamento fiscale” da un lato e le difficoltà del nostro sistema bancario dall’altro. Il primo (contenimento del disavanzo entro il 3% e pareggio strutturale dei conti dello Stato) ha comportato un inasprimento fiscale al limite del sopportabile, tanto che se ne richiede una profonda revisione da pianificare fin da subito, “privilegiando il lavoro e la produzione”: ha tuttavia consentito di uscire dalla procedura d’infrazione e guadagnare per il futuro margini di manovra per investimenti pubblici (oltreché contenere il livello della spesa per interessi sui titoli) e ha consentito di effettuare parte dei pagamenti della Pubblica amministrazione a favore delle imprese.

Il consolidamento fiscale, se crea un clima macroeconomico favorevole alla crescita, è tuttavia ostacolato dalla bassa crescita e concorre a determinarla, dunque c’è il serio rischio di cadere in un terribile circolo vizioso. Per questo si impone una revisione dell’imposizione fiscale capace di contemperare l’equilibrio dei conti pubblici con riduzioni “selettive” a sostegno della crescita. Quanto all’altra fonte della liquidità necessaria, ovvero il credito bancario, nelle Considerazioni sono ricostruiti tutti gli sforzi fatti dalle istituzioni comunitarie sia per superare il frangente molto delicato, sul finire del 2011, del cosiddetto “rischio di ridenominazione”, ovvero disgregazione dell’euro, con conseguenze facilmente intuibili; sia più propriamente dalla banca centrale per favorire la creazione e circolazione della liquidità anche grazie a misure “non convenzionali”.

A questo proposito è bene sottolineare come sia gli uni che le altre (costituzione dell’European Financial Stability Facility-EFSF e successivamente dell’European Stability Mechanism-ESM e per le misure non convenzionali le Long Term Refinancing Operations-LTRO e le Outright Monetary Transaction-OMT) hanno consentito di superare le crisi contingenti, dell’euro e della liquidità, ma contemporaneamente sono la dimostrazione concreta della volontà dell’Ue di procedere sulla strada difficile dell’integrazione. Tornando al problema della liquidità per il credito bancario, nelle Considerazioni sono individuare le ragioni che, nel nostro sistema, hanno impedito e impediscono di fare tutto il credito possibile e dunque ci costringono ad assistere a una restrizione creditizia che, sicuramente, ostacola qualsiasi sforzo di ripresa economica.

In sintesi il problema del credito “scarso” e più caro discende dalla situazione economica e finanziaria in cui, da tempo, si trovano le nostre banche, costrette a muoversi in uno scenario che le ha viste dapprima in grave crisi di liquidità, dovuta principalmente alle difficoltà di raccogliere risorse a medio termine e sui mercati internazionali; successivamente le ha viste nella necessità di adeguare il capitale proprio (o meglio, “quello di migliore qualità”) ai nuovi più stringenti requisiti patrimoniali imposti dall’Eba (European Banking Authority). Essendo questi requisiti collegati al all’attivo a rischio (principalmente i crediti!) è facile immaginare che gli aggiustamenti abbiano riguardato anche la contrazione del rischio!

È il caso di sottolineare come queste difficoltà siano collegate alla crisi del debito sovrano che ha investito anche il nostro Paese (ricordate lo spread a 500 punti?) e il collegamento riguarda sia la quantità dei titoli pubblici presenti nei portafogli delle banche, sia il rendimento degli stessi e l’effetto di trascinamento sulla raccolta bancaria. Infine, da ultimo, le difficoltà legate alle cosiddette sofferenze (crediti inesigibili) e ai crediti deteriorati presenti nel bilanci bancari, conseguenza della crisi che ha investito imprese e famiglie, impedendo loro di procedere al rimborso dei prestiti ottenuti.

L’appesantimento dei bilanci bancari si traduce in perdite talora consistenti e nell’aggravio dell’ammontare dei rischi presenti a fronte del patrimonio, ciò che impedisce, nuovamente, di assumere nuovi rischi. Ciononostante il nostro sistema bancario è solido, cioè in grado di rispettare i vincoli patrimoniali imposti, grazie anche a una vigilanza particolarmente rigorosa; la stabilità del nostro sistema è stata assicurata ricorrendo in misura molto contenuta alle casse dello Stato (0,3% del Pil, il valore più basso di tutta l’Ue); il sistema è inoltre caratterizzato da una leva finanziaria (rischiosità misurata dal rapporto fra l’attivo e il patrimonio) più contenuta rispetto alla media dell’Ue (14 contro 20).

Certamente il sistema bancario si trova in una fase difficile sotto il profilo della redditività ed è dunque costretto a una “riposizionamento strategico” che investe tutte le aree della gestione (dall’uso dei fattori produttivi alla struttura dei canali distributivi). Quel che è certo è che rappresenta il principale canale di finanziamento delle nostre imprese, anzi quasi il canale esclusivo: situazione non più sostenibile per un Paese che vuole crescere e che impone di rinnovare gli sforzi per lo sviluppo, finalmente, di canali alternativi quali, ad esempio, la borsa.

Per raggiungere questo obiettivo sono chiamate a collaborare anche le imprese che devono scoprire o riscoprire i vantaggi di una maggiore articolazione del sistema finanziario e, soprattutto, devono puntare a una crescita dimensionale che consenta loro di affrontare meglio una competizione che si fa sempre più difficile e agguerrita.

Merita infine di sottolineare un forte richiamo civile del Governatore: le riforme non possono essere chieste sempre a chi è altro da noi! Tutti siamo chiamati a impegnarci per ricreare un clima di fiducia sul quale costruire il futuro.