“Anche se la decisione dell’Ue riflette gli sforzi fatti dal governo italiano nell’ultimo anno e mezzo, certamente anche in queste ultime settimane abbiamo discusso e negoziato con la Commissione europea e messo a punto le condizioni finali per rendere questa decisione possibile. Quindi personalmente sono molto contento”. Lo ha dichiarato Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia, commentando la decisione della Commissione europea di chiudere la procedura d’infrazione contro l’Italia aperta nel 2009. E a chi gli chiedeva se il congelamento dell’incremento dell’Iva sia un’ipotesi ancora valida, Saccomanni ha detto: “Sono tutte misure in campo, si tratta di vedere come possono essere finanziate rimanendo all’interno dei vincoli di bilancio che ci siamo dati”. Ilsussidiario.net ne ha parlato con il giornalista economico Oscar Giannino.



Che margini di manovra avrà Saccomanni dopo l’uscita dalla procedura d’infrazione Ue?

Le raccomandazioni della Commissione per la decisione formale che dovrà poi essere presa dal Consiglio fanno intendere chiaramente che l’Italia resta una sorvegliata speciale. L’indicazione precisa e tassativa è quella di non andare oltre il 3%. Poiché le previsioni di abbattimento consistente del rapporto deficit/Pil, all’1,4% e poi tendenzialmente ancora più basso, sono fondate su ipotesi di andamento del Pil italiano che nel frattempo è ancora rivisto al ribasso, è inevitabile che lo spazio reale di manovra sia molto basso.



Resta il fatto che si sbloccheranno i finanziamenti Ue per infrastrutture e settore edilizio…

Allo stato attuale noi non conosciamo decisioni europee in materia di utilizzo delle risorse europee senza cofinanziamento italiano per i fondi strutturali. Per la programmazione settennale che scade nel 2014 abbiamo ancora 31 miliardi di risorse non impegnate, cioè il 60% del totale dei fondi. La richiesta italiana era quella di consentirci di utilizzare queste somme senza cofinanziamento, ma non è stata presa nessuna decisione in questo senso.

Non ci sono quindi prospettive ipotizzabili su investimenti fuori linea. Alla fine si riuscirà a bloccare l’aumento dell’Iva?



Anche da questo punto di vista il margine è ristrettissimo, e le parole del ministro Saccomanni da due settimane a questa parte sono responsabilmente protese a raffreddare le aspettative di chi immaginava un tesoretto pronto a scattare. Qui di tesoretti non ce ne sono, tanto è vero che, a chi gli chiedeva di essere più prudente nel dare per scontato l’aumento dell’Iva dal primo di luglio, Saccomanni aveva fatto intendere chiaramente che non esistevano alternative per mancanza di risorse.

L’Ue non ci lascerà mano libera almeno su questo versante?

In una delle sei raccomandazioni della Commissione Ue, c’è una frase in cui si dice favorevole all’aumento delle imposte indirette. Sembra fatta apposta per consentire a Saccomanni di dire che la stessa Europa chiede di alzare l’Iva.

 

Lei che cosa ne pensa di un nuovo aumento dell’Iva?

La mia posizione è contraria. In un sistema generale di riordino dell’imposizione, in cui si diminuisce in maniera significativa la tassazione diretta su lavoro e imprese, sarei molto favorevole a un prelievo più consistente indiretto ed eventualmente anche a forme patrimoniali. Stiamo però procedendo da anni sull’aumento dell’imposizione diretta, indiretta e patrimoniale in maniera contemporanea e questo abbatte il Pil. La Spagna ha alzato l’Iva per l’ennesima volta e il gettito è calato del -9%.

 

A differenza della Spagna, l’Italia ha un sistema bancario molto più solido…

Eppure l’Italia, insieme alla Spagna, è il Paese europeo con il più forte ostacolo al funzionamento della politica monetaria della Bce. L’abbattimento dei tassi non si riverbera affatto nell’economia reale del nostro Paese, e il motivo è semplice: le banche italiane nel 2012, con una strategia di “repressione fiscale”, sono state obbligate a comprarsi ingenti quantità di titoli del debito pubblico italiano. In tutto si tratta di più di 100 miliardi euro in titoli, che appesantiscono notevolmente il nostro sistema bancario.

 

Con quali conseguenze?

Le banche sono impossibilitate a realizzare aumenti di capitale e quindi hanno delle sofferenze che sono arrivate in tre trimestri a rappresentare quasi il 17% delle riserve.

 

A quanto ammontano queste sofferenze in proporzione al Pil?

Sono pari a 10 punti di Prodotto interno lordo, e si sommano ai 100 miliardi di euro di titoli che impediscono alle banche di fare credito a imprese e famiglie. Questo insieme di fattori in sintesi fa sì che il modo in cui i politici e i regolatori italiani hanno gestito l’intera vicenda vada giudicato in modo molto negativo.

 

(Pietro Vernizzi)