Mario Draghi, presidente della Bce, lascia invariato allo 0,5% il costo del denaro, ma allontana le prospettive di una ripresa nei paesi europei. La Bundesbank gli fa eco ridimensionando le previsioni sul Pil della Germania, facendole scendere dal +0,4% al +0,3% per quest’anno e dal +1,9% al +1,5% per l’anno prossimo. Intanto Silvio Berlusconi suggerisce al presidente del Consiglio, Enrico Letta, di “ingaggiare un braccio di ferro con la Merkel” sulle condizioni da applicare all’Italia. Ilsussidiario.net ha intervistato Claudio Borghi Aquilini, Professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica di Milano.
Che cosa ne pensa dell’uscita di Berlusconi sul “braccio di ferro” con la Germania?
Mi sembra davvero un po’ tardivo che Berlusconi dica che bisogna fare la voce grossa con la Merkel. Lo stesso Cavaliere ha rivendicato di avere posto dei veti a livello Ue quando era presidente del Consiglio, tuttavia gli rimprovero di non avere messo il veto quando si è trattato di fare fallire la Grecia. L’inizio dei nostri guai è stato questo: certificare che i titoli di Stato greci erano a rischio ha avuto come immediata conseguenza il fatto di ammettere che anche quelli italiani lo erano.
Berlusconi però non si è mai espresso a favore del fallimento della Grecia…
Eppure Francia e Germania premevano per il Private sector involvement (Psi) e all’epoca l’Italia governata da Berlusconi non osò dire nulla in contrario. La questione inoltre non è fare la voce grossa, ma perseguire in modo diretto il nostro interesse nazionale. Il nostro governo deve fare quello che è giusto per l’Italia, per esempio attraverso dei trasferimenti per la garanzia totale del debito, ponendo come unica alternativa una nostra uscita dall’euro. Intanto anche la Germania è sempre più sotto lo spettro della recessione.
Che cosa si può fare per riequilibrare le sorti dell’euro?
Dal momento che è impossibile riequilibrare gli squilibri con svalutazioni interne, le alternative sul tavolo sono solo due. Da un lato ci sono le svalutazioni interne, con le nazioni più ricche che pagano grandi somme o spendono internamente per la loro crescita in modo da rilanciare i prezzi. Anche se non mi sembra affatto che da parte della Germania ci sia questa intenzione.
E quindi qual è l’unica alternativa che rimane?
La segmentazione dell’euro. Insieme ad altri economisti di tutta Europa, ho firmato un manifesto per la separazione in due dell’Eurozona. In questo modo sarebbe possibile fare uscire “dall’alto” i paesi più forti e minimizzare i rischi. I paesi forti uscendo dall’alto non creerebbero nessun pericolo di panico e corsa agli sportelli, perché se i cittadini sono convinti che la loro moneta diventi più forte aspettano e la prendono di buon grado. Questo sistema non è forse quello ottimale, ma è certamente il più facile da eseguire per ridurre gli squilibri dell’Eurozona.
A fine giugno si terrà il consiglio dell’Ue. Può essere l’occasione perché Letta illustri alla Merkel le esigenze dell’Italia?
Suppongo che Letta gliele abbia già illustrate. Teniamo presente che la Merkel non mostrerà nessun tipo di accondiscendenza formale e sostanziale prima delle elezioni, e probabilmente neanche dopo. Tutti i paesi stanno facendo i loro interessi, e quindi non si capisce perché dei paesi che sono i nostri diretti concorrenti come la Germania dovrebbero farci dei favori.
Di fronte alla Merkel che non mostrerà nessuna accondiscendenza, che cosa dovrà fare Letta?
Una strada potrebbe essere quella di cercare di convincere tutti gli altri Paesi membri dell’Ue a espellere la Germania. Si potrebbe riprendere in mano il trattato di Maastricht, nel quale si prevede che vadano minimizzati gli squilibri della bilancia dei pagamenti nell’area, e si impongono dei pagamenti sulla base di chi ha dei surplus di bilancia commerciale, vale a dire la Germania. Se tutti votano a favore tranne la Merkel, si apre un conflitto con Berlino e la si forza a uscire. Il problema è che non ci sarà mai un asse con la Francia e con tutti gli altri Paesi per riuscire ad andare contro la Germania.
(Pietro Vernizzi)