La notizia per cui in questi giorni un rappresentante della Bce si presenterà davanti alla Corte costituzionale tedesca (Bvg) per spiegare la politica monetaria della Bce sul programma Omt è un fatto estremamente interessante e fa capire molto di cosa sia in realtà l’Unione europea. O meglio, di cosa sia diventata in questi ultimi anni. Non è da oggi che la Corte tedesca opera uno scrutinio stretto sulle scelte di politica monetaria della Bce utilizzando come parametro le norme della Costituzione tedesca: questo avviene fin da quella Lissabon-Urteil del 2009 (cioè la sentenza sul Trattato di Lisbona) in cui si era programmaticamente enunciato che ogni ulteriore modifica dei trattati e ogni maggior spesa da parte dei cittadini tedeschi conseguente a scelte dell’Unione avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata da un voto del parlamento federale. Chi ha buona memoria rammenta che ancora nel settembre 2012 si festeggiava in Europa e in Italia per un altro via libera della Corte tedesca.



Di per sé che una istituzione europea sia portata innanzi a una autorità nazionale per giustificare il suo operato alla luce delle norme di una Costituzione nazionale è una cosa ottima. E così dovrebbe essere ovunque se i principi enunciati dalla Corte tedesca nel 2009 con la Lissabon-Urteil fossero divenuti moneta comune presso tutte le Corti costituzionali nazionali. Basta leggere in questi giorni i giornali tedeschi per rendersi conto dell’impatto mediatico che questo fatto sta avendo presso l’inquieto elettorato della Signora Merkel. E come questo fatto sia rassicurante per il cittadino medio tedesco a cui il governo tedesco da mesi ripete che la situazione di stallo e recessione strisciante della economia tedesca è colpa di greci, ciprioti, italiani e spagnoli che hanno dilapidato le fortune della Federazione, costringendo così i probi cittadini tedeschi ad accettare i microjobs da 400 euro della gloriosa riforma Harz IV (a cui, in buona sostanza, si riducono le sempre attese riforme che dovremmo fare secondo la Signora Merkel).



Insomma, la stampa tedesca – vedere per credere – è tutto un fiorire di rassicurazioni sul fatto che il Bund e i suoi organi vigilano sui risparmi del cittadino tedesco, che già porterebbe il peso del mediterraneo lazzarone che vuol far pagare alla protestante Germania i suoi debiti dissennati. Che in una zona semicentrale di Monaco si possa tranquillamente accoltellare alle 10 di sera un italiano sotto gli occhi dei passanti solo perché parla italiano la dice lunga sulla situazione di esasperazione e di paura che si vive in quelle parti della società tedesca che più hanno pagato le riforme della Signora Merkel.



Il punto è che se immaginiamo il contrario e proviamo a pensare la Bce portata davanti alla Corte costituzionale italiana per giustificare qualcosa di un po’ più sanguinoso del programma Omt, come la letterina dell’agosto 2011 che dettava l’agenda del governo italiano nei mesi a venire, ci mettiamo a ridere e capiamo di esserci spostati nel mondo dei sogni. Al di là del fatto formale (e cioè della Lissabon-Urteil del 2009), perché mai la Bce si deve difendere davanti al Bvg e invece manda lettere al governo italiano (e spagnolo, ma questo fatto è stato saggiamente tenuto riservato in Spagna) dettando le cose da fare? Per il semplice fatto che l’Europa è diventato un condominio di condomini diseguali, dove ci sono i (presunti) poveri e i (presunti) ricchi. E i poveri, se sono Stati, cessano semplicemente di comportarsi come Stati sovrani.

Se però ci chiedessimo come siamo arrivati a questo punto ci accorgeremmo che, al di là delle frottole monetariste che hanno riempito i giornali in questi anni, il problema dell’Europa è dato dallo squilibrio delle partite correnti fra gli stati interni all’area Euro. Dopo 12 anni di Euro chi stava leggermente meglio degli altri (la Germania) sta molto meglio. Chi stava leggermente peggio (ma non molto: l’Italia) sta molto peggio.

Perché? Perché se lasciamo da parte le favolette un po’ razziste del tedesco calvinista e virtuoso e dell’italiano (e del greco, spagnolo, cipriota) cattolico e cialtrone ci rendiamo conto del fatto che una moneta unica sta bene all’interno di una cosa chiamata “area economica ottimale”. E che in mancanza di certi elementi strutturali comuni (fisco, istruzione, mercato del lavoro, assistenza) alle aree governate da questa moneta, una moneta unica porta semplicemente a una accentuazione degli squilibri già esistenti. Insomma, qualcosa di simile a quello che – semplificando molto – è successo in Italia dopo l’unificazione del 1860. Solo che a quei tempi il mercato e la moneta unica si facevano con gli eserciti e le bandiere. E i confini dello Stato erano anche i confini del mercato. E su questi confini vigilava la sovranità dello Stato.

Oggi la situazione è cambiata. Gli Stati esistono ancora. A parole sono ancora sovrani. Solo che l’apertura dei confini attraversati da una moneta unica impedisce ogni aggiustamento naturale. E l’aggiustamento naturale per definizione era ed è la svalutazione della moneta. Su questo meccanismo si è retto l’equilibrio economico in Europa e cioè sugli aggiustamenti naturali dei rapporti di cambio, come insegna bene la vicenda dello Sme prima e dopo il 1992. E cioè dalla data della uscita della Italia dallo Sme, che ha avviato l’ultimo periodo di crescita della nostra economia fino al fatidico 2001. Da lì in poi stallo, crescita stentata e ora recessione.

Dunque perché l’Euro? Per impedire svalutazioni che avvantaggiano il debitore e scontentano il creditore, innanzitutto perché la svalutazione riduce il valore di un debito nominalmente fissato. Altro che paura atavica dell’inflazione da parte dei tedeschi. Altro che oscure memorie di Weimar come ogni tanto ci ripete qualcuno che ha studiato poca economia e poca storia (Weimar tra il 1924 e il 1929 non è stata affatto lo sfacelo inflazionistico che giornalisti calvi e poco titolati accademicamente ci dipingono). La ragione per cui la Germania non vuole inflazione sta tutta nel fatto che le banche tedesche sono esposte fino al collo verso l’estero dopo avere alimentato bolle immobiliari in Spagna, credito al consumo in Italia e Grecia e avere acquistato a man bassa titoli di stato mediterranei e irlandesi che davano una rendita ben più consistente del virtuoso (si fa per dire) 1% del Bund tedesco.

Dunque la verità è che con l’Euro la Germania ha lucrato sull’indebitamento altrui (ti presto soldi per comprare Mercedes e Bmw attraverso le mie finanziarie), si è arricchita attraverso questo indebitamento, ha messo fuori uso le industrie concorrenti e poi, d’un tratto, al primo segno di crollo del sistema ha ritirato i capitali, come è avvenuto nel giugno del 2011. Di qui la crisi dei debiti sovrani; di qui la crisi politica intraeuropea; di qui il programma Omt su cui deve pronunciarsi ancora una volta la Corte tedesca.

La convocazione dell’emissario della Bce (e gli sbertucciamenti giornalistici a Draghi di questi ultimi giorni) davanti alla Corte tedesca fa capire che ormai in Europa, al di là delle foglie di fico dei vertici e del linguaggio anestetizzante delle burocrazie, ci sono degli Stati egemoni, che perseguono lucidamente un progetto di egemonia a discapito della (ormai ridicola) retorica europeista che vale ad ammantare il perseguimento di questo disegno. L’autorità monetaria che governa le politiche di quattro o cinque Stati in Europa ora si presenta con il cappello in mano davanti alla Corte tedesca promettendo di non spendere più di quanto voluto dal Parlamento tedesco.

A fronte di questa situazione, forse si capisce perché la Corte costituzionale italiana non abbia neanche pensato a seguire la strada del Tribunale tedesco dopo il 2009. Semplicemente non sarebbe stata creduta o presa sul serio. Il che, però, ci fa capire un’ultima cosa. Se nella vicenda dell’unificazione tedesca il ruolo di Stato egemone era stato svolto dalla Prussia, che ha finito per dominare la nascente federazione tedesca, oggi, nella vicenda della unificazione europea questo stesso ruolo è giocato in modo intenzionale e consapevole dalla Germania. Che semplicemente aspira a diventare la Prussia d’Europa.

Forse per questo i rivoluzionari tedeschi della Paulskirche gridavano nel 1848 “bisogna che la Prussia muoia perché la Germania viva”. Perché avevano già capito come sarebbe andata a finire. E come immancabilmente è finita. La Prussia non è morta. Ha fatto nel 1872 una Germania a suo uso e consumo. Però non le è servito granchè.

Adesso mi sa che ci risiamo.Gli inglesi, con tutti i loro problemi, lo hanno capito già da qualche anno. Noi, di solito, ci mettiamo più tempo.

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